La panchina di Mariella Forever

La musica ai tempi dei negozi di dischi

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    La cosa più comune che si possa fare in un negozio è comprare gli articoli in vendita; in genere, ci si va apposta a comprare gli articoli in vendita. Ma per un certo periodo e per alcuni negozi non è sempre stato così: non era solo l’acquisto il motivo per cui si entrava in quei negozi.
    Erano i negozi di musica, tali prima ancora che negozi di dischi. Può sembrare un discorso nostalgico (per chi oggi ha più di 35 anni) oppure vecchio e noioso (per i più giovani), eppure c’è stato un momento in cui nei negozi di dischi si entrava per comprare, ci si fermava per conoscere e si usciva con un disco in mano che magari non era neanche quello che si cercava.
    Erano luoghi e tempi in cui si ci poteva incazzare con gli altri per l’interpretazione di una canzone e si sfotteva l’amico che non si ricordava quale batterista avesse suonato in quel disco.


    A Parma ci sono stati negozi diventati veri punti di riferimento, ognuno con la propria specializzazione, anche se ci si poteva trovare di tutto. Ora sono quasi tutti chiusi, soppiantati dalle corsie dei megacentri.
    Fra i primi ad essere aperti e ad imporsi (negli anni ’60 i dischi si vendevano nei negozi di elettrodomestici o di strumenti musicali) il Discobolo di borgo XX Marzo, subito seguito dalla Discoteca 33 di via Goldoni: più internazionale il primo, più italiano il secondo.
    Entrambi hanno goduto dell’esperienza e della competenza di Robi Bonardi, che a proposito del «trovare altro» in un negozio di dischi ricorda «le famose e mai dimenticate teen-agers e clienti davanti al negozio che saltuariamente ospitava anche i divi del momento».
    C’era, allora, «grande successo di tendenza, pubblico e vendita, con una crescita esponenziale in proporzione alla crescita generale dei vari fenomeni legati ai cambi di generazione, di cultura e di costume, fino a quasi tutti gli anni ‘80, con un’attenzione davvero d’altri tempi per l’informazione dei singoli generi, sull’artista e sul prodotto discografico in genere». Era proprio un discorso di cultura, sia nei clienti sia in chi lavorava: «Allora avevi la possibilità di ascoltare, scoprire o confermare un genere, un artista o una preferenza, anche i programmi radiofonici erano specializzati e non in mano, come oggi, ad una serie di dj che autoproducendo solamente “stravolgono” tendenze e non-classifiche». Il supporto, nel tempo è cambiato da vinile a cd per finire file musicale, ma non è stato questo a decretare la crisi quanto il cambio di mentalità: allora, fino a pochi anni fa, la tendenza era ad allargare le conoscenze, oggi, prosegue Bonardi, «oggi vedo i giovani, in fila, con una cuffia in testa sentire magari quello che già è bombardato sui telefonini o nelle varie tribù prive di creatività propria, in mezzo a 500 proposte tutte “premurosamente” clonabili… Non c'è più un posto dove entri, scegli, ascolti, riascolti e verifichi, senza essere guardato come un bamboccio, non c’è più un posto dove ti viene spiegato che Amy Winehouse non è solo un’ubriacona o che De Gregori o Gallagher degli Oasis hanno magari i loro motivi per essere schivi e originali...».


    Il posto forse rimasto più nella memoria, per le dimensioni, per la posizione, perché l’ultimo a chiudere, è il Mistral Set di via Della Repubblica. La mano che, mestamente, ha abbassato la saracinesca era quella di Carlo Maffini, storico dj delle grandi discoteche di Parma, arrivato a gestirlo (con Domenico Moschetti) dopo una lunga trafila: prima cliente professionale, poi commesso, infine titolare; probabilmente non c’è parmigiano con più di vent’anni che non abbia comprato almeno un disco al Mistral Set. «Ai bei tempi – ricorda Maffini – lavoravo in negozio dalla mattina alla sera tardi, chiudevamo il negozio oltre la mezzanotte spesso e volentieri, visto l'afflusso notturno». Per gli appassionati era una Bengodi: scaffali lunghi e ricolmi, ampia fornitura di Tutti i generi, indispensabile servizio biglietteria per i principali concerti in Italia, due piatti dove i dj potevano provare i mix (con sguardi di scherno dei metallari). L’elenco delle cause che hanno portato alla chiusura e lungo quanto la discografia di Bob Dylan, bootleg compresi: «Centro storico chiuso, marciapiedi assurdi, viabilità modificata, divieti di parcheggio, multe e via dicendo. L’era digitale in cui il vinile veniva sempre meno stampato per lasciare posto al Cd, l’arrivo degli Mp3, la difficoltà di reperire materiale particolare per via dell'import minore dal mondo».
    Ma c’è un segno di speranza: «In Italia non so, ma all’estero ho visto molti ragazzi frugare come il sottoscritto nei negozietti a caccia di vinile».


    Come Highlander, di negozi di dischi propriamente detti ne è rimasto solo uno: il Music Mille di viale Dei Mille. Nato come Isoni Dischi negli anni ’70, ha preso il nome attuale negli anni ’80; da una decina d’anni ci lavorano Marco Corradi e la moglie, divenuti titolari un paio d’anni fa. «Quando ho iniziato – dice Marco – c’erano ancora tutti; noi siamo sopravvissuti per una serie di situazioni di vantaggio: la posizione, l’impegno a tenere tante cose, le richieste, la conduzione familiare, la cortesia che cerchiamo di tenere con tutti. E un po’ di fortuna». Le difficoltà ci sono, perché «si è creata la cultura dell’I-pod, oggetto fantastico che però porta a curare più la forma della sostanza, cioè la musica in esso contenuta». Nonostante questo, Marco è ottimista: «La musica non svanirà, cambieranno solo le modalità. Certo bisognerebbe ridare il giusto ruolo, perché ora come ora è solo un file».
     
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