SCULACCIATE.

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    Città di B*. Appena fuori dall'università. Martina camminava velocemente, cercando il più possibile di sfruttare i lunghi porticati per trovare riparo dalla pioggia, sulla strada verso la biblioteca. La giornata si era rivelata un disastro sin dall'inizio: prima il pessimo rendimento all'esame e adesso si trovava anche fradicia, perché si era scordata - come sempre - l'ombrello.
    La suoneria del cellulare la scosse dal turbinio di pensieri, riportandola bruscamente alla realtà: "Ciao, sono uscita da pochissimo, ti stavo per chiamare!"
    "Allora? Com'è andata?", la voce al telefono era carica di attesa e leggermente inquisitoria;
    "...Bene dai, poi ti racconto meglio"
    "Sapevo che ce l'avresti fatta, stasera festeggiamo!".
    Subito dopo aver interrotto la chiamata, Martina sentì un'ondata di senso di colpa e preoccupazione assalirla. Che avesse mentito, sarebbe stato inutile: Marco era un conoscente del suo professore, nonostante insegnasse in un dipartimento diverso e prima o poi la verità sarebbe venuta a galla. Meglio il più tardi possibile, si disse con un fremito, al pensiero delle conseguenze che avrebbe dovuto subire.
    Le sembrava già di sentire la voce severa di lui: "Hai avuto due mesi per prepararti a questo esame, com'è possibile che tu non l'abbia passato? Mi avevi detto di aver studiato tutti i giorni!".
    Che tutti i giorni avesse studiato non era una bugia. Tecnicamente.
    Ma diritto privato aveva così tante nozioni da memorizzare e Martina lo trovava terribilmente noioso. Tra una distrazione e l'altra, aveva finito per passare pochissime ore al giorno sui libri e molte di più a divertirsi con le amiche o a guardare serie tv.
    Svoltò l'angolo e si trovò davanti all'ampio ingresso della biblioteca. Persa tra i suoi pensieri e nel tentativo di non bagnarsi più del dovuto, urtò malamente due signori che parlavano con voce animata vicino alla porta. Le sue scuse distratte si interruppero quando si accorse di chi si trattava. Il suo insegnante di diritto privato, il professor P., posò su di lei lo sguardo, con espressione assorta. Accanto a lui, Marco accennò a un sorriso, non appena la vide: "Eccoti, Martina!"

    "Ah, mi sembrava di averla già vista! - se ne uscì il professor P. - Lei era all'esame di stamani, signorina, non è vero?";
    Martina spostò lo sguardo, impotente, dal professore a Marco. Le sembrava di vivere la scena a rallentatore; sapeva cosa sarebbe accaduto, ma non le veniva in mente nulla da dire per impedirlo.
    Nel frattempo, il professore continuava, con voce rassicurante: "Non si scoraggi, può capitare a tutti di bocciare un esame, ma sono sicuro che se si impegnerà con costanza, la prossima volta otterrà un ottimo voto. Si consoli pensando che almeno non le tocca il professor T., che è notoriamente inflessibile con i suoi studenti!", terminò con una risata, forse per tentare di sdrammatizzare, dato che Martina era visibilmente impallidita.
    Il professor T., nonché Marco, insegnava alla facoltà di Scienze della formazione e in quel momento stava fissando la ragazza con uno sguardo imperturbabile e un sorriso sornione. Quest'ultimo si avvicinò alla studentessa e le disse con noncuranza "il professor P., al contrario, è sempre troppo accondiscendente. Un pò di severità, a volte, è quel che serve a mantenere i giovani sulla giusta via", dopodiché i due se ne andarono, riprendendo la conversazione che avevano interrotto.

    Martina sentì lo stomaco chiudersi e la mente annebbiarsi. Non c'era una via d'uscita, nessuna scusa avrebbe più retto. Non solo era bocciata all'esame, ma aveva mentito e Marco detestava le bugie più di ogni altra cosa. Rimase lì, incapace di muoversi, per qualche minuto, fino a che non sentì la notifica del messaggio che già si aspettava:

    "Stavolta l'hai fatta grossa, Martina e mi hai molto deluso. Stasera riceverai una bella punizione."

