La panchina di Mariella Forever

La 'mega prigione' nella repressione delle bande salvadoregne

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    La 'mega prigione' nella repressione delle bande salvadoregne
    STORIA: Sembra un mare di pelle e tatuaggi.

    Queste immagini rilasciate dal governo di El Salvador mostrano il trasferimento di circa 2.000 detenuti, in pantaloncini e con la testa rasata, in quella che è stata soprannominata la nuova "mega prigione" del paese.

    Si è appena aperto. Si ritiene che sia la più grande prigione delle Americhe, con una capacità di 40.000 persone, ed è l'ultimo passo di una controversa repressione del crimine che ha fatto aumentare vertiginosamente la popolazione carceraria del paese.
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    Le organizzazioni per i diritti umani hanno riferito che persone innocenti sono state coinvolte nella campagna delle forze dell'ordine.

    Ciò include dozzine, dicono, che sono morte durante la custodia della polizia.

    L'anno scorso, il presidente del paese ha chiesto al Congresso poteri di emergenza per sospendere temporaneamente alcuni diritti costituzionali dopo un massiccio picco di omicidi attribuiti alla criminalità di gruppo.

    Comprende che gli arresti possono essere effettuati senza mandato e che i detenuti non hanno più diritto a un avvocato. Alle comunicazioni private dei cittadini può accedere anche il governo.

    Da allora, circa 64.000 sospetti sono stati arrestati e le denunce di omicidio sono diminuite di circa il 57% lo scorso anno.
    Quasi tutti gli uomini delle gang che appaiono in quelle foto, erano dei bambini nel 2003

    Ha ragione chi dice che gli uomini delle gang sono i primi a non riconoscere i diritti degli altri. Noi tutti c’indigniamo per ogni nuova notizia delle atrocità commesse da molti di loro. Ma questo non esonera lo stato dal rispettare i suoi obblighi legali. In questo consiste lo stato di diritto. Quando la polizia o il presidente violano la legge non stanno proteggendo i loro cittadini, ma tradendo i meccanismi concepiti per difenderli, ovvero le leggi e i tribunali che applicano la giustizia. Quel che fanno è trascinare il paese in una situazione alla “si salvi chi può” in cui le leggi non proteggono più i cittadini, ma solo la capacità di esercitare violenza.

    “Non si può fare il male per ottenere il bene”, era stato il monito di monsignor Romero in una delle sue lettere pastorali, e lo ha ripetuto più volte nelle sue omelie. Quando si compie il male, ne conseguono mali maggiori.

    Quasi tutti i membri delle gang che appaiono ammassati nelle foto diffuse dal palazzo presidenziale, erano dei bambini nel 2003. Quell’anno il presidente Francisco Flores lanciò la prima campagna di repressione delle bande. Incaricò poliziotti di sfondare le porte nelle comunità più povere, a mezzanotte, con il fucile spianato e di compiere enormi retate di ragazzi tatuati. In quelle stesse case vivevano quei bambini: fratelli, vicini o figli delle persone arrestate. Cosa speravamo che ne fosse di loro? E cosa ci aspettavamo che ne fosse della polizia, dopo che è stata lasciata impunita la prima esecuzione extragiudiziale, e poi la seconda, e la terza?

    È una costante della nostra storia: quando lo stato infrange le leggi non fa altro che perpetuare il ciclo della violenza. Lo sappiamo perché politici di diversi partiti hanno utilizzato le gang a fini elettorali. La loro intenzione non è sradicare la violenza, bensì sfruttare la disperazione delle vittime che chiedono soluzioni urgenti a problemi urgenti. Perciò espongono pubblicamente i criminali cosicché la gente gli sputi addosso, gli dimostri il proprio disprezzo, gli auguri di essere uccisi dal virus, di ammazzarsi tra di loro o per mano della polizia. O scendono a patti con le gang perché riducano gli omicidi, trasformandole così in attori politici.

    La violenza, ripeteva Romero, può essere sradicata solo occupandosi delle sue cause strutturali. Romero è stato il più importante difensore dei diritti umani. Le autorità che violano la legge, ammoniva, devono rispondere di questi crimini.

    Mi preme ricordarlo perché Nayib Bukele è già il terzo presidente che, esponendo il ritratto di Romero nel palazzo presidenziale, autorizza violazioni dei diritti umani e si scaglia contro le organizzazioni che difendono questi princìpi fondamentali. Non che i presidenti precedenti avessero evitato il terreno della brutalità: ma non esibivano il ritratto di Óscar Romero nel palazzo presidenziale, una consuetudine inaugurata da Mauricio Funes.

    Lo stato imbarbarito
    Bukele non si è comportato diversamente. Nelle ultime settimane ha accusato le organizzazioni per i diritti umani di essere “organizzazioni di facciata” che difendono interessi nascosti. È una retorica che sfortunatamente in El Salvador conosciamo bene, già da prima che cominciasse la guerra. E ogni volta la usano coloro che giustificano la violazione dei diritti umani in nome della lotta ai nemici del popolo.

    Quelle foto degli uomini delle gang in carcere, ammassati gli uni accanto agli altri, sono autoritratti dello stato. Nati come strumento di propaganda – immagine, violenza, politica – portano lo stato sullo stesso piano morale delle gang, quello di organizzazioni criminali. Mi spiego: le gang assassinano, stuprano, commettono estorsioni, sottomettono, minacciano; hanno all’attivo una lista lunghissima di barbarie, di atti inumani. Lo stato, invece, è umanista per concezione (l’essere umano, dice il primo articolo della costituzione, è l’origine e il fine dell’attività dello stato). È civilizzato. È una differenza fondamentale. Lo stato possiede il monopolio della forza, ma perché sia legittima dev’essere usata rispettando rigorosamente le leggi.

    Nella strategia contro le gang o contro le bande di rapitori o trafficanti di droga, quel che è in gioco è proprio il trionfo dello stato (istituzionale, costituzionale, legale) su quanti minacciano tali valori. Vale a dire il trionfo della civiltà sulla barbarie. Il paradosso è che, invece di cambiare i criminali, di renderli civili, è lo stato a essersi imbarbarito. Se questa è una guerra tra le gang e lo stato, come sostenuto dal governo, allora è chiaro chi è che sta vincendo.
     
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