A CASA DEGLI ZII

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    Dopo la scomparsa dei suoi genitori, Sylvie era stata accolta nella casa degli zii materni, che con le loro non floride finanze, e avendo da accudire un buon numero di figli e figlie in età da marito, non avrebbero potuto provvedere largamente alla sua istruzione, se non fosse stato per la benevola assistenza di un vecchio amico e compagno di studi dello zio.
    Sir John Newark, ben noto per i suoi studi sulle lingue e religioni orientali, aveva ricoperto diversi incarichi come delegato del Governo nei possedimenti orientali dell’Impero, e si mormorava che nei suoi frequenti soggiorni in Asia avesse assimilato usi e abitudini che in patria sarebbero sembrati stravaganti, se non francamente criticabili. In ogni caso, questi pettegolezzi non avevano intaccato il prestigio di cui godeva nei circoli governativi, né agli occhi degli zii di Sylvie, colpiti forse in ugual misura dalla ricchezza che aveva ereditato.
    Sir John si era mostrato subito colpito dalla bellezza di Sylvie, non meno che dal suo carattere schietto e aperto, a differenza di zii e insegnanti che, in ossequio alle rigide convenzioni dell’epoca, lo ritenevano piuttosto sfacciato e ribelle. La stessa Sylvie, in sua presenza, aveva fin dall’inizio sentito un imbarazzo e una specie di timore che la rendevano insolitamente accondiscendente… E in parte per questa incapacità di opporsi, ma soprattutto perché non avrebbe potuto aspettarsi una sistemazione più conveniente, date le circostanze, la ragazza aveva accettato la proposta di matrimonio che Sir John le aveva presentato, quando lei era rientrata dal College dove aveva studiato grazie al suo sostegno fino a 19 anni.


    Cinque mesi più tardi, Sylvie non avrebbe ancora saputo fare un bilancio sereno della sua nuova vita.
    Nelle lettere alle sue vecchie compagne di Collegio, descriveva allegramente e con spirito la sua nuova condizione di giovane moglie di un ricco eccentrico, che passava quasi tutto il tempo nel suo studio con libri e sigari, lasciandole una grande libertà durante le giornate, ma concedendo poco alla vita sociale e ai ricevimenti, su cui fantasticavano tanto quando chiacchieravano a bassa voce nel dormitorio della scuola.
    Ma non raccontava a nessuno del vago disagio che provava davanti a Sir John, quando la scrutava sornione a cena, o nelle rare uscite comuni, né il timore che le incutevano i servitori asiatici di cui suo marito si era circondato, sempre estremamente rispettosi, ma imperscrutabili e severi. Naturalmente non avrebbe raccontato a nessuno, amiche o tantomeno la zia, quello che provava quando suo marito la raggiungeva nella sua stanza, dopo che le lampade della casa erano state spente. Sylvie non era arrivata del tutto impreparata alle notti coniugali (le famiglie si facevano molte illusioni, riguardo all’ambiente delle scuole femminili! e le ragazze ascoltavano, indagavano e parlavano ininterrottamente di sesso. sia pure senza usare mai la parola precisa...).
    E Sir John era stato gentile con lei, non le aveva fatto male, a parte le prime volte quando comunque era così agitata e ansiosa da non rendersi conto di niente, e passava molto tempo a accarezzarla e tranquillizzarla, prima di stendersi sopra, o sotto di lei… Sylvie non poteva saperlo (le conversazioni notturne del Collegio non erano state così dettagliate!) ma suo marito dava prova di un’insolita fantasia e attenzione mentre facevano l’amore, sicuramente grazie a quanto aveva appreso nei suoi soggiorni orientali (e anche in questo caso, fortunatamente Sylvie non si domandava mai come e dove lo avesse imparato).
    Comunque, il sesso coniugale, per quanto non doloroso e disgustoso come nei timori di molte ragazze della scuola, non era mai arrivato neanche lontanamente a procurarle le sensazioni e la felicità momentanea che otteneva quando si toccava da sola, sotto le lenzuola del suo letto (anche questo lo aveva imparato nei dormitori del Collegio).


