RACCONTI EROTICI 2014

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    Il giorno più bello della mia vita è stato quando ho sposato Pietro. In quel giorno, ogni donna si sente la principessa della Luna, il vestito bianco, le perle, l'acconciatura, i fiori, la chiesa, il tuo papà che ti accompagna dal tuo futuro marito e il tuo amore che ti aspetta, ti fissa, ti sorride e, anche se il suo sguardo è serio, nei suoi occhi brilla quel sole che ti scalda il cuore e ti accende il corpo.

    Ricordo ancora la sensazione del passaggio tra il braccio forte di mio padre e la carezza della mano di Pietro, in quel momento ho lasciato per sempre la mia infanzia, la mia adolescenza, i miei sogni da ragazzina per passare tutto il resto della mia vita da donna con lui.

    Non si diventa donna con la prima mestruazione, si diventa donna quando ami un uomo, quando quel corpo da ragazza si accende, vibra, si agita quando sente una sua carezza, il suo calore e il suo desiderio pazzo per te. Sei donna quando hai la consapevolezza delle tue armi.

    Ogni donna ama, comprende, aspetta ma - come dona - toglie senza il minimo scrupolo, l'amore si tramuta in odio, un sentimento forte come quello precedente che fa trasformare il cuore in un frutto acerbo, acido come le ferite che ci hanno portato a trasformarci in delle arpie. Il dolore di un uomo ci fa così male da sentirci morire lentamente, e l'unico modo per sentirci meglio è scappare da quella sofferenza fisica e psichica. La fuga non è un segno di vigliaccheria o fragilità, ma una protezione del nostro piccolo e fertile cuore.

    Sorrido mentre osservo il viso di papà, una faccia dolce ma severa, solcata da tante rughe vicino agli occhi e sulla fronte, i pochi capelli ai lati gli donano un'aria buffa e simpatica.

    Mia madre, aggrappata come una scimmietta al suo braccio ride, i suoi capelli rossi come le foglie d'autunno risaltano sullo sfondo oro delle tende del ristorante, è felice, si percepisce da quell'immagine plastificata tutti i suoi pensieri e le sue preoccupazioni per la sua unica figlia femmina, quella figlia che ha visto tanto soffrire e che ora, finalmente, vede serena e appagata. La sua tranquillità di madre fuoriesce dal suo splendido sorriso, ricordo di quella giornata romantica.

    Sfoglio l'album del matrimonio con una profonda malinconia, mi manca quel giorno, mi manca sentirmi come quel momento e mi mancano più di tutto e tutti le mie sicurezze di quel passato vicino ma ora tanto lontano.

    Mi sento in colpa verso tutti, mi sento così male delle sensazioni che sento nel mio cuore da volermi seppellire sotto la terra sterile della mia vergogna.

    Chiudo gli occhi, mi sdraio sul divano bianco e, mentre col piede destro chiudo l'album che è situato sul tavolino di cristallo, ricordo la nostra notte di nozze. Fare l'amore con Pietro era come quando un pittore dipinge per la prima volta la sua ninfa, la sua musa, unica per tutta la sua vita, estasi per gli occhi e piacere per le mani. Mio marito sapeva dove accarezzarmi, dove posare i suoi baci, dove viaggiare col suo respiro caldo, tutti miei segreti più intimi, tutti i miei difetti fisici, tutti i miei nei erano diventati mete preferite della sua calda mappa.

    Adoravo fare l'amore con lui, appena ci siamo conosciuti - tramite il mio migliore amico - c'è subito stata un'alchimia speciale, non è scattato il colpo di fulmine, non si è accesa l'attrazione dei nostri corpi ma è nata, lentamente, dentro al nostro cuore la curiosità e la consapevolezza di conoscere un'altra persona, un essere umano del sesso opposto, quel sesso che tanto ci spaventava ma di cui tanto ne avevamo bisogno.

    Io e Pietro eravamo come l'ape e il miele, non riuscivamo mai a stare l'uno senza l'altro, quando c'era facevamo sempre l'amore, quando non c'era ci pensavo, lo volevo, mi mancava.

    Questa magia è durata tre lunghi anni, i tre anni più belli, emozionanti e pieni della mia vita, anni ben vissuti fino a ieri.

    Mi sento male perché il nostro incantesimo d'amore si sta spezzando sotto un semplice sorriso, uno sguardo profondo e familiare, gli occhi azzurri di Alessio, il mio ex. Sono confusa e triste, non so cosa fare, non so come spiegare quel brivido per la schiena e non riesco, con mio grande stupore, a fare l'amore con Pietro; è da un mese che scappo, mi allontano da lui, mi rendo conto che soffre ma non riesco a fingere di amare se il mio corpo non si accende e il mio cuore non reagisce al suo sentimento forte per me.

    Suona il telefono, senza aprire gli occhi tasto veloce il divano, lo trovo nell'incavo del bracciolo dietro il mio collo, il suono acuto mi provoca dolore ai timpani, decido di rispondere subito, senza sapere a chi risponderò. Le sorprese mi sono sempre piaciute, ma odio le sorprese che mi devastano la vita anche se, nella loro crudeltà, la rendono più elettrizzante.