    Di andare in biblioteca, ora, non se ne parlava. Prese l'autobus e tornò dritta a casa, pensando a mille modi per evitare... l'inevitabile. La verità è che le avrebbe prese e sapeva pienamente di meritarlo. Alla paura, l'attesa aggiungeva anche una leggera eccitazione - che Martina non voleva ammettere nemmeno a sé stessa di provare.
    Lei è Marco si erano conosciuti un anno prima al di fuori del contesto universitario e convivevano da pochissimo. La studentessa aveva 28 anni, lui dieci in più. Col tempo il professore aveva assunto in modo naturale il ruolo di educatore per lei, che lo considerava un punto di riferimento imprescindibile. Certo, ciò comportava, oltre alla sicurezza che la ragazza provava a sentirsi guidata e incoraggiata da lui, anche di incorrere in momenti in cui le correzioni necessarie erano di altra natura. Martina si scopriva spesso a temere e desidere questi attimi di assoluta intimità e abbandono.
    Almeno, nella fantasia. Quando il momento della punizione arrivava davvero, era tutta un'altra storia.

    Quel pomeriggio, mentre aspettava che il compagno tornasse a casa, passò con una lentezza insopportabile e quando alle 19:30 sentì scattare la porta, Martina ebbe un sussulto.
    Marco se la prese con molta calma: posò la giacca sulla poltrona vicino all'ingresso e andò a farsi una doccia senza nemmeno andare a salutarla. Sapeva che lei stava aspettando inquieta la sua sculacciata nella camera da letto. Quando aprì la porta, la trovò distesa sopra le coperte, già in pigiama, che "leggeva" un grosso tomo di diritto privato:
    "Non penserai mica di scamparla studiando adesso, spero". Mentre parlava, si sedette sul bordo del letto e fissò su Martina uno sguardo fermo e severo.
    "Perché hai mentito? Se avevi difficoltà con lo studio, avresti potuto dirmelo. Avremmo trovato una soluzione insieme". Lei avrebbe voluto chiedergli scusa, dirgli che non l'avrebbe fatto più, ma un nodo alla gola le impedì di parlare e riuscì solo a serrare le labbra con gli occhi fissi sulle proprie mani, con cui si stava tormentando le unghie. Sapeva che sul suo viso avrebbe letto delusione ed era ciò che la spaventava di più.
    "Adesso prenderai una bella sculacciata, ma non è finita qui. Domani, quando avrai riflettuto bene su come ti sei comportata, ne riparleremo e te ne darò un'altra dose."

    Nel dire questo, le prese la mano e la tirò con decisione, in modo che Martina finisse distesa sulle sue ginocchia, con il busto appoggiato al letto e le punte dei piedi protese a toccare il pavimento. Allungò poi la mano per prendere un piccolo cuscino che era appoggiato sul fondo del letto e glielo posizionò sotto il bacino, in modo che il sedere stesse ben alto, proprio sotto ai suoi occhi, che in quel momento tradivano un'aria leggermente compiaciuta da quella vista. Marco iniziò ad accarezzare le natiche di Martina, con moto circolare e crescente pressione, dopodiché le assestò un primo colpo deciso con la mano serrata, proprio al centro. La studentessa reagì con un impercettibile sobbalzo, ma sapeva bene che il peggio non era certo quello. I colpi energici che lui le assestava con ritmo regolare, alternando destra, sinistra e centro, erano comunque attutiti dal pantalone e dalle mutandine. Poi si accorse con sgomento che le stava abbassando entrambi i capi d'abbigliamento, senza passare dalla solita fase intermedia sull'intimo, che le permetteva di abituare meglio il sedere ai colpi.
    "Non posso davvero credere che tu abbia sprecato altri mesi per poi dover ripetere l'esame, oltretutto dopo che ogni giorno mi rassicuravi di essere in pari con lo studio!". Pantaloni e mutandine scivolarono alle caviglie, furono sfilati e lasciati per terra, dopodiché Marco le riposizionò il corpo, in modo che le gambe di lei rimanessero una a sinistra, una a destra della sua, che fungeva quindi da spartizione. Martina si sentì morire dalla vergogna, realizzando che in quel modo il suo sedere era completamente esposto e non poteva stringere le gambe per schermarsi dai colpi al centro, più dolorosi.

