Io sono un maschio, tu un ricchione

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    “Venite. Fate piano” Marco si portò un dito alla bocca e ci fece cenno di fare silenzio, mentre ci guidava tra i pini marittimi e le querce del boschetto.

    “Ma quella non è la casetta degli attrezzi di tuo cugino?” Chiesi, quando sbucammo fuori dai cespugli.

    Marco sorrise e annuì.

    “Che cos’è questo rumore? Sembra un animale.” Massimo si guardò intorno, cercando di capire da che parte provenissero quella specie di latrati.

    Ci avvicinammo piano al casotto in legno. I versi provenivano da lì. Sembravano dei gemiti affannati.

    “Guardate.” Disse Marco, dopo aver dato un’occhiata dentro in una fessura tra gli assi di legno.

    “Ma… ma quello è tuo… cugino.” Balbettai, quando infine sbirciai nella casetta. Mi mancò il respiro.

    Vincenzo era in piedi in mezzo alla stanza. Ai suoi piedi, inginocchiato di fronte a lui, c’era un uomo. Il pisello di Vincenzo appariva e spariva tra le sue labbra.

    Avevo solo 14 anni. Era la prima volta che vedevo delle persone fare sesso. Era un’epoca diversa da quella di oggi. Non c’era internet e i giornali porno erano difficili da trovare.

    “Quello… quello è un ricchione.” Esclamò Massimo, spalancando gli occhi per la sorpresa.

    “Ricchione? Cos’è?” Chiese Nicola.

    “Ma non sai niente, tu?” Giuseppe scosse il capo. “Quello che che sta succhiando la minchia di Vincenzo. Quello è un ricchione.”

    Il cugino di Marco era molto più grande di noi. Si era sollevato la maglietta e se l’era fatta passare oltre il collo. La luce che filtrava dalla finestra faceva risaltare i suoi pettorali ricoperti da una scura peluria.

    Vincenzo aveva gli occhi chiusi. La testa reclinata all’indietro. Si mordeva il labbro. Mi chiesi che cosa stesse provando di così piacevole.

    “Fermo. Ora voltati.” Vincenzo riaprì gli occhi e spinse via la testa del ricchione, premendo sulla sua fronte.

    Il ricchione si alzò e si avvicinò al tavolo lì vicino. Si abbassò i pantaloni e poi le mutande. Faticammo a trattenere le risate alla vista del suo culo.

    “Che cosa sta facendo?” Massimo rimase a bocca aperta, quando vide Vincenzo portarsi alle spalle di quel uomo, allungando una mano al suo culo, e afferrandosi l’elsa della sua mascolinità.

    Il pisello di Vincenzo era enorme. O almeno lo era rispetto al mio di ragazzino. Era completamente in tiro. Una folta peluria lo incoronava e risaliva fino a lambirgli gli addominali muscolosi.

    In quel momento mi promisi che sarei diventato come Vincenzo, un vero maschio.

    E poi Vincenzo spinse. Il ricchione lanciò un grido, inarcando la schiena. Vincenzo gli aveva conficcato la sua mazza nel culo. Gli aveva rotto il culo.

    Vincenzo lo afferrò per i fianchi e prese a muovere il bacino. L’asta cominciò a riapparire quasi del tutto.

    Poi nuovamente Vincenzo la piantò dentro con forza. A ogni botta il ricchione gemeva come se fosse stato accoltellato, mentre Vincenzo era particolarmente concentrato.

    Vincenzo iniziò ad accelerare il ritmo. Gli affondi divennero sempre più frenetici. Il suo respiro divenne affannoso. Il volto di Vincenzo si contrasse in una smorfia di piacere. Gemette. Gemette rumoroso, mentre diede le ultime disordinate botte.

    Aveva il fiatone. Gocce di sudore brillavano sui peli del suo petto. Si ritirò piano. Il suo arnese esausto si sfilò e un zampillo bianco balzò fuori imbrattando il pavimento. Un liquido denso colò da culo dell’uomo, macchiandogli la coscia.