    "Ciao Sara".

    La sua voce calda e ironica mi schiaffeggia il cuore. Ricordo di mille conversazioni notturne.

    "Ciao Alessio, hai ancora il mio numero?", domando curiosa.

    "Sì, non l'ho mai cancellato. Mio Dio, la tua voce, quanto è bella...".

    Il suo accento veneto mi è sempre piaciuto, non è marcato, la sua lieve ma decisa sfumatura di mare accarezza il mio animo di neve.

    "E' la mia voce normale, credo...", rido.

    Sono molto nervosa.

    "Ecco, proprio questo mi mancava, è come l'aria per me, il tuo sorriso è sempre stato una forte emozione".

    Mi siedo, mi alzo, decido di camminare intorno al divano, dentro al mio salotto, accanto a quelle mura che se potessero parlare mi ricorderebbero di mio marito e del suo amore.

    "Sono sposata Ale".

    Silenzio.

    "Lo so, me l'hanno detto e sai come sono, mi conosci, non ci provo con una donna sposata ma tu, tu sei sempre stata quella persona che anche se ti odiavo, ti amavo; è complicato".

    E' sempre stato complicato tra di noi, sempre. Poteva essere tutto semplice, bello, quotidiano ma eravamo io e lui distanti, diversi, due universi paralleli, Sole e Luna, luce e buio, mare e montagna. In biologia si studia che i contrari si attraggono e gli uguali si respingono, è una legge della scienza, guai ad andare contro a una certezza della vita, ma io non ci ho mai creduto. Io e Alessio eravamo amore e passione allo stato puro, intere giornate a letto ad amarci e coccolarci, eterne notti a viziarci, sotto il peso del buio delle nostre anime lontane, incompatibili.

    "Cosa vuoi da me?", domando fredda, glaciale.

    "Niente e tutto. So che hai una tua vita, so che stai bene, so che hai un marito che ti ama, ma volevo sapere se ti andrebbe di fare un week end con me. Non ci siamo mai detti addio davvero".

    Non mi metto a pensare, anche se il mio cuore urla, si agita e vuole vederlo, la mia mente razionale ma confusa mi sussurra la risposta immediata, senza troppi dubbi.

    "No Ale, non posso, non voglio tradire Pietro".

    Silenzio, sospiri, tempo perso a cercare una parola che non esiste, una sicurezza che è morta anni fa quando lui, per il suo stupido orgoglio, mi ha lasciato andare via senza aver lottato per me, non volevo la Luna, volevo lui, il suo amore e il suo rispetto. Tante volte mi sono piegata il cuore e seppellito la mia dignità per una sua parola e un suo sorriso, io facevo le prime mosse per fare pace; dopo mesi ho detto basta, ero stanca, stavo male per i suoi silenzi e dentro di me pensavo: se mi vuole combatte per avermi. Purtroppo non lo fece e io, ancora innamorata di lui, mi rifugiai nella mia solitudine.

    "Non tradirai tuo marito".

    Scoppio a ridere.

    "Ale, sappiamo entrambi cosa vuoi".

    "Sii sincera con te stessa Sara, anche tu lo vuoi, ho visto il tuo sguardo ieri, al bar".

    "Non avevo nessuno sguardo".

    Ora è lui che ride, si diverte, sbuffa. Batte le dita sul cellulare, io allontano la testa, quel rumore mi fa fischiare l'orecchio.

    "Ricordi la nostra passione? I tuoi sospiri? La tua insaziabile e costante voglia di me? Il nostro amore?".

    Domande vuote ma ricche di un passato ancora troppo nitido dentro di me per non ricordarmi le risposte.

    "Sì. Però dimentichi un particolare, sei stato tu a lasciarmi andar via dalla tua vita".

    "Sara, ero stufo di rimediare ai miei errori. Volevo iniziare tutto dall'inizio ma tu non volevi, ormai avevi deciso, sei scappata".

    "Sono scappata perché stavo male, una sofferenza che non ti auguro mai di provare".

    "Troppo tardi, la sento da quando sei sparita", dice con voce rauca.

    "E' brutto sai vedere che, dopo tanto amore e gesti pieni di me, tu non hai mosso un dito, non hai agito per avermi, per riconquistarmi".

    "Ho sbagliato, ormai è passato, non posso tornare indietro. So che sei felice con tuo marito, per questo non ti voglio mettere in difficoltà, voglio solo due giorni con te, un fine settimana per dirci addio per sempre. Chiudere il nostro capitolo, ne ho bisogno capisci?".

    Ho le mani fredde, la gola secca e ho difficoltà a deglutire, non so cosa fare.

    Non mi pento di quello che ho fatto, non mi pento di averlo incontrato e di aver sentito i nostri brividi, aver visto la nostra complicità mai morta ma solo addormentata, aver percepito la nostra alchimia, il nostro amore che sbucava come un pagliaccio dietro a ogni nostro sorriso. No, non riesco e non posso sentirmi in colpa.

    Oggi pomeriggio mi sono sentita viva, donna, amante - quello che ero con Alessio - non moglie e casalinga perfetta come sono con Pietro. Ero davvero io, Sara e non il mio fantasma nato dalla quotidianità di un amore debole.