    Poi successe qualcosa che cambiò improvvisamente tutto.
    Capitò un giorno in cui Sylvie si era svegliata di umore scontroso e sgarbato, e aveva trattato male Indah, la governante, una donna altera dai tratti orientali, che la squadrava sempre in silenzio e, così le pareva, con aria di superiorità. E in seguito era stata decisamente scortese con un ospite del marito, un anziano pomposo e francamente noioso, che però Sir John teneva in grande considerazione per motivi politici.
    Nel pomeriggio, un’ora prima di cena, Sir John l’aveva mandata a chiamare da un cameriere, pregandola di raggiungerlo in biblioteca: Sylvie, ancora di cattivo umore, aveva perso tempo prima di obbedire, ma entrando nella stanza, e vedendo l’espressione accigliata e dura del marito aveva improvvisamente perso la sua sicurezza. Sentendo la bocca farsi secca, e al contrario le mani inumidirsi di sudore, tanto che senza rendersene conto le asciugò sui fianchi, si fermò davanti a Sir John che appoggiò il sigaro, e le disse con voce pacata:
    “E’ giunto il momento, mia cara, di completare la tua educazione con quegli elementi che le tue scuole non potevano darti… Ti ho scelta non a caso, ma per renderti una compagna utile non meno che piacevole, e da oggi inizierai il tuo nuovo… addestramento”.
    Sylvie trasalì e alzò vivacemente gli occhi verso il marito,
    “I cavalli si addestrano!” protestò, ma la voce le uscì meno squillante e sicura di quel che avrebbe voluto,
    “Anche le ragazzine! e a volte con gli stessi strumenti!” abbaiò Sir John, troncandole il respiro con la sua rabbia improvvisa.
    Ma subito tornò calmo, e aggiunse:
    “Adesso seguirai Indah, che ti condurrà da Mr. Arung, un mio collaboratore che ancora non hai conosciuto. Lui si è occupato -egregiamente- di...” e qui calcò la voce, con un sorriso ironico, “...addestrare tutto il personale di casa e dell’ufficio, e ora si occuperà, con tanto maggior impegno, anche di mia moglie.”
    Sylvie non riuscì a replicare niente, gli occhi bassi e le guance in fiamme, e dopo una breve pausa Sir John riprese:
    “Arung è indonesiano, come la maggior parte del mio personale, e utilizzerà, con il mio pieno consenso, i metodi tradizionali del suo paese per inculcarti le regole di comportamento adatte. Mi aspetto che tu gli obbedisca in tutto, e sappi che non tollererò nessuna insubordinazione, sono stato chiaro?”
    E siccome lei non rispondeva, le prese il mento, e con più gentilezza di quanta ne contenessero le sue parole la costrinse a alzare il viso, e guardandola fisso negli occhi ripeté:
    “Sono stato chiaro?”
    Sylvie cercò di assentire, ma lui la tenne ferma finché non rispose a voce bassa ma intelligibile:
    “Sì, John… ho capito”
    “Bene!”, concluse lui, dirigendosi in fretta alla scrivania. Lì, tirò il cordone del campanello e si sedette indaffarato, senza più guardare la moglie.
    La porta si aprì immediatamente e Indah aspettò in silenzio, finché Sylvie si riscosse e, con gli occhi bassi, si costrinse a raggiungerla. La governante si voltò e la precedette, senza una parola, fino all’ala della casa destinata agli uffici e agli alloggi del personale, e infine si arrestò davanti a una porta. Durante la loro silenziosa processione, avevano incrociato diverse cameriere e un valletto: Sylvie aveva cercato di mantenere un’aria altera guardando fisso davanti a sé, ma non le erano sfuggiti gli sguardi eccitati delle cameriere, e il sorrisetto che era comparso per un attimo sul volto del valletto.


    Indah bussò una volta, e senza attendere risposta aprì, facendosi da parte e lasciando entrare Sylvie, quindi la seguì chiudendosi la porta alle spalle.
    Era una stanza ampia e luminosa, nonostante le tende che impedivano la vista dalle ampie finestre, il pavimento interamente coperto di spessi tappeti neri e rossi; un lungo tavolo di legno occupava la parete di fondo, e diverse sedie con alti schienali erano appoggiate alla parete. Al centro della stanza si trovava un rialzo di legno, quasi un piccolo palcoscenico -pensò confusamente la ragazza- con una specie di sgabello a quattro gambe foderato di cuoio, alto e largo. Accanto, un alto vaso di ceramica, decorato con gli esotici motivi floreali e i draghi colorati che si notavano in tutta la casa: dal vaso spuntavano una decina di rametti di betulla. Alle pareti, oggetti più familiari ma allo stesso tempo sinistri, diverse corde arrotolate attorno a pioli, alcune fruste e frustini da equitazione, cinghie di cuoio e lunghe spatole di legno decorato.
    Accanto al tavolo, un uomo alto dall’età indefinibile (Sylvie non riusciva mai a capire l’età degli orientali dalla pelle più o meno scura che frequentavano suo marito), vestito con il tradizionale costume indonesiano, che lei aveva visto sugli ospiti del marito in alcune occasioni, casacca scura su pantaloni di lino, bianchi.


