LA PRIMA VOLTA CON IL MIO MIGLIORE AMICO

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    La mia prima volta fu con il mio migliore amico
    “Devo assolutamente farti vedere un video,” disse Marco, chiudendo a chiave la porta della sua camera.

    Si sedette alla sua scrivania e accese il portatile. Cercò un video e lo fece partire.

    “Uho, ma che cazzo! Sono enormi,” esclamai, quando il porno partì e apparve la donna con le poppe più grandi che avessi mai visto.

    “E non è solo quello che ha di enorme,” ridacchiò Marco.

    Il cazzo di un uomo affondò fra i seni della donna. Lei si afferrò i meloni e iniziò a muovere il busto. La cappella dell’uomo appariva e spariva sotto il suo collo, mentre l’asta scivolava fra quei giganteschi meloni.

    “Non pensavo si potesse farlo anche così,” mi sfuggì.

    “Eheh, lo so, neanch’io,” annuì Marco senza staccare gli occhi dallo schermo. Anche se non era la prima volta che vedeva quel video, era altrettanto ipnotizzato di me.

    “Mi è venuto il cazzo duro,” mormorai.

    “Non sei l’unico,” disse Marco, allargando le braccia e mostrandomi il rigonfiamento tra le gambe.

    Scoppiammo a ridere come degli idioti. Io e Marco siamo amici fin dall’asilo. Anche adesso che frequentiamo l’ultimo anno delle medie siamo inseparabile. Infatti, non era la prima volta che guardavamo un porno insieme.

    Marco infilò una mano nei pantaloni della tuta. La stoffa iniziò a muoversi.

    Non era neppure la prima volta che ci sparavamo una sega uno di fianco all’altro. Presi l’altra sedia lì vicino e, dopo essermi seduto, seguii il suo esempio.

    Senza che ce ne rendessimo conto ci trovammo con i pantaloni abbassati e il cazzo in bella vista. Le nostre mani si agitavano frenetiche lungo l’asta.

    “Cazzo, non ne posso più di segarmi,” sbottò all’improvviso Marco, lasciando la presa della sua minchia e buttandosi indietro contro lo schienale della sedia.

    “Ma che dici? Fino a ieri non facevi altro che pensare solo a sborrare,” ribattei.

    “Appunto, abbiamo ormai 15 anni e siamo ancora qui a doversi smanettare da soli per venire.” Marco sospirò frustrato. “Senti, ti va di provare, a segare ognuno l’uccello dell’altro?”

    La sua proposta mi prese totalmente alla sprovvista. “Eh, non so…” mormorai.

    “Dai, sarà come se quella tettona ci starà facendo una sega,” insistette Marco, allungando la mano tra le mie gambe.

    Non feci in tempo a reagire a quella mossa inaspettata, che le sue dita mi avvolsero l’asta. Era solo una mano, ma non era la mia mano.

    Mi morsi il labbro, quando Marco iniziò un movimento sali e scendi lungo la mia asta. Era davvero diverso rispetto a farsi una sega da solo. Chiusi gli occhi assaporando quelle familiari sensazioni divenuto improvvisamente nuove.

    Spalancai subito gli occhi, quando Marco mi afferrò la mano destra e la tirò verso di sé. Mi mancò il fiato, quando il mio palmo toccò la sua asta liscia e calda.

    “Fai la tua parte,” mormorò lui.

    Le mie dita si strinsero attorno alla sua nerchia. Era strano. Era un cazzo così simile al mio, che la mia mano aveva stretto così tante volte, eppure fui attraversato da un brivido sconosciuto.

    Ammetto che ero spesso stato curioso di sapere come era il suo cazzo al tatto. Sembrava più grosso. E anche più duro.

    Iniziai il movimento che ero tanto abituato a fare. Osservavo ipnotizzato la sua pelle salire e scendere attorno alla sua cappella.

    Alzai gli occhi e vidi Marco con la testa leggermente all’indietro e il volto in estasi. Forse si accorse che lo fissavo, perché si voltò verso di me e i nostri sguardi si incrociarono.

    Fui preso dall’imbarazzo e riportai subito l’attenzione sullo schermo, dove la tettona aveva iniziato a fare un pompino.

    “E se me lo prendessi in bocca?” propose Marco.

    “Cosa? No!” esclamai, mollando la presa del suo cazzo.

    “Dai, dopo te lo faccio anch’io,” mi rassicurò lui.

    Forse era quell’intimità così sensuale oppure era la curiosità, ma la sua proposta mi sembrava troppo allettante. “Lo prometti che poi ci scambiamo?”

    Gli occhi di Marco si illuminarono, mentre annuì veemente, ruotando la sedia verso di me.

    All’improvviso il suo cazzo sembrava più grosso e largo di prima. Avrei voluto tirarmi indietro, ma Marco sembrava già assaporare quello che sarebbe successo e non sapevo come non rovinare le sue aspettative.

    Mi abbassai fra le sue gambe, mentre cercavo di capire come sfuggire a quella situazione. L’odore forte della sua virilità mi penetrò nelle narici come un colpo alla testa.

    Aprii le labbra e la sua cappella scomparve nella mia bocca. Non so esattamente cosa mi aspettavo, ma quando la mia lingua toccò il suo prepuzio e le mie guance avvolsero la sua asta, non sentii nulla di speciale.

    Era un grosso bastone nella mia bocca. O forse era quello di cui cercavo di convincermi. Quello è stato il mio primo pompino. Solo che lo stavo dando, non ricevendo.

    Presi a muovere la testa. Il suo cazzo scivolava sulla mia lingua, apparendo e sparendo sotto i miei occhi. Marco si lasciò andare contro lo schiena, gettando la testa all’indietro.

    Non so esattamente quanto tempo passò. Penso furono pochi minuti, ma a me sembrò che glielo avevo succhiato per un’eternità, quando inaspettatamente Marco gemette.

    Non feci in tempo ritirarmi, che un primo schizzo caldo mi colpì il palato. Poi un altro. E ancora un altro. Sentivo quel liquido denso accumularsi sulla lingua, mentre venni percorso da conati di vomito.