    “Gli è venuto dentro.” Disse, sempre più sconvolto, Massimo.

    “Fai piano.” Lo redarguì Marco.

    “Ehi, chi minchia c’è lì?” La voce di Vincenzo era minacciosa.

    Ci scambiammo uno sguardo spaventato e, ridendo, fuggimmo via. Forse temevamo ci avrebbe punito nello stesso modo con cui le aveva date a quell’uomo.

    “Quel ricchione non riuscirà a sedersi per un po’.” Osservò, ridacchiando, Giuseppe, quando infine smettemmo di correre.

    “Ma perché lo ha fatto?” Chiese Nicola.

    “Come perché? Non ti viene mai duro il cazzo? Tutti i maschi vogliono scopare.”

    “Intendo l’altro.”

    “È un ricchione. Cos’altro doveva fare? Qualcuno deve piegarsi agli istinti del maschio. Fa parte della nostra natura. Dobbiamo sfogare le nostre tensioni sessuali.”

    “Ma le ragazze?”

    “Ma sei scemo? Vai con una ragazza e vedrai che il giorno dopo il padre sarà a casa tua e ti trancerà via il cazzo.”

    Ebbi un tremito a quelle parole.

    “E se vai con una già sposata, finisci ancora peggio.” Intervenne Massimo. “Ho sentito che il padre di Francesca, quando ha scoperto che sua moglie se la faceva con il panettiere, ha preso tutti suoi amici e sono andati in panetteria. Gli hanno rotto il culo. Ma rotto davvero. Peggio che a quel ricchione.”

    Con quelle immagini minacciose ci salutammo. Massimo, Giuseppe e Marco andarono a destra e io e Nicola a sinistra.

    “Cavolo, quanto mi sarebbe piaciuto essere al posto di Vincenzo. Quando sarò grande vorrei essere un uomo come lui.”

    “Antonio…”

    “Che c’è?”

    “E se provassimo noi?”

    “Che cosa?”

    “A fare quello che faceva Vincenzo.”

    “Per chi mi hai preso? Non sono mica ricchione, io.”

    Nicola abbassò lo sguardo imbarazzato. Camminammo per un po’ in silenzio. Nicola era il più minuto del gruppo. Era timido e così ingenuo. Viveva un po’ nel suo modo, dove tutti erano brave persone.

    Non posso negare che avevo il pisello in tiro fin da quando ho dato la prima occhiata dentro quel casotto. Era duro e non ne voleva sapere di tornare alle sue normali misure.

    Mi era già capitato che mi diventasse così duro, ma normalmente riuscivo a calmarmi. Stavolta, però, quella scena che avevamo visto, mi stava perseguitando.

    “Ehi, Nicola. Vuoi provare a prendermelo…”

    Nicola alzò gli occhi. Mi fissò per un lunghissimo istante in silenzio. Temetti che scopiasse a ridere e sarebbe corso dagli altri a raccontargli quello che gli avevo chiesto.

    Poi, infine, annuì. Uscimmo dal sentiero e ci appartammo tra gli alberi.

    Mi abbassai i pantaloni e mutande tutte in un colpo e il mio pisello balzò fuori.

    “Ecco.” Dissi, semplicemente.

    Nicola si sorprese a quella vista. Forse la mia virilità non era poi così misera come temevo. Certo, dovevo crescere ancora per poter competere con Vincenzo.

    Nicola era particolarmente a disagio. Eppure era stato lui a fare la prima mossa. O forse no?

    “Non vuoi provare a toccarlo?” Chiesi.

    Nicola allungò la mano. Le sue dita si avvolsero attorno alla mia asta. Erano fresche e piacevoli. Iniziò a muovere la mano su e giù come probabilmente si segava lui. Però, era piuttosto impacciato.

    Era diverso rispetto a farlo con la propria mano. Era più rilassante. Mi potevo concentrare sul piacere, su ogni sensazione.