    Sono rimasta fuori cinque ore a ridere, a scherzare, a vivere e, mentre parcheggio l'auto, noto il Babbo Natale appeso alla ringhiera del balcone.

    Sorrido.

    Luccica con le sue lucine bianche e rosse, ricordo ancora quando l'abbiamo preso su uno scaffale basso del supermercato, Pietro voleva prendere quello bello, pulito, sano. Io invece, mi ero soffermata a raccattare quello un po' sporco, l'ultimo della fila, i capelli bianchi spettinati ma con un sorriso disegnato stupendo. Alla fine, come sempre ho vinto io. Molte volte avrei voluto perdere, sentirmi un po' sottomessa, un po' metaforicamente presa per i capelli, lottare per ciò che volevo e non avere sempre la strada facile, un premio troppo scontato per essere goduto davvero.

    Quel pupazzo rosso era la coppa di un giorno felice della nostra vita quotidiana.

    Salgo le scale esterne dell'appartamento stringendomi il colletto del cappotto al collo, il freddo pungente mi entra dentro come mille spilli di neve, sorrido quando vedo la ghirlanda appesa sulla porta, si è ricordato di appenderla, ieri gli avevo riempito la testa, sapevo che con tutte le cose che ha da pensare poteva dimenticarsi e invece si era ricordato.

    Appena entro in casa, una leggera musica di canti natalizi mi circonda, il calore del termosifone acceso mi dona la classica sensazione di torpore e brividi freddi su tutto il corpo.

    "Amore mio".

    Pietro posa una gigantesca stella blu sul tavolo di vetro in mezzo al salotto e corre da me, rischia di inciampare sul tappeto persiano che ci ha regalato sua mamma dal suo ultimo viaggio in giro per il mondo.

    Mi abbraccia così forte da farmi dimenticare i miei tanti pensieri, li fa scappare via mentre le sue mani grandi mi strofinano la schiena per riscaldarmi, mi bacia il collo e il suo respiro caldo dietro l'orecchio mi dona quel brivido di piacere che adoro.

    "Come stai? E' andata bene la tua giornata?", domanda sorridente.

    "Sì, un po' stancante, e la tua?".

    Mi stacco da lui, mi sento in colpa anche se non ho fatto niente di male, l'ho solo incontrato, mi ha sfiorato il polso, non ha posseduto il mio corpo però mi ha confuso il cuore, l'unico organo in me che più conta.

    "Un bambino aveva la varicella, per fortuna io l'ho avuta all'età di tre anni, ho telefonato a tua madre assicurandomi che l'avessi fatta anche tu, solo per questo ti ho abbracciato se no dovevamo stare in quarantena. Non voglio che ti ammali per colpa mia".

    Pietro ama il suo lavoro, fare il pediatra è stato il suo sogno fin da quando era piccolo, i suoi occhi quando mi parlava delle sue avventure ospedaliere luccicavano talmente tanto da pensare di doverti mettere gli occhiali da sole, una luce così immensa da farmi invidiare la sua vocazione, la sua sicurezza.

    Speravo, per una frazione di secondo, che mia madre si fosse dimenticata della mia varicella, così potevo andare a dormire da loro, nel mio letto da adolescente, protetta da quelle lenzuola delle principesse Disney, col mio pupazzo di Hello Kitty regalatomi da mio padre un Natale di tanti anni fa.

    "Sei un tesoro, come sempre", sorrido anche se vorrei scappare.

    "Hai fame? Ho già cenato in ospedale ma se vuoi ti preparo qualcosa".

    E' quasi mezzanotte, sono uscita dal bar cinque ore fa, potevo venire subito a casa ma ho deciso di fare un giro in collina e restare ad ammirare le montagne innevate, non è stato per nulla rilassante visto che fuori dall'auto esisteva un silenzio innaturale ma dentro, insieme a me, i miei ricordi e i miei pensieri facevano così tanto rumore da sembrare una mandria scatenata.

    "No grazie, ora mi cambio e vado a letto".

    Scompaio veloce nel bagno, chiudo a chiave la porta e, scivolando lentamente, mi siedo per terra, mi rannicchio lì, mi faccio piccola mentre le ginocchia mi schiacciano il petto e inizio a piangere. Sono lacrime calde, salate, violente, corrono sul mio viso come tante gocce di rugiada.

    Mi alzo, mi strucco, mi metto la crema per le mani, è un vizio che mi ha passato mia madre, adoro sentire quel profumo sulla mia pelle, mi fa sentire donna, mi spoglio dei miei vestiti e mi metto una vecchia e larga camicia di Pietro che ogni notte mi fa da pigiama.

    "Tesoro, stai bene?", domanda serio.

    E' seduto sul letto, sotto le coperte, in mano tiene una dispensa, i suoi occhialini per leggere sono elegantemente posati sul mio cuscino.

    "Sto bene, sono solo molto stanca".

    "Ah, capisco".

    Lo so cosa vuole, ormai mi desidera da un mese e io, puntualmente, smonto il suo desiderio con la mia finta stanchezza. Mi sorprendo quando alzo le coperte nel vedere che gli manca il pezzo sotto del pigiama, è completamente nudo.