    Finalmente il suo cazzo scivolò fuori dalle mie labbra. Percepivo la sua sborra dondolare sulla mia lingua. Mi guardai intorno in panico.

    Dove potevo sputarla?

    Marco ridacchiava ancora in estasi, mentre con dei fazzoletti si dava una pulita al cazzo. Mi alzai di scatto e mi diressi verso la porta.

    Sentivo che stavo per vomitare.

    Mi fiondai in corridoio per correre verso il bagno, ma mi trovai di fronte la mamma di Marco.

    “Oh, Adriano, piano. Quanta fretta. Stai già andando a casa?” mi chiese Valeria, sobbalzando.

    Scossi il capo in senso di negazione, cercando di resistere al desiderio di parlare.

    “Stai bene? Sembri un po’ scosso.”

    Agitai la testa, indicando oltre lei, verso il bagno. La madre di Marco si fece da parte, mentre la superai forse con troppa irruenza.

    Mi gettai in bagno. Non appena ebbi chiuso la porta, mi piegai sul lavandino spuntai la sborra ancora calda di Marco. Tossii, mentre ebbi ancora una serie di conati.

    Guardai con disgusto il liquido bianco che colava lentamente verso lo scarico. Accessi l’acqua per farlo scomparire e feci qualche gargarismo.

    “Ora tocca a te,” dissi a Marco, tornando in camera, mentre quasi sbattei la porta alle mie spalle.

    “Eh? No, non posso adesso. Sono appena venuto. Non c’è più lo stesso clima di prima.”

    “Cazzo, no, me l’avevi promesso.”

    “Sì, ma sai come ci si sente dopo essere venuti, no? La prossima volta, va bene?”

    Alzai le spalle. “Vabbè, chi se ne frega. Ormai non ce l’ho neppure più in tiro,” borbottai. L’incontro con sua madre nel corridoio, mi aveva tolto ogni eccitazione.

    Poi ti faccio un pompino

    Nonostante quell’esperimento, fra me e Marco non cambiò nulla. A scuola eravamo seduti sempre uno di fianco all’altro e trascorrevamo ogni pausa insieme.

    “Devo farti vedere questo nuovo fumetto che ho scoperto. L’ho iniziato ieri sera, ma non riuscivo a smettere di leggerlo,” dissi a Marco, mentre uscivamo dalla scuola.

    Alla mia destra qualcuno mi spintonò, facendomi andare a sbattere contro Marco. “Fa’ attenzione dove cammini, sfigato,” esclamò Marcello, lanciandomi un’occhiata minacciosa.

    “Già, andate da un’altra parte a fare i perdigiorno. Questa è l’uscita. La gente vuole andare a casa, succhiacazzi” calcò Lucio, dando una gomitata a Marco dall’altra parte.

    “Sei tu che mi sei venuto addosso,” mi trovai a replicare. Non era la prima volta che ci insultavano così. Tuttavia, adesso quegli insulti avevano tutt’altro sapore.

    “Lascia stare, Adriano.” Marco mi afferrò per il braccio.

    “Ascolta il suo amichetto, ‘Ano. Stai buono al tuo posto,” ridacchiò Marcello.

    Mi pesa ammetterlo, ma io e Marco eravamo davvero gli sfigati della classe.

    “Quanto vorrei essere come Lucio e Marcello,” sospirò Marco.

    “Ma stai scherzando? Sono degli stronzi.”

    “Sono i più popolari della classe. Non dirmi che non sei invidioso di loro.”

    Fissai Lucio e Marcello allontanarsi, salutando di qua e di là. Non potevo negare che qualche volta avevo sognato di essere come loro: amati e ammirati da tutta la scuola.

    “Se fossimo loro amici, la nostra vita sarebbe molto più facile.”

    “Sono loro che ci rendono la vita difficile,” ribattei, mentre aprivo il lucchetto della mia bici.

    Pedalammo verso casa mia e ci chiudemmo in camera a giocare. Non ricordo esattamente cosa giocammo quella volta. Ma mi ricordo che fui io a perdere. Più di una volta.

    “Ahah, inculato un’altra volta. Oggi sono davvero un grande,” esclamò Marco, gettandosi indietro sul materasso.

    “Hai solo avuto fortuna,” mormorai a denti stretti.

    “Ahah, te l’ho messa in culo tre volte di fila. Ci vuole molto più di fortuna per questo risultato,” disse Marco. “A proposito di inculate… senti riguardo a quello che è successo settimana scorsa…”

    Sapevo che si stava riferendo al pompino dell’altra volta. Dopo quel giorno non ne avevamo parlato. Anzi, io avevo cercato di neppure pensarci.

    “E se… e se provassimo a fare anche.. sesso?”

    Non so esattamente di cosa mi aspettavo avrebbe voluto parlare riguardo a quella volta, ma sicuramente non prevedevo questa proposta.

    “Stai scherzando, vero? E poi non hai neppure preso in bocca il mio.”

    Mi rendevo conto che, formulando la frase in quel modo, stavo lasciando la porta aperta alla sua idea, ma credo che parte di me era ancora frustrato per non aver ricevuto il pompino.

    Io e Marco eravamo amici sin dall’infanzia. Tutte le nostre più importanti esperienze le avevamo condivise insieme. Adesso mi sembrava come se fossi rimasto indietro rispetto a lui.

    “Va bene. Io te lo succhio e tu… e tu mi fai provare quell’altra cosa.”

    Non mi aspettavo che Marco avrebbe acconsentito in questo modo. Forse in un altro momento mi sarei reso conto che non era uno scambio esattamente equo, ma volevo davvero sapere cosa si provava a ricevere un pompino.

    O forse mi volevo semplicemente sentire alla pari con lui. Eravamo gli sfigati della classe, ma in quel momento mi sembrava di essere io il più sfigato di noi due.

    Mi appoggiai la testiera del letto e mi abbassai pantaloni e mutande, svelando il mio cazzo che si stava già indurendo.