    “Non vuoi provare a fare come quel ricc…?” Non osai terminare la parola, temendo che Nicola si sarebbe tirato indietro a essere paragonato a quel tipo.

    Nicola non rispose, ma si inginocchiò, dopo essersi guardando in giro cauto.

    Era strano vedere il mio amico piegato di fronte a me. Alzò lo sguardo. I suoi occhi incrociarono i miei. Lo fissavo dall’altro verso il basso. Chi era quel ragazzo ai miei piedi?

    Nicola avvicinò la testa alla mia virilità. Socchiuse le labbra. Non mi ero mai reso conto di quanto fossero attraenti.

    Poi la mia cappella scomparì nella sua bocca. E poi il resto dell’asta sembrò essere risucchiato dalle sue guance.

    Ah, era bellissimo. Sentivo la sua lingua calda solleticarmi il pisello. Dentro era caldo e morbido. Poi Nicola prese a muovere goffamente la testa. La mia mazza scivolava nella sua bocca umida.

    Era una sensazione nuova. Non avevo mai provato un piacere così.

    Fu un istante. Gemetti. Gemetti, forzando la voce come quella di Vincenzo. Fremetti tutto. La mia nerchia pulsò e schizzi bianchi centrarono la bocca di Nicola.

    Lui si ritirò, ma altri getti lo colpirono ancora, stavolta in faccia. Quel liquido denso e bianco, che aveva macchiato il culo del ricchione, colava sulla guancia di Nicola.

    Nicola sputacchiò il mio seme che gli era arrivato in bocca. Io ero in estasi e non ci feci caso. Era la cosa più bella che avessi mai provato finora.

    Mentre Nicola si rimetteva in piedi, riposi il mio pisello ormai tornato alle sue usuali misure.

    Ritornammo in silenzio sul sentiero. Non parlammo finché non arrivammo a casa e ci salutammo.

    Quella fu la prima volta, ma non fu l’ultima. Dopo quel pompino se ne susseguirono molti altri, e anche molto di più.

    “Ah, mi fa male, Antonio.”

    “Resisti un po’, Nicola. È stata una giornata impegnativa in università. Ho veramente bisogno di sfogarmi.”

    Gli schiacciai la schiena con un mano per rimetterlo a 90 gradi. Poi spinsi con forza. Il mio cazzo entrò tutto in un colpo. Nicola inarcò la schiena e gridò di dolore, ma non mi chiese di fermarmi.

    Avevo iniziato a studiare ingegneria civile all’università. Erano settimane impegnative. I professori era particolarmente severi e non ci lasciavano quasi un attimo libero. Avevo davvero la necessità di rilasciare un po’ di tensione.

    Mi sollevai la maglietta e la ruotai dietro il collo. Persino Vincenzo ormai non poteva competere con il mio fisico e soprattutto con la prestanza della mia virilità.

    Guardai il mio cazzo apparire e sparire tra le sue chiappe. Il culo di Nicola sembrava non volermi lasciare andare. La pelle si aggrappava alla mia asta, mentre usciva.

    Affondavo con violenza il mio cazzo nella sua carne. I suoi gemiti nutrivano il mio ego.

    Gli strinsi i fianchi e mi aiutai a dare slancio ai miei colpi. Non solo il mio cazzo era migliorato, ma adesso anche la mia resistenza si era molto estesa.

    Stantuffai Nicola, finché le sue gambe non iniziarono a tremare. Mi piaceva vedere come il suo corpo soccombeva alla mia virilità. Si può davvero cogliere la portata della propria vera forza, solo quando si domina fisicamente un altro maschio. Anche se Nicola non era un maschio. Era un ricchione.

    “Preparati a ricevere il seme di un vero maschio.”

    Accelerai il ritmo. Ansimai e gemetti, mentre con gli ultimi affondi raggiunsi l’apice del piacere. Il mio cazzo fremette dentro il suo culo e fiotti di sborra lo inondarono.

    “Grazie. Avevo proprio bisogno di sfogarmi. Non puoi immaginare cosa significa dover controllare questi istinti a lezione.”