    Lo guardo seria anche se mi viene da sorridere, è così tenero e premuroso da volerlo abbracciare per ore.

    "Scusami, mi rivesto subito".

    Lentamente prende gli occhiali e, mentre si alza, gli blocco la mano, lo guardo, mi inginocchio davanti a lui, gli prendo il viso tra le mani e lo bacio. E' un bacio dolce, timido ma molto passionale.

    "Non voglio che ti vesti", sussurro dentro le sue labbra.

    Allargo le gambe, mi siedo sopra di lui, la trapunta gli copre le sue nudità ma ciò non mi impedisce di sentire il suo pene indurirsi.

    "Ti voglio così tanto Sara...".

    Al suono di quelle parole lo bacio con prepotenza, senza lasciarli un minimo di fiato, le sue labbra sono per me ossigeno puro per respirare l'aria che ho ma che, allo stesso tempo, mi manca.

    Le sue mani corrono veloci sulla mia schiena, sulle mie cosce per poi fermarsi sul mio collo, lo stringe così tanto da sentirmi svenire, la sua voglia di me è percepibile in ogni particella di polvere e di vita che circonda questo nostro nido d'amore.

    "Ti voglio", dico con la mia voce calda, carica di desiderio.

    Mi abbraccia, mi solleva e mi butta sul letto, il suo corpo sopra di me è così avvolgente, caldo da sentirmi in pace e vogliosa di essere posseduta da lui.

    Si inginocchia sopra di me, una coscia a destra, l'altra a sinistra, l'accarezzo mentre si toglie la maglia. Lo faccio avvicinare al mio viso, cammina in ginocchio verso di me, lo voglio tutto dentro la mia bocca vogliosa di essere riempita dal suo desiderio, dalla mia estasi. Lo lecco come se fosse il mio gelato preferito, in fondo lo è, ho sempre adorato il suo pene grande, non troppo lungo, giusto per me, per la mia pace dei sensi. La mia mano è premuta sulla sua pancia piatta e dura, sento ritmicamente il suo respiro che cambia, aumenta, corre verso quel traguardo che tanto sognava e voleva. I suoi occhi sono fissi nei miei, impazzisco di piacere mentre lo guardo dentro le sue pupille nere, leggo tutta l'estasi che gli sto volutamente donando.

    Timidamente avvicina un dito alla mia bocca, vuole che lo lecco insieme al suo pene duro, li assaporo entrambi e lui geme, ansima.

    "Basta!".

    Allontano la mia bocca dal suo cazzo, si distende nella sua parte del letto, mi vuole sopra di lui, velocemente lo raggiungo e senza aiutarmi con le mani, mentre lo bacio, entra lentamente dentro di me. Inizio un movimento lento, calmo, ritmato dal rumore del letto che scricchiola e che riempie la nostra camera di una dolce melodia.

    Non so se mi mancava di più fare l'amore con Pietro o il fatto di fare del puro e sano sesso. Le sue mani accompagnano il mio andamento tranquillo ma deciso, lo sento tutto dentro di me, dentro alla mia fica bagnata di mille umori e sapori colorati.

    "Oh Alessio...".

    Pietro si ferma, apre gli occhi, mi fissa, mi spinge via dolcemente e si alza, scompare in bagno rosso in viso, è imbarazzato, arrabbiato e io solo ora mi rendo conto del nome che mi è uscito come una saetta prepotente dalla bocca, un fulmine che è andato dritto dritto nel cuore di mio marito.

    Busso forte alla porta, entrambe le mani racchiudono nei miei pugni duri come l'acciaio tutto il dolore che sento in questo momento. Le lacrime calde e rosse di un sangue troppo vigliacco per scorrere mi rigano il viso.

    "Apri subito questa maledetta porta".

    Tiro calci, urlo, mi inginocchio e, alla fine, mi siedo con la schiena contro il muro, mi tengo il viso tra le mani, i capelli appiccicati sulla fronte sudata, sintomo della maratona d'amore con Pietro, mi infastidiscono la pelle.

    Alla fine esce dal suo piccolo nascondiglio e, con passi lenti ma decisi, ritorna a letto, si siede e con entrambe le mani si massaggia le tempie.

    Io con passi veloci, mi arrampico sul materasso gattonando, l'abbraccio da dietro, le mie mani si stringono addosso al suo collo, sento il suo respiro nei miei polpastrelli freddi; alla fine, sospirando, scappa dalla mia gabbia dorata e si alza.

    "Sara devi risolvere questa tua ossessione", sussurra serio.

    "Non è un'ossessione".

    Pietro si siede sulla poltrona bianca davanti al letto, vicino alla finestra, mi fissa, è la prima volta che trova il coraggio di guardarmi davvero negli occhi, la sua espressione è la somma di tutte le mie operazioni calcolate male e vissute peggio.

    "E allora cos'è?".

    Deglutisco a fatica, non posso dire che è amore, non posso dire che non ho mai smesso di amarlo, di pensarlo, di volerlo, non posso permettermi di ferirlo ancora di più di quanto stia già soffrendo.