    Ai piedi del materasso Marco sembrò esitare e per un attimo temetti che anche stavolta non avrei sperimentato una bocca attorno al mio cazzo.

    Invece, si avvicinò a me. Abbassò la testa tra le mie gambe e la mia asta sparì fra le sue labbra.

    Non riuscii a trattenere un sospiro di piacere, mentre la sua lingua mia accarezzava il cazzo. Sentivo le sue guance umidi massaggiarmi la mazza.

    Forse perché era la mia prima volta, ma in un attimo percepii il piacere crescermi dentro.

    Proprio quando mi sfuggi un gemito, Marco lasciò che la mia nerchia scivolasse fuori dalla sua bocca.

    “Non ti fermare. C’ero quasi,” mormorai.

    “Lo so, ma anch’io ce l’ho duro. Prima che vieni fammi provare quell’altra cosa.”

    Era tutto il pomeriggio che, mentre giocavamo, non faceva che esclamare che me lo stava mettendo in culo, che mi aveva inculato. Adesso tutt’a un tratto non riusciva neppure a dirlo.

    Forse lo faceva per evitare di spaventarmi. Ci sono alcune cose che quando le nomini diventano spaventosamente reali. Anche se in quel momento volevo talmente che mi facesse venire, che avrei fatto qualunque cosa.

    “Come devo mettermi?” chiesi con troppa ingenuità. Probabilmente se non fossimo stati migliori amici non avremmo preso la situazione con così tanta naturalezza.

    “Eh, non lo so. Forse è meglio che ti sdrai sulla pancia?”

    Mi voltai lentamente. Avevo già i pantaloni abbassati per il pompino, quindi, quando mi sdraiai, svelai il mio culo a Marco.

    Stupidamente non potei fare a meno di chiedermi che faccia stesse facendo. Gli piaceva quello che stava vedendo? Il mio culo andava bene?

    Mi rendo conto che sono domande idiote, ma lui era mio amico e la sua opinione era importante per me.

    Affondai la testa nel cuscino. Non so se per prepararmi a quello che stava per accadere oppure per soffocare quei pensieri troppo teneri.

    “Sto per entrare. Va bene?” Quell’avviso era così imbarazzate. E poi perché mi chiedeva se andava bene? No, che non andava bene. Eppure era mio amico e all’improvviso volevo che fosse felice.

    Riuscii solo annuire, agitando la testa nel cuscino.

    Percepii la sua cappella sfiorarmi il buchino. O almeno penso fosse quella. Mi resi conto che in quella posizione ero all’oscuro di tutto quello che stava succedendo. E forse era meglio così.

    Marco premette contro il mio culo. Spinse con forza, ma nulla. Il mio corpo non voleva cedere.

    “È… è troppo stretto,” sbuffò infastidito.

    Avrei voluto dirgli che non era troppo stretto, ma che semplicemente lì non c’era niente, nessuna figa. Ma sapevo che tra le mie chiappe qualcosa c’era: un dimenticato buchino.

    “Prova a fare come fanno nei porno. Prova a… sputarci sopra,” mi trovai a suggerire con grande imbarazzo.

    Marco sputò. Sentii la sua bava colarmi tra le chiappe e le sue dita che la spalmavano bene. Quindi, riprovò.

    Prima non mi aveva fatto male, quindi, fu una sorpresa, quando prese a spingere e una fitta di dolore mi percorso la schiena fino alla testa.

    “Sta entrando,” esclamò euforico Marco.

    Sì, lo sento. La bocca si aprì, ma invece di quelle parole uscì un gemito di dolore. Per la prima volta percepii il mio buchino senza essere sulla tazza del gabinetto.

    Sapevo quanto era grande il cazzo di Marco, ma in quel momento mi pareva fosse dieci volte più grosso. Era come se un palo della luce mi stesse entrando nello stomaco.

    Le mie dita si strinsero alla coperta, mentre una nuova fitta di dolore mi percorreva il corpo.

    “È così stretto. Mi sembra di dovermi far largo a forza,” mugugnò Marco.

    Era un po’ come se il cazzo di Marco stesse smuovendo tutti i miei organi per crearsi uno spazio.

    “È tutto dentro. È bellissimo. Il tuo corpo caldo e umido mi avvolge tutto,” esclamò Marco. “Scusami, inizio a muovermi. È un istinto incontrollabile.”

    L’asta di Marco si ritirò, dandomi un attimo di sollievo. Poi mi si conficcò nuovamente dentro. Rapidamente quel movimento divenne ritmato.

    Mi sembrava che Marco mi stesse prendendo a calci in culo. Solo che i suoi calci mi percuotevano fin nello stomaco.

    Lentamente il dolore fece spazio a una nuova sensazione. Era un piacere simile a quello che senti quando inizi a farti una sega, soltanto che non mi stavo toccando.

    “Ci sono quasi. Sto per venire,” mugugnò Marco, ma ormai io non lo sentivo quasi più.

    Anch’io percepivo qualcosa.

    “Ah, cazzo, sborroooooh.” Nel momento in cui Marco esplose nell’orgasmo, fui percorso da un’ondata di piacere.

    Marco si accasciò contro la mia schiena. Il suo respiro affannoso mi riempì le orecchie.

    Infine, ruotò di lato, lasciando che il suo cazzo ormai esaurito si sfilasse dal mio culo, facendomi sussultare.

    Adesso sarebbe stato il mio turno di farmi fare il pompino. Tuttavia, Marco gettò le braccia dietro la sua testa sul cuscino e chiuse gli occhi, quasi come se stesse sonnecchiando.

    Avrei dovuto ricordargli la sua promessa, ma non me la sentivo più. Forse perché lui aveva appena fatto tutto quello sforzo. O forse semplicemente perché avevo ancora la sua sborra in culo e l’idea di girarmi e farmi fare un pompino mi imbarazzava.

    “Marco?”

    Di fianco a me il suo respiro si era regolarizzato. Si era davvero addormentato. Non potei fare a meno di fissarlo. Aveva il volto così rilassato e appagato.