    "Marco mi dispiace, ti prego non mi sculacc.." "Ti dispiacerà ancora di più quando ho finito, te lo assicuro. Ti sei comportata da vera irresponsabile, non certo da persona adulta. Hai oziato per mesi e mi hai pure mentito, un atteggiamento infantile e controproducente" Le sue mani nel frattempo scorrevano sulle natiche già leggermente arrossate e le punta delle dita passavano spesso in mezzo al solco aperto "Sai che non vorrei arrivare a questo, ma non mi rimane che darti una lezione memorabile". Colpì in basso, nel punto in cui le gambe si uniscono al sedere, a destra e a sinistra. Stavolta Martina sentì subito un doloce bruciante, che si accentuava man mano che Marco accelerava il ritmo delle sculacciate, che risuonavano in tutta la stanza, aumentando la sua umiliazione. I tentativi di chiudere le gambe o di muovere il fondoschiena per sottrarlo ai colpi erano inutili: mentre lui le arrossava uniformemente il sedere con la mano destra, la sinistra era piazzata saldamente sul suo fianco, a tenerla ferma. La frustrazione crescente della ragazza si stava tramutando in rabbia, che si manifestava in mugolii di protesta, nel tentare di divincolarsi impotente.
    "Non me ne frega nulla di quello stupido esame, tanto non mi entrano in testa le cose, sono un'incapace!", urlò lei, mentre qualche lacrima traditrice le solcava il volto.

    Per tutta risposta, lui le piazzò quattro colpi forti e rabbiosi, che le strapparono un gemito di sorpresa "Ma allora non vuoi proprio capire! Ti rifugi in queste sciocche scuse, mentre la verità è solo che non hai voglia di impegnarti abbastanza!" Marco pronunciò queste parole a voce bassa, ma il tono adirato indicava che stava perdendo la pazienza. Il professore si guardò freneticamente intorno alla ricerca di qualcosa, rammaricandosidi non aver già accanto il paddle. Voleva farla pentire all'istante delle parole che aveva detto. Appoggiato sul comodino, vide il lungo telecomando del televisore e lo afferrò con risolutezza, per poi iniziare a tempestarle di colpi il culetto già parecchio rosso, mentre i gemiti di lei si trasformarono in singhiozzi.
    "Non sarò soddisfatto finché non mi sarò assicurato che tu sia incapace di sederti per qualche giorno, signorina." La sua voce era affannata dalla rabbia e dallo sforzo di tenerla ferma "Tira in fuori quel culo, adesso!!". Il tono era categorico, Martina continuò a piangere, ma ubbidì.
    "Anzi, alzati". Marco si diresse al cassettone vicino alla finestra e ne prelevò un grosso e lungo paddle in legno, dopodiché afferrò i due guanciali e li posizionò uno sopra l'altro all'angolo inferiore del letto. Martina ormai lo stava implorando di perdonarla, farfugliando promesse di ogni tipo.
    "Stenditi là sopra. Voglio vedere le gambe larghe e il culo bene in alto. Non me lo fare ripetere, se non vuoi che prenda anche la cinghia."
    La studentessa si mise distesa sui cuscini, col sedere teso e ogni sua parte ben visibile per via delle gambe allargate
    Lui le si fermò di fianco e iniziò ad accarezzare la pelle col grosso paddle. Il tocco freddo dello strumento sulla pelle rovente le diede un attimo di sollievo, procurandole un fremito.
    "Adesso, Martina, voglio che conti. Proseguiremo finché non riterrò che il messaggio si sia impresso bene... e non solo sul tuo culo".
    Il primo colpo, che risuonò terribilmente, fu dato sulla parte bassa e le fece lanciare un piccolo urlo "Uno...signore"
    "Finalmente, un pò di buone maniere." Esclamò lui, osservando con soddisfazione il sedere in fiamme della compagna "Proseguiamo."
    I colpi continuarono per altri interminabili minuti, fino a che Martina non smise anche col pianto e si abbandonò totalmente.
    Marco lasciò infine cadere il paddle a terra, la prese tra le sue braccia e stette a lungo così, consolandola, per poi sussurandole nell'orecchio:
    "Domani arrivano quelle vere, lo sai, no?"
     
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