    “Io sono Arung, Miss Newark” disse l’uomo, con un accento sorprendentemente corretto, la voce grave, “Suo marito le ha già detto cosa ci aspettiamo da lei. Sappia che io obbedisco solo a Sir Newark e tutto ciò che farò è su suo ordine, e con il suo permesso.”
    Detto questo si raddrizzò e mosse alcuni passi verso di lei, aggiungendo:
    “Per prima cosa, Miss, ogni volta che entrerà da me, le chiedo di lasciare le scarpe all’ingresso”, e Sylvie si accorse in quel momento che l’uomo era scalzo, e anche Indah, rimasta in piedi accanto alla porta, aveva tolto le scarpe appoggiandole vicino al muro. Rimase muta e immobile per qualche secondo, ma nessuno si mosse e disse niente, finché si decise a chinarsi e sfilò le scarpe, posandole accanto a quelle della donna. “Anche quelle” aggiunse l’uomo, indicando le calze bianche della ragazza;
    “Cosa...?” disse lei, confusa, ma Indah le si inginocchiò accanto, infilando la mano sotto la gonna e abbassò le calze, costringendola a sfilarle mentre barcollava cercando di restare in equilibrio.
    “Venga qui”, disse Arung, con la solita voce bassa, evidentemente abituato a essere ubbidito senza bisogno di gridare.
    A Sylvie sembrava di muoversi in sogno, da quando aveva parlato con suo marito le guance erano in fiamme e la testa le girava… Senza averlo deciso, così le parve, si trovò accanto a quell’uomo, il tappeto caldo sotto i piedi, una sensazione mai provata di vuoto allo stomaco.
    Arung le prese il gomito (e lei si stupì,in una parte della mente che sembrava separata dal resto e osservava distaccata quella scena, di accettare quel contatto da parte di un… inserviente? servo? Arung non sembrava niente di questo) e la spinse con decisione per farla salire sul rialzo di legno, accanto allo sgabello.
    “Adesso la punirò per il comportamento di oggi, Miss, come ha ordinato Sir Newark. La prego di non creare problemi, perché non le servirebbe a niente, ma peggiorerebbe solo la punizione. Si pieghi, adesso!” concluse bruscamente, appoggiando la mano sulle scapole della ragazza e spingendola con forza a chinarsi sullo sgabello, con lo stomaco appoggiato all’imbottitura di cuoio, le mani aggrappate alle gambe di legno e le punte dei piedi che a stento toccavano terra.
    Sylvie sentì che l’uomo le sollevava la gonna, ripiegandogliela sulla schiena… poi lui disse qualcosa, in una lingua che non comprese, e sentì i passi di Indah che si avvicinavano, e le mani della donna che le scioglievano i lacci della biancheria.
    “No… no…” avrebbe voluto gridare, ma le uscì un sussurro… e cercò di rialzarsi, ma subito la mano di Arung le calò sulle spalle, spingendola giù.
    “Stia ferma, o la dovrò legare, e la frusterò anche per questo!” per la prima volta lui alzò la voce, bloccandole il respiro e lasciandola paralizzata dalla paura… intanto Indah aveva finito, e con uno gesto deciso le strappò la biancheria verso il basso, lasciandola nuda dalla vita in giù.


    In tutta la sua vita, Sylvie non si era mai trovata in quella condizione, nemmeno davanti a persone conosciute… al pensiero che due… indigeni, e servitori in casa sua, la stavano vedendo così si sentì travolgere dalla vergogna, e cominciò a piangere in silenzio.
    Senza badarci, Arung le girò attorno, prese uno dei rametti dal vaso e lo scosse spargendo una corona di goccioline d’acqua; fece sibilare la sferza nell’aria per un paio di volte, poi si mise dietro la ragazza e la colpì con forza, di traverso alle natiche.
    Il dolore fu così improvviso e bruciante che Sylvie ne rimase stupita, prima ancora di sentirlo… ma subito il bruciore la costrinse a gemere forte, mentre il secondo colpo già arrivava, un po’ più in basso… Sylvie smise subito di contare i colpi, e dopo il terzo o quarto cominciò a scalciare senza nemmeno rendersene conto, anche se continuava a stringere spasmodicamente le gambe dello sgabello.
    Presto i gemiti divennero vere grida, Sylvie aveva completamente dimenticato Indah e gli altri servitori, che dietro la porta potevano certamente sentirla, e tutto il suo mondo era ridotto al sibilo della sferza sovrapposto alle sue grida, e al dolore bruciante e insopportabile che si diffondeva dalle sue natiche e dalle cosce che venivano colpite di tanto in tanto.
    Quando Arung si fermò, con il respiro leggermente affannoso, le grida si trasformarono in pianto, via via più silenzioso. Dalle reni a metà coscia, la pelle della ragazza era segnata da decine di vistose righe rosso scuro, concentrate soprattutto al centro delle natiche, dove il bruciore sembrava continuare a aumentare anche dopo che i colpi erano cessati.