    All’improvviso mi sentivo intimamente legato a lui. Nel profondo probabilmente ero anche segretamente contento di averlo reso felice.

    In ogni caso, avevo ancora il cazzo in tiro. Andai in bagno silenziosamente. Un paio di colpi di mano al mio cazzo e venni in un attimo.

    Sollevai la mia mano. Mentre osservavo la mia sborra sporcarmi le dita, non potei fare a meno di pensare alla sborra dentro di me, alla sua sborra nel mio culo.

    Nessuno è più vergine o quasi

    “Andiamo a casa mia a fare una partita?” Chiesi, mentre raccoglievo le mie cose dal banco.

    “Sì, però, prima fammi andare a pisciare,” mormorò Marco. “Non ce la faccio più. Non capisco perché la professoressa Bianchi si rifiuti di andare in bagno.”

    “Già, secondo me è una violazione dei diritti umani,” dissi, mentre uscivamo dall’aula.

    Marco si infilò nel bagno dei maschi e io rimasi in corridoio ad aspettare, mentre la fiumana di ragazze e ragazzi, professori e professoresse, si dirigevano verso l’uscita.

    Io e Marco non avevamo ancora parlato di quello che era successo l’ultima volta. Credo che nessuno di noi due osasse toccare l’argomento per motivi diversi.

    Quanto tempo ci sta mettendo? Guardai il telefono. Era dentro da almeno 15 minuti. Solo in quel momento mi accorsi che c’era del vociare all’interno.

    “Come se tu l’avessi fatto,” sentii esclamare a Marco, quando aprii la porta.

    Era in piedi di fronte agli orinatoi e stava fronteggiando Marcello e Lucio.

    “Forse io non l’avrò ancora fatto, ma di sicuro tu sei ancora vergine. Neppure il tuo amichetto si farebbe inculare da te,” ribatté Marcello.

    Marco distolse lo sguardo imbarazzato.

    Marcello lo fissò sorpreso, quindi, si voltò verso di me. Sapevo che avrei dovuto dire qualcosa, ma quello scambio di battute mi aveva preso alla sprovvista.

    Quindi, lui e Lucio si lanciarono uno sguardo che non seppi interpretare e scoppiarono entrambi a ridere.

    “Ahaha, allora, è vero. Non sei davvero più vergine,” disse Marcello, applaudendo. “Ecco perché eri così impudente oggi.”

    “Ma che figlio di puttana,” esclamò Lucio, mettendo un braccio attorno al collo di Marco e arruffandogli i capelli. “E noi che pensavamo che fossi un segaiolo smidollato e, invece, volevi tenere stretto quello che ti faceva i servizietti.”

    “Aveva promesso che poi lo faceva anche a me,” mi sfuggi. Mi rendevo conto che era una giustificazione ridicola e infantile, ma mi sentivo intrappolato in un angolo.

    “E tu gli hai creduto?” chiese, ridacchiando Lucio. “Grande, Marco. Sei stato un grande,” esclamò, sollevando la mano aperto verso Marco. Lui gli sbatté il cinque.

    Vedere Marco che rispondevano a quel gesto mi fece più male di essere stato chiamato “frocio”.

    “Se me lo succhi anche a me, giuro che poi ricambio,” disse Marcello, aprendosi la patta.

    “Ahah, sì, sì, anch’io, lo giuro,” si aggiunse Lucio, facendo altrettanto.

    “Siete un branco di stronzi,” esclamai e mi diressi verso la porta.

    “Ehi, dove speri di scappare?” Marcello mi bloccò la strada. “Non uscirai di qui senza averci fatto prima venire.”

    Spalancai gli occhi. Avevo pensato che prima stessero scherzando.

    Lucio mi sorprese alle mie spalle, afferrandomi da sotto le spalle. “Forza, in ginocchio,” mi ordinò. “Ragazzi come te non dovrebbero farsi pregare.”

    “Ehi, toglimi le mani di dosso,” esclamai, agitandomi senza successo nel tentativo di liberarmi dalla presa di Lucio.

    Di fronte a me Marcello si sbottonò la patta e si abbassò i boxer. Dai pantaloni sbucò fuori un cazzo già in tiro.

    “Non fare tutta questa scena,” disse, sventolando la sua asta. “L’hai già avuto un cazzo in bocca. Non puoi più nasconderti.”

    “Lasciatemi andare, vi prego,” quasi singhiozzai, mentre gli occhi mi si inumidirono.

    “Ma certo che ti lasceremo andare,” disse Marcello, afferrandomi il mento fra le sue dita. “Ti lasceremo andare, non appena avrai fatto godere anche noi.”

    Alle mie spalle Lucio mi diede un colpo sul retro del ginocchio. Le mie gambe cedettero e mi trovai in ginocchio.

    Marcello puntò la sua asta verso le mie labbra. Girai la testa, ma Lucio mi premeva dalle spalle e non riuscivo a divincolarmi.

    “Apri quella cazzo di bocca,” sibilò Marcello sempre più impaziente. “Vuoi che tutta la scuola sappia che te lo sei fatto mettere in culo?”

    I miei occhi incrociarono quelli di Marco. Lo supplicai con lo sguardo di venire in mio aiuto. Marco mi fissò per un lungo istante, il volto velato di tristezza. Sembrò fare un passo verso di me, ma si bloccò e abbassò lo sguardo.

    “Davvero pensi che verrebbe in tuo soccorso?” Mi chiese Marcello, sogghignando. “È lui che te l’ha messo in bocca, è lui che te l’ha messo in culo. Marco è come noi.”

    Alzai gli occhi verso Marcello e aprii la bocca nel tentativo di replicare, ma mi afferrò la testa fra le mani.

    “E ora fai attenzione ai denti,” disse e spinse il suo cazzo fra le mie labbra.

    Avrei voluto resistere, ma vedere Marco, lì, immobile che non osava sollevare una mano in mia difesa, mi aveva privato di ogni volontà.

    Marcello gemette, mentre la sua asta scivolava sulla mia lingua, contro il palato.

