ABITO DEL FUTURO: LA PLASTICA CI TERRA' AL FRESCO

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    LA PANCHINA DI MARIELLA

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    La proposta si basa su un materiale che rappresenta una nuova forma di polietilene (la più comune fra le materie plastiche), dotata di caratteristiche utili alla confezione di indumenti grazie alla nanotecnologia, quell’ambito scientifico che punta a manipolare la materia su scala atomica o molecolare. Perché mescolando il risultato delle ricerche con l’abbigliamento tradizionale si consente al calore di abbandonare il corpo e regalare una maggiore sensazione di freschezza. La considerazione da cui sono partiti gli scienziati è che il nostro corpo, come d’altronde tutti gli oggetti, emette calore sotto forma di radiazione infrarossa, che non riesce a disperdersi se ci sono abiti che coprono la pelle (la ricerca ricorda che la percentuale è racchiusa tra il 40 ed il 60% mentre si è seduti in ufficio).

    Un problema che colpevolmente nessuno aveva mai affrontato ed a cui gli studiosi di Stanford hanno posto rimedio grazie ad una combinazione di fotonica, chimica e nanotecnologie. La tecnica adottata ha previsto di trovare un materiale opaco alla luce visibile, ma trasparente negli infrarossi. Risultato raggiunto grazie ad una sorta di sandwich con uno strato a maglia di cotone racchiuso tra due fogli di polietilene, nel dettaglio il polietilene a nanopori (nanoPE). Si tratta di un tipo particolare di pellicola con fori microscopici (dai 50 ai 1000 nanometri, in altre parole miliardesimi di metro) che permettono alla luce infrarossa di attraversarla, ma non consentono la stessa operazione alla luce visibile (che ha una diversa lunghezza d’onda). Al tempo stesso non risulta trasparente e dall’esterno appare come un normale tessuto di cotone.

    In questo modo i ricercatori hanno verificato che il nuovo materiale consente il passaggio del 96% della radiazione infrarossa, mentre il cotone si ferma appena all’1,5%. Una differenza abissale che si è tradotta in un aumento della temperatura corporea di 0,8°C contro i 3,5°C del cotone. Meraviglie della tecnologia insomma, anche perché il polietilene normale innalza la temperatura di 2,9°C e blocca il 20% della luce visibile (il nanoPE ben il 99%). Inoltre, la recente scoperta si è dimostrata anche in grado di lasciar traspirare l’umidità, risolvendo uno dei difetti del materiale da cui deriva il polietilene a nanopori.

    Cosa comporta la nuova ricerca? Ovviamente la possibilità di una maggiore resistenza al caldo durante le torride stagioni estive, ma ci sono anche implicazioni di altra natura. Come ha dichiarato Yi Cui, uno degli autori dello studio, “Se si può raffreddare la persona piuttosto che l’edificio in cui lavora o vive, si otterrà un risparmio di energia”. Quindi, un’alternativa interessante che si basa su un concetto (gestione termica personale) semplice: un corpo umano ha una massa termica molto inferiore rispetto a quella degli edifici che lo ospitano e raffreddarlo singolarmente può offrire un’efficienza ben diversa. E sappiamo bene che in un momento storico in cui la lotta alle emissioni sta assumendo un ruolo sempre più di primo piano, ogni tecnologia che ci consente di ridurre i consumi (in questo caso legato all’uso di condizionatori) è senz’altro la benvenuta.

    FONTE: http://www.repubblica.it/scienze/2016/09/0...26/?ref=HRERO-1
     
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