    Io ero un futuro ingegnere, mentre Nicola era divenuto un ricchione. Aveva ragione Giuseppe, quando mi racconto per la prima volta di loro, dei ricchioni.

    La nostra è una società repressa. Non si possono richiudere le ragazze vergini fino al matrimonio e lasciare noi maschi a dover gestire da soli la nostra natura. Siamo fatti per penetrare. Non possiamo aspettare al matrimonio per rilasciare tutta quella tensione sessuale.

    Mi sciacquai il cazzo e me ne andai. Quella sera c’era il consueto incontro con gli altri ragazzi.

    “Vi ricordate di Nicola?” Chiesi a un certo punto, mentre eravamo a tavola a giocare a briscola.

    “Chi?” Massimo mi fissò ebete.

    “Il ricchione, scemo.” Esclamò Giuseppe.

    “Oh, sì, quello con cui uscivamo da ragazzini. Come mai non lo vediamo più?”

    Giuseppe gli assestò uno scappellotto sulla nuca.

    “Perché è un ricchione? L’ultima volta che lo abbiamo visto tutti assieme ce lo siamo trombato uno dopo l’altro. Quando inizi a guardare uno dall’alto verso il basso, che sia inginocchio o piegato a novanta, è difficile poi guardarlo in un altro modo.”

    “Secondo voi si sega dopo che viene scopato?” Non so da dove mi scaturiva questa curiosità, ma mi perseguitava da giorni.

    “I ricchioni godono solo con il culo. Senza un cazzo che gli stantuffa non sono felici.” Giuseppe aveva un’opinione su qualunque cosa.

    “Nessuno può godere prendendolo in culo.” Massimo scosse il capo sconvolto da quelle parole.

    “È qualcosa di istintivo. Devono avere un maschio che gode alle loro spalle per potersi sentire realizzati. Avete in mente come mugugnano di piacere, quando raggiungete l’orgasmo e gli sborrate in culo? O quando gli centrate la faccia? Di certo non si stanno segando.”

    “Certo, che si segano. Sono maschi come tutti gli altri.” Marco sbuffò, stufo di sentire Giuseppe sparare una teoria dietro l’altra.

    “E come lo sai? Lo hai visto?” Giuseppe lo fissò malizioso.

    “Certo, che no. Che schifo. Si smanetteranno dopo, quando ce ne andiamo.”

    Dopo quell’intermezzo, uno dei discorsi più filosofici che avevamo mai avuto, riportammo l’attenzione sulle carte.

    Quando, infine, la serata stava terminando, Marco mi tirò da parte.

    “Devi fare attenzione, Antonio.”

    “A che cosa?”

    “Lo so che ti scopi Nicola. Tutti noi abbiamo il nostro ricchione per sfogarci, ma devi iniziare a cercarti una fidanzata.”

    “Ma sto ancora studiando.”

    “Lo so, ma sei un maschio. Se vuoi dimostrare la tua virilità dovrai trovarti una moglie e poi far qualche figlio. Altrimenti la gente inizierà a dire state facendo l’uncinetto. Non so se mi spiego.”

    Sì, si era spiegato. Il giorno seguente tornai alla mia vita di tutti i giorni, tornai ai miei studi, ma quell’avvertimento mi continuò a perseguitare per mesi.

    C’erano solo pochi momenti dove riuscivo veramente a staccare.

    Mi gettai sul letto. Intrecciai le mani dietro la nuca e chiusi gli occhi.

    Le labbra umide di Nicola avvolsero la mia erezione. La sua lingua mi strofinò il glande. Poi lentamente la mia asta penetrò nella sua bocca, giù oltre le tonsille, arrivando a sfregargli la gola.

    Non potei trattenere un gemito, quando ingoiò completamente il mio cazzo.

    Aprii gli occhi e incrociai lo sguardo di Nicola. Le sue labbra arrotondate sembravano contenere a mala pena la mia nerchia. I suoi occhi mi fissavano con compiacenza o forse venerazione.