    “Forza, fa buon uso di questa testolina di pompinaro che ti ritrovi,” mormorò Marcello, dandomi il ritmo con le sue mani.

    Quasi meccanicamente iniziai a muovere la testa, lasciando che la sua mazza scorresse dentro e fuori dalle mie labbra.

    “Oh, sì, è… è fantastico,” gemette Marcello. “Avevo ragione che eri un succhiacazzi.”

    Quelle parole mi fecero sentire particolarmente mortificato. Quante volte mi aveva chiamato così e adesso stavo dimostrando che era vero.

    Non so per quanto tempo il suo cazzo si agitò nella mia bocca. Mi sembrava che la sua asta non riempisse solo la mia bocca, ma stesse colmando ogni cosa.

    “Fermo, basta,” mormorò a un certo punto Marcello e mi spinse via la testa, premendo la mano contro la mia fronte.

    Per un attimo pensai che si fosse ravveduto, che si fosse reso conto di quello che mi stava facendo.

    “Non finirò questa giornata ancora vergine,” esclamò. “Non sarai più l’unico uomo del nostro gruppo,” aggiunse, rivolgendosi a Marco.

    “No, per favore, quello no,” dissi, cercando di sgattaiolare via. “Te lo succhierò ancora, ma quello no. Ti prego.”

    Marcello e Lucio scoppiarono a ridere.

    “Senti, senti come adesso è così voglioso di succhiare il cazzo,” commentò Lucio, avvicinandosi a me. “Forza, allora occupati del mio.”

    “Cosa? No, anche il tuo no,” esclamai. “Ho fatto quello che voleva Marcello. Adesso fatemi andare via.”

    “Uno come te dovrebbe essere sempre silenzioso come se avesse un cazzo in bocca di fronte a dei ragazzi come noi,” disse Marcello.

    “Magari non ha ancora imparato,” aggiunse Lucio. “Vedrai che con il mio imparerà a stare muto.”

    Lucio mi piantò il suo cazzo di fronte alle labbra. Cercai di resistere, ma Marcello mi afferrò per i fianchi e mi sollevò il culo.

    Feci per oppormi, ma Lucio mi conficcò il suo cazzo in gola.

    “Fai quello che devi fare e vedrai che finirà tutto bene,” mi sussurrò all’orecchio, Marcello, mentre le sue mani si strinsero alla mia cintura e mi tirarono giù mutande e pantaloni con un colpo solo.

    Avevo il culo all’aria di fronte a Marcello. Non mi ero mai sentito così indifeso, così debole. Le sue dita mi tastarono le chiappe.

    “Le tette sono fighe,” mormorò. “Ma un culo… un culo a tutto. Anche un buco della forma giusta.”

    Sussultai al tocco del suo dito contro il mio buchino. Marcello spinse e un gemito fu strozzato dal cazzo di Lucio.

    “Com’è stretto. Sei sicuro che non sei più vergine?” Chiede Marcello a Marco.

    “Certo, l’ho già fatto,” replicò lui preso nel vivo.

    “Stai calmo. Chiedevo solo.”

    “Sputaci sopra,” suggerì Lucio. “Ho visto che si fa.”

    Marcello scatarrò e un filo di sputo mi colò caldo sul buchino. Nuovamente il suo dito mi sfiorò tra le chiappe. Premette e stavolta entrò, facendomi sobbalzare.

    “È… è così morbido, caldo e stretto. Non è niente come la bocca.”

    Marcello fu preso dalla foga. Puntò la sua cappella contro il mio culo e spinse. Stavolta non entrò. Spinse ancora. Ancora.

    Il cazzo di Lucio mi cadde dalle labbra e lanciai un urlo.

    “AAAAAAAAH.”

    Marcello era, infine, entrato. Troppo forte e troppo veloce.

    “Uh, fa male,” disse Lucio, facendo una smorfia di dolore.

    “No, è la cosa più bella che abbia mai provato,” mormorò Marcello completamente assorbito dalle sue sensazioni.

    “Eheh, mi riferivo a lui, non a te.”

    “Ah, sì, beh, è per quello che è lui quello che viene inculato e non noi.”

    Marcello si ritrasse, portandosi dietro la sua asta, ma non ebbi il tempo per riprendere fiato. Un’altra fitta di dolore mi fece inarcare la schiena, quando la piantò nuovamente in profondità.

    “Chi viene preso per il culo, alla fine lo prende davvero in culo,” sghignazzò Lucio.

    “Ormai un piglianculo è bravo a fare solo una cosa,” mormorò Marcello con la voce spezzata dalla goduria. “Deve essere bravo a incassare le battute. O le botte.”

    Terminò la frase assestandomi un colpo che mi trasmise una fitta fino nello stomaco.

    Sembrava che stesse sondando la sua forza. Poi i suoi colpi divennero più ritmati. Era veloce, quasi frenetico.

    Fortunatamente era davvero la sua prima volta. Non gli ci volle molto prima di raggiungere l’apice.

    “Ooooohu, sììììì, godooooh,” esclamò senza ritegno, mentre percepii la sua mazza pulsare dentro di me.

    Mi diede ancora alcuni stanchi affondi, ma fortunatamente il suo cazzo stava tornando alle sue misure originali. Infine, si staccò da me con alcuni bassi traballanti.

    “Se avessi saputo prima che con uno sfigato come te si poteva godere così tanto, te l’avrei messo in culo molto tempo fa,” disse Marcello, sistemandosi il cazzo ormai moscio nei pantaloni. “Ehi, Marco, che fai ancora lì impalato. Dai, vieni unisciti a noi. Un buco è libero.”

    Marcello fece cenno con il braccio a Marco di avvicinarsi. Il mio amico mi lanciò uno sguardo incerto.

    Scossi il capo con il cazzo di Lucio in bocca.

    “Ehi, resta concentrato,” esclamò Lucio, stringendomi la testa fra le sue mani.

    “Forza, Marco,” lo incitò ancora Marcello. “Facci vedere che sei uno di noi.”