    "Sara cos'è? Amore? Sesso? Cosa?".

    "Non lo so".

    "Oh sì che lo sai, l'hai sempre saputo, anche quando mi hai sposato e io, scemo, ho accettato di averti come moglie ben sapendo che eri ancora innamorata di quello stronzo. Forse hai dimenticato quanto ti ha fatto male. Vuoi rinfrescarti la memoria vedendolo?".

    Mi siedo sul letto, le ginocchia incominciano a farmi male, ho perso completamente la sensibilità stando in quella posizione scomoda. Mi rendo conto che le sue parole mi danno fastidio ma allo stesso tempo mi fanno ricordare tanti attimi di vita dolorosi.

    "L'ho incontrato oggi pomeriggio".

    Il mio peggiore difetto: la sincerità. Non so se l'ho detto per chiudere definitivamente il mio matrimonio o per rendere più reale l'incontro che ho avuto con Alessio, mi sembra ancora un sogno averlo visto e aver respirato la stessa aria.

    "Sono senza parole, io ero qui come un coglione a preparare l'albero di Natale, a mettere la tua sciocca ghirlanda alla porta e tu eri con quel cretino. Ti sei bevuta il cervello o ti sei semplicemente dimenticata di essere mia moglie?", grida.

    Velocemente si alza, si fionda nel suo comodino, apre il primo cassetto, prende il suo vecchio pacchetto di sigarette e ritorna a sedersi.

    "Hai smesso", sussurro.

    "Cosa importa? Tanto è andato tutto a puttane, avevo smesso per noi ma vedo che non è servito a un cazzo!".

    Si accende una sigaretta, mi fissa dritto negli occhi mentre prende la prima boccata di fumo e la sputa via come una ciminiera impazzita.

    "Non devi rovinarti la vita per colpa mia".

    "Piantala di fare la santa! L'hai rovinata tu la mia vita, mentendo di amarmi, di volermi per tutta la vita. Sei una fottutissima stronza".

    Sono nuda sul letto, prendo un cuscino e mi nascondo il seno e il ventre dietro a esso, come per nascondere il mio corpo, la mia arma di donna colpevole.

    "Io ti ho amato e ti amo tutt'ora".

    "No, cara. Ora devi scegliere, o me o lui, scegli, ora, adesso, altrimenti me ne vado da questa casa e non mi vedrai mai più, mai più Sara. Pensaci bene".

    Sicurezza o passione. Amore o affetto. Vita o sopravvivenza.

    "Non lo so Pietro, vorrei darti una risposta ma non lo so. Non voglio mentirti scegliendo te e poi farti soffrire perché ho risposto troppo frettolosamente".

    "Bene, questa è la tua scelta. Io me ne vado".

    Si alza, apre l'armadio, prende la sua valigia, inizia a mettere freneticamente tre paia di boxer, tutte le camicie che trova appese e i suoi calzini monocromatici.

    "Non ho risposto!", urlo.

    Si ferma, si avvicina a me mettendosi carponi sul letto, il suo viso è vicinissimo al mio, il suo fiato inebria il mio cervello confuso.

    "Sì. Avere il dubbio di amarmi o meno è la risposta. Se ami non hai dubbi".

    Ricomincia a prepararsi la borsa per scappare via da me, da quella donna che gli sta spezzando il cuore lentamente. Mi alzo, lo fermo bloccandolo per i polsi con le mie mani gelate, lo guardo in volto, il viso è pallido, le sue labbra rosa stonano sul suo colorito chiaro, i suoi occhi scuri scrutano i miei ma io, timidamente, abbasso lo sguardo.

    "Non te ne andare, parliamo, sono tua moglie".

    "Ah, ora lo sei e oggi pomeriggio?".

    "L'ho solo incontrato, non è successo niente".

    "Non ancora. Sara, non starò a guardare che ti porterà a letto, perché, credimi, è quello che vuole davvero da te".

    Lo lascio andare e, mentre mi allontano, lui mi prende in braccio, mi butta sopra la sua valigia con la corazza dura e lucida e mi apre brutalmente le gambe, si toglie i pantaloni e, mentre io cerco di rialzarmi per massaggiarmi la schiena dolorante, mi chiude in un abbraccio soffocante mentre il suo pene grosso e duro mi penetra violentemente e senza nessuna protezione.

    Le sue braccia come ragnatele si infilano sotto il mio sedere come in una morsa di dolore e piacere, il suo viso è premuto e nascosto dalla mia spalla sinistra, il suo corpo schiacciato contro il mio mi pizzica le punte dei capelli.

    "Forse un figlio ti sveglierà da questa follia", sussurra.

    Si alza, mi lascia andare, mi prende le gambe, le solleva, mi stringe le caviglie nelle sue grandi mani, è in piedi davanti a me, senza staccarsi dal mio calore mi tira verso di lui e mi fa finire sul bordo del letto.

    Il suo movimento è senza sosta, come un martello pneumatico mi possiede sotto il ritmo della sua sofferenza, non ci sono attimi di rallentamento, di stanchezza, è deciso a farmi impazzire di piacere anche se l'uomo che vorrei ora non è lui.