    Mi resi conto che non vedevo mai Nicola mangiare. Era come se per me si nutrisse solo del mio cazzo.

    Stava iniziando a sfilarsi la mia asta dalla bocca, quando allungai il braccio e gli bloccai la testa. Lo spinsi nuovamente sul mio cazzo. Giù, finché il suo naso non si schiacciò contro i miei peli pubici.

    Mi chiesi se una moglie si sarebbe lasciata dominare come lui.

    Le mani di Nicola si afferrarono alle mie cosce. Gli stava lentamente mancando l’aria. Le sue dita si strinsero nei miei muscoli. Sollevò gli occhi. Non c’era più compiacenza in quello sguardo. C’era supplica.

    Lasciai andare la presa. Nicola si tirò indietro e inspiro profondamente, tossendo.

    Mi sollevai sulle ginocchia e mi piantai di fronte a lui. Nicola si piegò docile nuovamente sul mio cazzo. Gli afferrai la testa fra le mani e dondolai il mio cazzo davanti a lui.

    La mia asta lo schiaffeggiava in faccia. La sua stessa saliva gli macchiava le guance.

    Quando ero ragazzo, capitava che mio padre mi desse una sberla per concludere una discussione troppo accesa. Una violenza che chiariva chi tra noi due aveva il potere. Forse fisicamente dare uno schiaffo con il cazzo è meno doloro rispetto a riceverlo con il dorso della mano, ma il potere che ne deriva è molto maggiore.

    Infine, i stufai di schiaffeggiarlo. Infilai pollici e indici nella bocca e gliela allargai. Spinsi il bacino. La mia cappella superò le sue labbra. Lentamente la mia scomparve nella sua bocca. Sfilai le dita e gli strinsi nuovamente la testa.

    Ritirai il bacino e nuovamente lo spinsi. Presi a fottergli la bocca. Gli inclinavo la testa a piacere per assaporare sensazioni diverse.

    “Massaggiami le palle.” Gli intimai.

    Le sue dita iniziarono a lavorare i miei gioielli di maschio. Poi sollevo un’altra mano e prese a massaggiarmi anche il perineo.

    Così, mentre lo fottevo in gola, Nicola si assicurava di darmi il massimo piacere. Un piacere che cresceva dentro me. Accelerai il ritmo. Fiotti di saliva colavano dagli angoli della sua bocca.

    “Ci siamo.” Esclamai ed estrassi immediatamente il cazzo. Me lo afferrai saldo e schizzi di sborra partirono, centrando Nicola in faccia come la prima volta.

    Nicola gemette, mentre il mio nettare caldo lo colpiva sull’occhio, sulla fronte, e colava denso lungo la guancia.

    Con il volto coperto del mio seme, Nicola si avvicinò al mio cazzo e se lo rimise in bocca per pulirlo degli ultimi zampilli. Si assicurò di leccarmi anche le dita che si erano macchiate della mia stessa sborra.

    Quando, infine, andò a lavarsi, iniziai a rivestirmi.

    “Tra due mesi mi sposo.” Dissi, così di sfuggita.

    “Come?” Chiese Nicola, spegnendo l’acqua del rubinetto.

    Il suo volto candido e delicato sbucò da oltre la porta del bagno. Si stava asciugando la faccia. Aveva i capelli tutti arruffati. Ebbi un moto di tenerezza.

    Tossicchiai, cercando di ritrovare la mia compostezza.

    “Tra due mesi ci sarà il mio matrimonio.”

    Nicola lasciò cadere l’asciugamano.

    “Ti s-sposi?”

    “Sì. Si chiama Raffaella.”

    Nicola rimase per un lungo istante in silenzio.

    “Congratulazioni. Sono davvero felice per te.” Esclamò infine.

    Sembrava davvero contento. Non so cosa mi ero aspettato, ma la sua reazione mi lasciò un senso di delusione. Non so perché.

    “Purtroppo non potrò invitarti al matrimonio. Lo capisci, vero?”