    Dopo un lungo attimo di esitazione che mi fece sperare, Marco si avvicinò a me e si portò alle mie spalle.

    No, no, Marco. Ti prego, no.

    Percepii la sua cappella sfiorarmi il buchino. Quindi, scivolò dentro. Scivolò dentro con troppa facilità. Non so se per la sborra di Marcello o perché davvero mi aveva rotto il culo.

    Ma a Marco non sembrò importare. Mi strinse per i fianchi e prese a cavalcarmi con una foga che non conoscevo.

    Non che l’altra volta fosse stato premuroso, ma la presenza degli altri due sembrava accentuargli la veemenza.

    Lucio di fronte a me mi afferrò la testa fra le mani e prese a scoparmi la bocca. Era come se mimasse i gesti di Marco. Mi stavano scopando all’unisono.

    Poi le loro cappelle si gonfiarono, le loro asta divennero più dure. Come un duo stonato Lucio e Marco gemettero rumorosamente.

    “Cazzo, vengoooooh,” gridò Lucio.

    “Sborrooohah, sìììì,” gli fece eco Marco.

    “Uao, siamo venuti insieme. Siamo amici di orgasmo,” esclamò ansante Lucio, alzando il palmo della mano verso Marco.

    Dopo un momento di titubanza, Marco gli batté il cinque, sorridendo sghembo. Alle sue spalle Marcello gli mise un braccio attorno a collo.

    “E adesso la nostra sborra è unita in questo culorotto,” aggiunse. “È più di un patto di sangue.”

    “Dai, ragazzi, andiamo al parchetto. Ho bisogno di sgranchirmi un po’ le gambe,” disse Lucio, chiudendosi la patta.

    “Dai, Marco, vieni a giocare con noi,” aggiunse Marcello, aprendo la porta.

    “Magari un’altra volta. Adesso mi do una sciacquata,” disse Marco, salutandoli con un cenno della mano.

    “Come vuoi. Se cambi idea, sai dove trovarci.”

    Quando la porta si chiuse, nel bagno scese il silenzio. Ero ancora per terra con i pantaloni abbassati. Marco era in piedi di fianco a me.

    Infine, mi sollevai in piedi. Avevo le gambe indolenzite. E non solo quelle. Mi tirai su in pantaloni senza asciugarmi. Volevo nascondere il corpo del reato.

    “Mi dispiace,” disse Marco, portandosi al lavandino.

    “Il tuo… sperma dentro di me, dice il contrario,” mormorai, afferrandomi un braccio.

    “Non avevo scelta. Poteva finire male.”

    “Più di così?”

    “Sai cosa intendo.”

    No, non lo sapevo. Aveva paura che sarebbe stato picchiato? O forse aveva paura di fare la mia fine?

    Ma in quel momento non aveva più importanza.

    “Ti va ancora di venire a casa mia a giocare?” Riuscii solo a chiedere.

    “Eh, non so. Sono un po’ scosso per quello che è successo. E sono stanco. Mi sa che vado a casa mia.”

    Non potei far altro che annuire. Marco raccolse il suo zaino e corse via.

    È qualcosa che lega noi maschi

    “Siete andati via insieme dopo, vero?” chiesi quasi di sfuggita.

    “Quando?”

    “Lo sai quando,” replicai irritato. “Quando sei corso via. Non sei andato a casa.”

    Marco mi fissò per un lungo istante senza sapere cosa rispondere.

    “Pensavo fossimo migliori amici,” mormorai.

    “Siamo ancora amici,” confermò Marco. “Però, devi capire che finalmente Valerio e Marcello mi trattano come uno di loro. Sono anche loro miei amici adesso.”

    “E perché anch’io non posso stare con voi?” Era una domanda che mi costava molta fatica.

    “Eh, non so, il fatto è che… io e loro condividiamo qualcosa. Capisci?”

    “Sì, condividete il mio culo,” esclamai.

    “Sssss, non alzare la voce,” mormorò Marco.

    “Perché adesso ti vergogni di quello che fai?”

    “Non ho nulla di cui vergognarmi io. Lo dicevo per te.”

    “L’abbiamo iniziato insieme questo. Perché adesso deve essere tutto diverso?” lo chiesi quasi con disperazione.

    “Mmmmh, perché è così difficile per te capirlo? Sì, è vero: condividiamo il tuo culo. Ma sopratutto sperimentiamo l’orgasmo insieme. Ho visto Marcello e Valerio nel loro momento più intimo, dove davvero sono senza barriere. È qualcosa che lega noi maschi.”

    “Sono anch’io un maschio.”

    Marco si voltò verso di me, offrendomi la più compassionevole delle espressione.

    “Sì, sei un… maschio,” concesse Marco, agitando le mani indicando tutto il mio corpo. “Ma non sai che cosa significa essere veramente un maschio. Tu non sei come me, come noi.”

    “E che cosa sono?”

    “S-sei… sei…”

    “Dillo,” sibilai, facendo spazientire Marco.

    “Sei un… ROTTINCULO.” L’ultima parole gli uscì in un urlo. Le ragazze e i ragazzi nel cortile si voltarono tutti verso di noi.

    Per un lunghissimo istante tutta la scuola sembrava in silenzio. Poi le chiacchiere e i rumori ripresero come se nulla fosse.

    “Ho capito,” mormorai, infine, alzandomi. “Non ti vergogni di quello che fai. Ti vergogni di me.” Non osai neppure sollevare lo sguardo dal suolo.

    Mi allontanai senza dire più nulla. Marco rimase seduto.

    Il giorno seguente, quando tornai a scuola, Marco mi salutò, ma io voltai lo sguardo. Mi scrisse messaggi e io non risposi. Continuai così per giorni, finché Marco sembrò arrendersi.

    Non so, perché ma quel silenzio mi fece più male di quello che avevo immaginato. Forse una parte di me sperava che avesse insistito ancora. Che sarebbe venuto a cercarmi e tutto sarebbe tornato come prima.