    "Ti prego smettila", ansimo di estasi.

    "No! Sei mia ora!", urla tra un gemito e l'altro.

    Non prendo la pillola, l'ho presa una volta ma, quando ho avuto alcuni dei sintomi collaterali elencati, ho smesso di assumerla, lui ora è senza preservativo ed è deciso a venirmi dentro. E, sinceramente, l'ultima cosa che vorrei ora è un bambino, un figlio da lui, nato da un matrimonio infelice ma sicuro, frutto di un uomo geloso e con l'anima frantumata in mille pezzi.

    "Pietro smettila, pensa a quei bambini nati per sbaglio", dico con difficoltà, il piacere mi confonde i pensieri, mi fa tremare la voce.

    Non si ferma, la sua acuta razionalità di medico non funziona, i suoi movimenti aumentano, il ritmo è più veloce di quello precedente che era già fulmineo e deciso.

    Lo sento ingrossarsi dentro di me, premere la punta quasi contro il mio intestino, è tutto dentro, spinge, lo preme nel mio frutto bagnato ed estasiato.

    Alcune goccioline di sudore cadono dalla sua fronte e mi bagnano il collo scivolando tra i miei seni. Veloce come un fulmine si china sopra di me e mi lecca i capezzoli, lascia andare le mie caviglie, intravedo i segni bianchi vicino all'osso dovuti alla sua forte stretta, gli stringo la vita con le gambe mentre le mie mani gli massaggiano i capelli castani corti.

    La sua lingua mi lecca ovunque, seno, collo, labbra, io mi bagno così tanto quando lui entra ed esce dentro di me da sentire quel rumorino delizioso di mare.

    Pietro si alza, velocemente si toglie dal mio calore e mi viene sul ventre, il suo liquido caldo e gelatinoso mi riempie l'ombelico, lui geme e respira a fatica fino a quando esce l'ultima goccia del suo nettare d'amore.

    A passi svelti sparisce dalla stanza e io rimango immobile, nuda, sporca di quel rapporto che non volevo ma che mi ha donato tanto piacere.

    Mi alzo cercando di non sporcare il letto, velocemente apro il primo cassetto del mio comodino e prendo un fazzoletto dal piccolo pacchetto stropicciato.

    Prendo dal pavimento la camicia di Pietro, quella che mi fa da pigiama, mi vesto e lo raggiungo in bagno, ora la porta è aperta, lui è intento a pulirsi con l'asciugamano, ha appena fatto una fulminea doccia, incrocia il mio sguardo quando mi passa vicino per ritornare nella nostra stanza. Velocemente si veste, si mette i suoi pantaloni della tuta blu, quelli che usa per andare a correre la domenica mattina, quelli che gli stringono un po' la vita ma sono larghi nelle cosce, si mette un pullover nero, le scarpe da ginnastica che usa per andare a giocare a calcetto con i suoi amici d'università, sospira e si ferma, immobile, seduto sul letto, con la testa bassa e le gambe divaricate.

    "Sara io ti amo. Ti ho sempre amata, sei la donna dei miei sogni ma non voglio amarti solo io. Io ora me ne vado, tu cerca di risolvere questo tuo problema. Quando avrai le risposte, chiamami".

    La sua voce è chiara e bassa, ha le sue tonalità da medico; è protettivo, serio, razionale, mi parla come se stesse facendo la diagnosi del suo cuore e della nostra storia.

    "Non andartene, è anche casa tua, me ne vado io".

    "No. Preferisco così. La casa senza di te sarebbe vuota e deprimente. Arrivederci Sara".

    Si alza, si avvicina cauto al mio viso, mi dà un bacio sulla guancia destra, io intravedo una perla trasparente alla base del suo occhio sinistro, è una lacrima, una sola goccia del suo infinito mare di sofferenza.

    Non l'ho perso per sempre ma gli ho volutamente frantumato il cuore, sono stata un meteorite improvviso che gli ha spazzato via tutte le sue sicurezze e la sua casa, il nostro rifugio.

    La mia mente mi sussurra di fermarlo, di rassicurarlo, di dirgli che è lui la mia scelta ma il mio cuore urla a voce altissima - da spaccare i timpani - che vuole scappare, andarsene via da queste mura, fuggire con Alessio, l'uomo che ha sempre posseduto la mia anima. L'uomo che amo.

    Sono seduta comodamente su una panchina, vedo il mare in lontananza, alle mie spalle piazza San Marco, Venezia è la città dell'amore, qui nacque Casanova e i più grandi amori, come Romeo e Giulietta a Verona, a due passi da dove sono io, il Veneto vive sotto il ritmo potente delle grandi emozioni del cuore.

    Lo sto aspettando, dovrebbe essere qui a momenti, ho le mani gelate, il corpo congelato dal prepotente freddo di dicembre, i capelli volano sotto il potere del vento marino e le guance sono bollenti, come se avessi appena bevuto un calice di vino.

    La gamba destra trema, sono nervosa, so che sto sbagliando a lasciarmi andare a questa folle passione ma mi sono sentita per tre anni malata, respiravo tutti i giorni la polvere della monotonia matrimoniale e ora che ho l'ossigeno puro, buono, fresco, non riesco più a pensare ad altro, voglio solo quello, lo pretendo.