    Stavolta riuscii a leggere una certa amarezza nei suoi occhi.

    “Certo, è naturale. Non mi sarei aspettato altrimenti.” Nicola sorrise.

    Il matrimonio è stato meraviglioso. Raffaella era bellissima nel suo abito bianco. Gli oltre 200 invitati aveva gli occhi solo per lei. Ma lei era solo per me.

    Sono passati molti anni da quel giorno. Abbiamo avuto un figlio e una figlia, Alessandro e Carmela. Ho iniziato a lavorare in un quotato studio di ingegneria europeo.

    Molte cose sono cambiate, ma altre sono rimaste uguale.

    “Piano, per favore. Mi fai maleeehaaah.” La frase di Nicola si tramuto un grido.

    “Stai zitto.” Gli intimai, tappandogli la bocca con la mano. “Devo già subire le urla di mia moglie ogni sera senza avere bisogno di sentire anche i tuoi lamenti.”

    “Mi fa male.”

    “Il mio cazzo non è diventato più grosso. Vedrai che ti riabituerai subito. L’ultimo mese al lavoro è stato senza sosta. Non ho avuto occasione per venire a sfogarmi.”

    “Scusami. So che sei molto impegnato. Scopami pure.”

    “Non ho bisogno del tuo permesso per fare quello che è un mio diritto, ma accetto volentieri le tue scuse.”

    Gli piantai il cazzo in profondità, facendogli inarcare le schiena. Stavolta non gemette. Strinse le mani ai pali di metallo della testa del letto e si lasciò fare.

    Gli afferrai i fianchi e mi aiutai con gli affondi. Il letto cigolavo sotto i miei colpi. Ormai persino il letto non riusciva più a reggere la mia potenza.

    “Vai più piano.”

    Ultimamente Nicola era divenuto piuttosto difficile. Aveva sempre più pretese. Ma io non era lì per andare piano. Dovevo sfogarmi.

    “Non sei il mio capo. Fatti rompere il culo buono buono.”

    Dovevo svuotarmi le palle, ma soprattutto dovevo liberarmi di tutte le tensione dell’ultimo mese. Accelerai il ritmo. Sentivo l’abbraccio del suo culo, accrescere l’orgasmo. Ansimai, mentre il mio corpo si tendeva un’ultima volta.

    Mentre un’onda di piacere mi pervadeva, schizzai litri di sborra, perché litri doveva essere, nel suo culo arrossato.

    Finalmente mi rilassai. Era come se mi avessero finalmente tolto un peso dalla schiena.

    Nicola si allontanò da me, facendo sfilare il mio cazzo dal suo buchino, e si rintanò subito in bagno.

    Un tempo era stato molto più servizievole. Prima di andare in bagno si assicurava di pulirmi per bene il cazzo, ma soprattutto mi ringraziava per avergli sborrato in culo. Doveva reputarsi fortunato che gli concedesse il privilegio di dare piacere a un maschio come me.

    “Che cosa vogliamo fare della relazione?” Chiese all’improvviso Nicola, uscendo nuovamente dal bagno.

    “Di che relazione stai parlando?”

    “Della nostra. Di noi due. Hai una moglie. Una figlia. Un figlio. Che cosa siamo noi due?”

    “Non siamo niente.”

    “E quello che facciamo, ormai da decenni, come lo chiami?”

    “Scopare.”

    “Tu sei un ricchione. Io sono un maschio. Io scopo. Tu ti fai rompere il culo.”

    “Non sono un ricchione. Sono gay.”

    “Gei? Che roba è?”

    “Sono un uomo omosessuale.”

    “Tu non sei un uomo. Un uomo ha una moglie, ha figli. Un uomo non lo prende nel culo. Un uomo non si piega al piacere di un altro.”

    “Le cose stanno cambiando. Da qualche anno a Palermo c’è un circolo ARCI Gay e in tante città ne stanne nascendo altri. Io e te non dobbiamo più nasconderci.”

    “Io non mi sono mai nascosto. Io sono un maschio. Ho famiglia.”