    Mi voltavo dal mio banco in seconda fila e vedevo Marco ridere e scherzare con Marcello e Valerio. Lui aveva ancora loro. Non aveva bisogno di me, della nostra amicizia.

    Quella sera, quando tornai a casa, mi gettai sul letto e scoppiai a piangere. Piangevo e pensavo ad Marco. E più pensavo a lui, più mi diventava duro.

    Insinuai la mano tra i miei pantaloni e mi strinsi il cazzo in completa erezione. Iniziai a muovere la mano. Prima piano, poi più veloce. Era un ritmo quasi frenetico.

    Non aveva importanza quanto cercassi di pensare ad altro. La mia mente tornava inesorabilmente a Marco.

    Ma non semplicemente a Marco. A Marco che mi infilava il cazzo in culo. A Marco che mi faceva sentire la sua forza.

    “Ah, aaaah, sìì.”

    A Marco che viene dentro di me.

    Estrassi la mano dai miei pantaloni. Le dita era sporche di denso liquido bianco.

    Ero venuto, ma sembrava tutto sbagliato. Avevo provato piacere. O forse nella mia mente era Marco che aveva provato piacere.

    Forse aveva ragione lui? Ero… non riuscivo neppure a pensare alla parola con cui mi aveva chiamato.

    O forse semplicemente mi sentivo solo.

    Fa più male un cazzo in culo o la solitudine?

    Suonai il campanello. La porta si aprì e mi trovai di fronte Marco in maglietta e pantaloncini.

    “Che ci fai tu, qui?” chiese con freddezza.

    “Vo-volevo salutarti.”

    “Non eri altrettanto sollecito a scuola,” rispose Marco, distogliendo lo sguardo. “E non hai risposto ai miei messaggi.”

    “Mi dispiace,” mormorai.

    “Entra.” Marco si fece da parte per aprire di più la porta.

    “Dillo ancora,” disse, quando ebbe chiuso la porta alle mie spalle. “Inginocchio.”

    La richiesta mi prese alla sprovvista. Mi guardai intorno, cercando di percepire qualche rumore dalla cucina o dal salotto.

    Ma sicuramente i suoi genitori non dovevano essere a casa, se mi faceva questa richiesta. Appoggiai un ginocchio per terra e poi l’altro.

    “M-mi dispiace,” dissi, alzando lo sguardo. Marco mi fissava dall’alto verso il basso con un sguardo duro.

    Portò le mani ai pantaloncini e se li tirò giù. Non indossava le mutande. Il suo cazzo era già mezzo in erezione.

    “Dillo con questo in bocca.”

    Non sarebbe stata la prima volta che glielo prendevo in bocca. Tuttavia, sentivo che in questo caso era diverso. Avevo come la certezza che se mi fosse rifiutato, sarei dovuto uscire da quella porta e Marco l’avrebbe per sempre chiusa alle mie spalle.

    Volevo tornare a essere suo amico.

    Ma sapevo che se avessi accettato, avrebbe significato legare la nostra amicizia a questo. Ci può essere amicizia con un tale sbilanciamento di potere?

    Socchiusi le labbra e allungai il collo. Afferrai la sua asta con la mano e lasciai che la cappella mi scivolasse in bocca.

    Marco si spinse in avanti e il suo cazzo strofinò contro le mie guance, contro il mio palato.

    “Dillo,” mormorò nuovamente Marco.

    “Mmmmgdmmmduah.”

    Marco mi afferrò la testa fra le sue mani e prese muovere il bacino. Il suo cazzo scorreva fin in profondità nella mia gola.

    “Visto che il mio saluto sembrava toglierti la voce, immagino che adesso non sarà un problema se è il mio cazzo a ridurti in silenzio.”

    Marco sembrava particolarmente arrabbiato. Il suo cazzo mi irritava la gola. La sua asta picchiava così in profondità, così rapidamente che non avevo neppure il tempo di riprendere fiato.

    Stavo soffocando.

    Mi staccai da lui. La sua nerchia scivolò fuori dalle mie labbra con un rivolo di saliva e presi.

    “Cough, cough,” tossii con violenza.

    “Hai ragione a essere arrabbiato. Scusami,” dissi, quando finalmente riuscii a respirare regolarmente. “Volevo solo che fossimo ancora amici.”

    “Se tu fossi stato un vero amico, avresti accettato di vedermi felice. Finalmente facevo parte del gruppo.”

    “Ero contento per te, ma non volevo sentirmi escluso,” mormorai quasi lacrimando.

    “Ti sei escluso da solo.”

    “Che cosa dovevo fare? Loro non riuscivano a vedermi come qualcosa di più di uno che lo prende in…”

    “Sì, perché per loro sei solo questo: un rottinculo.”

    “E per te no?”

    “No, noi siamo prima di tutto amici, ma tu lo prendi effettivamente in culo. Come lo prendevi da me, potevi anche prenderlo da loro.”

    “Ma… ma era diverso proprio perché eravamo amici.”

    “E loro sono miei amici. Se non vuoi farlo per loro, fallo per me.”

    Non so esattamente cosa intendesse. Forse voleva che mi facessi scopare da Marcello e Lucio, perché così potesse continuare a essere amici. O forse voleva solo che mi facessi scopare almeno da lui.

    Una cosa o l’altra sapevo che c’era una sola risposta. Abbassai lo sguardo e mi voltai. Mi tirai lentamente giù i pantaloncini, quindi, anche le mutande. Con il culo all’aria mi posizionai a quattro zampe.

    Marco si lasciò colare lo sputo sul cazzo e se lo spalmò bene. Poi le sue dita umide mi sfiorarono il buchino.

    Fu un attimo. Marco si avvicinò a me con l’elsa del suo cazzo stretta nella mano e puntò tra le mie chiappe.

    “Non ne potevo più di farmi le seghe,” mormorò, mentre prese a spingere.

    Trattenni un gemito di dolore. La sua cappella riuscì, infine, a forzarsi l’ingresso. Mi sfuggi un lamento, mentre una fitta di dolore mi percorreva la spina dorsale.

    “È sempre così stretto. Quanto mi era mancato.”