    Non so dove la vita mi porterà o quale strana strada mi farà intraprendere, so solo che mi voglio godere questo attimo e racchiuderlo dentro di me come un ricordo indelebile, un fossile attaccato al mio peccato.

    "Sara... amore mio".

    Mi volto lentamente, la sua voce è come una mano invisibile che mi spinge a guardare la fonte di quel suono meraviglioso, i suoi occhi color del cielo implorano i miei marroni di amarlo. Mi alzo, i tacchi alti mi fanno tremare le gambe, sono emozionata e non riesco a stare in piedi, mi sento come una bambina che sta imparando a camminare.

    Alessio mi chiude tra le sue braccia, mi stringe così forte da sentirmi mancare quel poco respiro che ho nei polmoni, inspira forte, come un drogato la sua polverina candida.

    "Vieni, andiamo in albergo, ho prenotato una stanza dove si vede la laguna".

    Veloce, come due adolescenti, fuggiamo tra la nebbia e le correnti marine, l'unico rumore è il suono dei miei tacchi che corrono veloci e sbattono sull'asfalto bagnato.

    Abbiamo aspettato questo momento da anni, il mio legame con Pietro non poteva rovinare il mio piacere con Alessio, l'unico uomo che ho amato e che mi ha sempre fatto godere come la sua cortigiana preferita.

    Il portiere mi sorride, io non capisco più niente, l'ho guardo con la coda dell'occhio, il caldo dell'edificio mi pervade il corpo, mi scalda lentamente il sangue. Alessio prende la chiave, sorride e parla in dialetto con il ragazzo della hall mentre io mi guardo in giro.

    E' un posto carino, intimo, poca gente passeggia nel salone comune, un grande televisore al plasma è vivo grazie alla musica di un canale locale, alcuni uomini giocano a carte nei tavolini del bar, a fianco a me il barista mi fa l'occhiolino.

    Lentamente lascio la mano di Alessio e mi dirigo da lui, gli sorrido e mi siedo veloce anche se un po' impacciata sullo sgabello troppo alto per me.

    "Salve bella signorina, cosa le servo?".

    Accavallo le gambe, il lungo cappotto nero si sfalda e mi lascia scoperte le cosce mentre appoggio delicatamente il tacco sul piedistallo di ferro del bancone.

    "Una vodka con ghiaccio, grazie".

    Sorrido mentre mi copro la coscia destra col vestito che prima aveva lasciato scoperto il pizzo della mia calza autoreggente nera.

    Il barista, con gesto elegante, mi porge un bellissimo bicchiere di vetro blu, il liquido dentro è poco, i cubetti di ghiaccio sembrano tanti piccoli iceberg in quel piccolo mare trasparente. Bevo, ne prendo una lunga sorsata e mi sento subito l'alcool alla testa, ora capisco perché i Russi la bevono, ti scalda appena l'assapori intensamente.

    Il ragazzo mi fissa il seno lasciato un po' scoperto dalla mia sciarpa di seta rossa, lentamente, mentre gioco a far cantare tra loro i cubetti di ghiaccio mi chino leggermente in avanti per farglielo vedere meglio.

    Sorride.

    Mi piace sentirmi desiderata dagli uomini; una donna, se è bella nell'anima, è elegante e femminile anche con una semplice tuta addosso e con i capelli disordinati.

    "Sei molto bella".

    "Hai smesso di darmi del lei, bene, mi fa piacere".

    Gli faccio l'occhiolino mentre sento la mano di Alessio stringermi la spalla, come un segno maschile di appartenenza, di confine tra lui e quel ragazzo che non mi avrà mai.

    Poso il bicchiere sul bancone, mi alzo e lo saluto alzando la mano sinistra, un leggero cenno per ringraziarlo della sua gentilezza e del suo inconsapevole modo di farmi sentire una donna desiderata.

    Alessio rimane in silenzio fino a quando entriamo nella nostra stanza e si siede sul letto stringendosi le ginocchia con le mani.

    "Lo sai, tu sai bene che detesto il silenzio, parlami".

    "Sara, stavi flirtando con il barista, perché?", domanda serio senza guardarmi.

    "Sei geloso? Non lo sei mai stato e ora ti metti a fare il geloso? Cosa te ne frega di quel ragazzo, sono sposata, ieri sera facevo l'amore con mio marito e ti importa di quello?", dico acida mentre mi tolgo le scarpe e scendo nella mia attuale e bassa altezza.

    "Un detto dice: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Mi ha dato fastidio vederti in quel modo, sembravate in calore".

    Silenzio.

    Mi siedo accanto a lui.

    "Comunque, come dargli torto, sei bellissima, qualsiasi uomo ti vorrebbe scopare".

    Sorrido mentre libero i capelli dalla sciarpa rossa e la lascio cadere ai miei piedi, sul pavimento bianco, lucido.

    Appoggio le mie cosce sulle sue gambe, lui toglie le mani dalle sue ginocchia e le posa delicatamente su di me, le accarezza, me le scopre completamente dal vestito che le protegge, si vede il pizzo delle calze autoreggenti e lo strato della mia pelle nuda.