    Nicola mi fissò spaventato. Mi accorsi che stavo urlando. Mi voltai e me ne andai sbattendo la porta alle mie spalle.

    Le cose sono sempre andate bene così. Non c’era motivo per cambiarle.

    Ma le cose cambiano che noi lo vogliamo o no.

    Mia moglie mi lasciò e si portò via mia figlia e mio figlio. Alessandro e Carmela sono cresciuti e non vogliono parlarmi. Non ci sentiamo da oltre 7 anni.

    Sono tornato varie volte all’appartamento di Nicola, ma lui non c’era mai. Alla fine una vicina mi ha rivelato che si era trasferito, ma non sapeva dove fosse andato.

    Ormai passo i finesettimana in solitudine. Esco qualche volta per fare una passeggiata. Non riconosco nessuno. Nessuno mi saluta.

    “Ci saranno anche Mattia e Francesco da Bari e Luisa ed Elena da Pescara.”

    Quella voce, però, la riconoscevo. Mi voltò di scatto.

    “Nicola.” Esclamai.

    Due uomini si voltarono e mi fissarono interdetti. Nicola era anche lui invecchiato. Ormai avevamo più di cinquant’anni.

    “Nicola, sono io! Sono Antonio.”

    Il volto di Nicola si illuminò e sorrise. Stavo per abbracciarlo, ma lui mi porse la mano. La strinsi leggermente a disagio, ma ero davvero felice di rivederlo.

    “Come stai?”
    “Bene, bene. Tu? Lascia che ti presti Edoardo. Edoardo è il mio compagno.”

    “C-compagno?”

    “Piacere, Edoardo. Stiamo insieme ormai da cinque anni. Nicola non mi ha mai parlato di te. Come vi conoscete?”

    Non gli aveva mai parlato di me. Io avevo pensato a lui sempre, ogni giorno, da quanto ci eravamo lasciati in malo modo.

    “Antonio è un vecchio amico d’infanzia. Ci siamo persi di vista con il tempo. In ogni caso, adesso dobbiamo andare, altrimenti rischiamo di perdere il treno.”

    “Andate in vacanza?” Chiesi a bruciapelo. Non volevo che se ne andasse. Volevo che restasse lì, come me a parlare.

    Edoardo rise. “Non stiamo andando a Roma. Domani c’è la prima Pride Parade d’Italia.”

    “Praid pareid?”

    “La manifestazione per i diritti e l’uguaglianza delle persone omosessuali. Tutti le persone gay lo sanno. Non sei gay anche tu?”

    “Io? No, no, assolutamente no.” Esclamò automaticamente.

    Edoardo mi fissa sorpreso e forse un po’ ferito.

    “Lascialo perdere, Edo. Lui è… complicato. Andiamo.”

    Avrei voluto fermarlo, ma quella domanda di Edoardo mi aveva pietrificato. Perché aveva creduto che fossi gay?

    Fissai Edoardo e Nicola allontanarsi, camminando velocemente. Poi successo qualcosa di incredibile. Edoardo si fermò e afferrò Nicola. Lo portò a sé e lo baciò. Edoardo baciò Nicola sulla bocca.

    Io e Nicola non c’eravamo mai baciati. Mai, neppure una volta. E quel bacio era davvero il bacio più bello che avessi visto. C’era amore e tenerezza.

    Era un uomo che baciamo un altro uomo con amore.

    Io e mia moglie, cioè voglio dire la mia ex-moglie, Raffaella non ci eravamo mai baciati in quel modo.

    Tutt’a un tratto mi sentii solo. Ero sopraffatto dai rimpianti. Gli occhi si riempirono di lacrime e scoppiai a piangere. Ero sempre stato solo. Solo.

    Corsi a casa e presi il telefono.

    “Pronto?”

    “Carmela?”

    “Sì, chi è?”

    “Sono io. Papà.”

    “Papà? Che cosa succede?”

    “Devo dirti una cosa. Sono gay.”


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