    “Resta ferma, Miss, non ho ancora finito la mia lezione...”, terrorizzata da quelle parole, Sylvie non si accorse nemmeno che le aveva parlato con il “tu”, una sconvenienza che l’avrebbe indignata solo un’ora prima… Adesso, invece, si scoprì a piagnucolare come una bambina, pur senza avere il coraggio di muoversi:
    “No, per favore, per favore… non ce la faccio più, ho capito… per favore Arang...”
    Lui sbuffò brevemente, come se trattenesse una risata, “Dovrò insegnarti anche a pronunciare bene il mio nome, ma ci sarà tempo di imparare. Adesso...” e pronunciò alcune parole straniere, al che Indah si mosse, staccando dalla parete una cinghia di cuoio e porgendogliela.
    Senza più badare alle preghiere della ragazza, Arung le appoggiò una mano sulla schiena, tenendola ferma contro lo sgabello, e cominciò lentamente e con metodo a colpirle le natiche, che immediatamente si coprirono di vistosi segni rosso scuro… I colpi non erano particolarmente forti, ma la pelle di Sylvie era già così segnata dalle sferzate che bastarono per farle perdere ogni controllo. Ma Arung riuscì senza sforzo a tenerla ferma finché non decise di smettere.


    Sylvie non si rese conto che i colpi erano cessati finché non sentì la cinghia cadere a terra: anche allora, rimase ferma cercando di soffocare i singhiozzi, congelata dal timore che la punizione riprendesse. Ma dopo pochi secondi, sentì invece la mano dell’uomo posarsi sulle sue reni, e abbassarsi su una natica e poi sull’altra: non sembrava certo una carezza, quanto piuttosto il gesto di un artigiano che valuta il lavoro appena finito, levigandolo.
    “Va bene, per oggi… vai via, adesso”, e i suoi passi risuonarono sulla pedana mentre l’uomo scendeva.
    Sylvie si accasciò sulla pedana di legno, piangendo silenziosamente. Gli altri due rimasero impassibili a guardarla finché si calmò, e infine Indah la aiutò a ricomporre il vestito e indossare le scarpe. “Asciugati gli occhi, signora” le disse Indah, a bassa voce, e per un attimo Sylvie si sentì assurdamente grata di sentire una voce diversa, prima di ricordare che Indah l’aveva vista durante la punizione, e al pensiero che l’indomani l’avrebbe dovuta incontrare per casa si sentì svenire dalla vergogna. Ma la donna si affrettò a prenderla per un braccio e, dopo aver salutato Arung con un rigido inchino, a cui lui rispose nello stesso modo, aprì la porta e spinse fuori Sylvie.
    Il tragitto fino alla sua camera fu un altro incubo per la ragazza, che a ogni passo sentiva il dolore pungente dalla schiena alle gambe, e non poteva alzare lo sguardo sui camerieri che incontravano, e che certamente sapevano…


    Quella sera non scese a cena, mandando a dire che non si sentiva bene, e nessuno venne a cercarla. Ma appena le luci si spensero, la porta si aprì e Sir John si accostò al letto.
    “Allora, mia cara, hai imparato bene la lezione?” le domandò in tono ironico,
    “Fammi vedere...” e senza badare alle sue proteste, la costrinse a sollevare la camicia da notte. I vistosi segni che coprivano le natiche della ragazza gli piacquero molto, e volle accarezzarli a lungo, incurante dei singhiozzi di Sylvie.
    Poi le sfilò la camicia (raramente lei era rimasta completamente nuda con lui) e la fece stendere, cosa che provocò un altro lamento che lo divertì e la prese come le altre volte… ma questa volta l’azione durò a lungo, e lentamente Sylvie sentì con vergogna e stupore che il suo corpo cominciava a muoversi assieme a quello che le stava sopra… arrivando quasi a raggiungere il piacere che lei provava da sola… appena se ne rese conto, la vergogna di questo pensiero bastò a interrompere la trance in cui era caduta, e ricominciò a sentire il dolore della punizione.
    Se Sir John si era accorto dell’effetto che stava per avere su sua moglie, non lo diede a vedere.
    Quando ebbe finito, come al solito si abbandonò qualche minuto ansimando soddisfatto sui cuscini, per poi alzarsi, inchinandosi ironicamente e salutando Sylvie:
    “A domani, cara, e preparati alle prossime lezioni”.
     
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