    Non potei fare a meno di chiedermi, se gli era mancato più io oppure il mio culo. Ma non ebbi tempo per affliggermi con quei pensieri.

    Marco mi afferrò per i fianchi e prese a fottermi con veemenza. Ormai sembrava già piuttosto esperto.

    Io non potevo far altro che cercare di restare saldo e incassare i suoi colpi.

    All’improvviso le botte si interruppero. Il mio corpo ritrovò la calma. Marco si era fermato.

    “Forza, muovi il culo,” mi ordinò Marco.

    “C-come?” Non capivo cosa volesse che facessi.

    “Impalati da solo. Dimostrami che hai davvero a cuore la mia felicità.”

    Spinsi lentamente il mio culo indietro. Il cazzo di Marco mi scivolava piano in profondità. Quindi, mi piegai in avanti.

    “Più veloce.”

    Appoggiai saldamente le mani contro il pavimento e presi a muovermi più rapidamente. Avanti e indietro. Avanti e indietro.

    Quel movimento… era qualcosa così intrinsecamente naturale. Era quello il movimento di un maschio che scopa. Eppure quello stesso gesto adesso mi faceva sentire solo umiliato.

    Alle mie spalle Marco ansimava, mentre facevo scivolare la sua asta dentro di me, dentro la mia carne.

    Fino a quel momento avevo potuto nascondermi dietro l’illusione che quella che subivo soltanto. Con i loro colpi di bacino si prendevano il loro piacere.

    Ma adesso quell’illusione si era infranta. Con quello stesso movimento di bacino, quel movimento così maschile, non mi stavo prendendo il mio piacere, ma lo stavo dando a lui.

    “Marco, dove ti sei cacciato? Ti stiamo aspettando da un pezz…” Marcello apparve dal corridoio e si blocco di fronte a noi.

    “Che merda succede?” esclamò Lucio, apparendo alle sue spalle.

    “Che cazzo ci fa lui qui?” chiese Marcello.

    Marco mi afferrò la testa per i capelli e mi obbligò a sollevare gli occhi. Incrociai gli sguardi tra il disgustato e il sorpreso degli altri due.

    “Digli perché sei venuto,” mi ordinò Marco.

    “Volevo salutarlo,” mormorai.

    “Digli la verità,” insistette Marco.

    La verità? Perché ero veramente venuto in quella casa?

    “M-mi sentivo solo,” dissi.

    Marcello e Lucio scoppiarono a ridere.

    “Così, ti manca il tuo amichetto?” Mi provocò Lucio.

    “Hai il perso il tuo unico amico molto tempo fa, quando gli hai succhiato il cazzo la prima volta. Avresti dovuto pensarci prima.”

    “Non puoi aspettarti di inginocchiarti davanti a un ragazzo e credere che continuerà a considerarti alla sua pari, una persona degna della sua amicizia.”

    Marcello si abbassò la cerniera della patta con enfasi e il suo cazzo sbucò fuori già in completa erezione. “L’unico modo che rimane a uno come te per trascorrere ancora del tempo con noi, è facendosi scopare.”

    Marcello mi afferrò la testa fra le mani e avvicinò la sua asta minacciosamente verso il mio volto. Sentii che non avevo altra scelta che aprire le labbra e accogliere la sua asta in bocca.

    Non appena la sua cappella raggiunse il palato, Marcello prese a muovere il bacino. La sua mazza scivolava sulla mia lingua, colpendo ritmicamente il mio palato.

    “Lo vedi? Come si può conversare con qualcuno che ha sempre un cazzo in bocca?”

    Alle mie spalle Marco riprese a muoversi.

    “Non hai neppure il controllo sul tuo corpo,” aggiunse Lucio, dandomi una sculacciata. “Sei praticamente un oggetto.”

    Marco gemette, gemette come mai prima di allora. Mi sembrò quasi di sentire la sua sborra colmarmi il culo.

    Non appena ebbe estratto la sua asta, Lucio riempi il suo posto.

    “Pare che qualcuno avesse davvero bisogno di svuotarsi le palle,” mormorò fra il disgustato e il divertito. “La tua sborra trabocca.”

    Sentivo un filo di liquido caldo e denso colarmi lungo la coscia.

    Quindi, fu il turno di Marcello sbarrarmi in bocca, prima che fosse seguito a ruota da Lucio. Quando si staccarono da me, crollai sul pavimento come un peso morto.

    Marco si avvicinò a me e mi porse dei fazzoletti. “È meglio che ti dai una pulita prima di andare.”

    Non so che cos’altro mi ero aspettato. Allungai la mano e presi i fazzoletti. Mi asciugai fra le chiappe e mi risistemai.

    Marcello mi aprì la porta alle spalle.

    “Ci vediamo domani,” disse, quando fui fuori.

    Mi sbatté la porta in faccia. Rimasi ancora per un lungo istante a fissare quella parete in legno. Li sentivo chiacchierare e ridere all’interno.

    Alla fine non potei far altro che voltarmi. Con passo lento e pesante uscii dal vialetto.

    Sentivo ancora una forte solitudine stringermi il petto. Il vuoto che avevo dentro non era diminuito, anzi era diventato più grande e mi sembrava di cadere in me stesso.

    All’improvviso mi sentii ridicolo. Ero stato uno sciocco come solo un adolescente può essere.

    Non tornai più in quella casa. Non cercai più Marco. Avevo creduto di aver perso un amico per colpa mia, ma in realtà era lui ad aver scelto di non essermi più amico.

    Non potei fare a meno di pensare che in tutti questi anni lo avevo mal giudicato.

    Non ho avuto molte relazioni, ma con quelle poche ragazze e anche qualche ragazzo che sono stato, ho imparato che il sesso vero richiede complicità e un sincero rispetto.

    Ah, se a qualcuno dovesse interessare, l’amicizia fra Marco e gli altri due non è durata molto. Senza il loro capro espiatorio hanno cercato di sfogare l’uno sull’altro le loro tensioni sessuali.

    Ma non è finita bene.


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