    "Ale, io voglio te, non un qualsiasi uomo. Ho sempre voluto te e sto morendo dalla voglia di averti, sogno questo momento da tre anni".

    Si volta verso di me, per la prima volta da quando siamo entrati in questo nido di lussuria mi guarda negli occhi, sono tristi ma allo stesso tempo dolci e spensierati.

    Gli accarezzo il viso, la sua pelle ruvida e ispida mi fa sussultare, adoro quando non si fa la barba, quei piccoli peli che spuntano come spilli, pagliacci del mio solletico.

    "Cosa c'è tesoro?", domando dolcemente.

    "Penso a domani, tu andrai via da me, ritornerai da lui, questo è un addio giusto?".

    Annuisco.

    "Vorrei che questo giorno non finisse mai, anzi, che ricominciasse domani e il giorno dopo ancora, per sempre".

    Vedo il suo pomo d'adamo deglutire velocemente ma con fatica, infilo la mia mano destra dentro al colletto della sua camicia bianca, sento quel potente calore della sua pelle innamorata di me.

    "Tu mi hai insegnato a non pensare al domani, di godermi il presente, e tu questi preziosi minuti li stai perdendo con le parole, abbiamo già parlato troppo".

    Mi avvicino a lui, spingo il sedere contro la sua coscia, le mie gambe sono lunghe sopra le sue, l'abbraccio e con entrambe le mani gli spingo il viso verso il mio per baciarlo. Lo bacio così intensamente da sentirmi avvolgere da quel dolce ma pungente desiderio di essere presa, sbattuta da lui.

    "Ti voglio", sussurro dentro al suo orecchio.

    Le sue braccia mi spingono in mezzo al grande letto con le lenzuola di raso blu.

    Si alza, comincia a spogliarsi, la camicia e il maglione sono ai suoi piedi, a petto nudo si dirige veloce alla porta, ci mette una sedia davanti perché il vento che passa sotto la fessura la fa leggermente ballare. Sorride mentre si avvicina a me, si toglie i jeans, i boxer, ora è nudo davanti al mio corpo affamato di noi, a gattoni, col suo pene duro si mette sopra di me.

    Con entrambe le mani mi sparge sul letto, sopra la nuca i miei lunghi capelli castani.

    "Sei così bella che mi manca il respiro".

    L'abbraccio forte, il suo corpo sopra il mio, quel peso sopra al mio cuore non mi fa male, mi fa sentire sua.

    Rimaniamo così per un bel po', per liberarci dalla sporcizia delle nostre incomprensioni, di questi anni mancati, finché io scappo dalle sue braccia, mi alzo da quell'isola blu e comincio a spogliarmi.

    Lentamente mi tolgo il vestito grigio di lana, rimango in reggiseno bianco di pizzo e perizoma, non lo metto mai ma per quest'occasione, per farlo impazzire, ho deciso di indossarlo. Mi volto, la schiena contro i suoi occhi, il mio viso rivolto verso lo specchio davanti a me, mi chino in avanti, le punte dei miei capelli mi coprono i piedi neri, colorati di pece grazie alle calze scure. Sento leggermente il filo del perizoma stringermi la linea del sedere mentre esso diventa piano piano rotondo, a cuoricino.

    Mi volto verso di lui, Alessio corre da me, posa le sue mani sul mio culo, sono piene dei miei glutei, li stringe forte come a volerli spremere, appiccica il suo petto nudo alla mia schiena e comincia a baciarmi il collo e a percorrere, con la punta della sua lingua, tutta la mia colonna vertebrale. Mi fa venire i brividi.

    La sua mano si intrufola dentro al perizoma, il suo dito entra nel mio calore, gioca col clitoride, è un tocco leggero, quasi impercettibile ma deciso, sa che in quella zona non deve mai marcare ma deve solo solleticarmi, essendo molto sensibile, ogni carezza troppo decisa mi provoca una scossa elettrica al basso ventre, spasmi di piacere indescrivibili.

    Improvvisamente Alessio mi spoglia completamente, con la mano destra mi tira delicati schiaffi sul sedere, il rumore che provoca riempie tutta la stanza mentre in me fa crescere l'eccitazione.

    Il suo dito nuota dentro alla mia fica bollente, vogliosa di lui, del suo cazzo duro premuto contro il mio gluteo sinistro. Lentamente si stacca da me, mi porta il suo polpastrello alla bocca, vuole che lecco il mio sapore, il mio umore fresco di donna.

    Mi alzo, mi volto verso di lui, sorridendo maliziosamente lo succhio forte, quasi a soffiargli dentro alla mia gola le sue impronte digitali.

    I suoi occhi si fanno seri, ricchi di quelle piccole sfumature chiare create dalla mamma dei suoi piaceri, la mia lingua.

    Le sue mani accarezzano la mia testa, lega i miei capelli tra le sue dita e li stringe forte, con un tocco pesante mi fa abbassare davanti a lui, il mio vestito per terra mi protegge le ginocchia dal pavimento ghiacciato.

    "Metti le mani dietro la schiena", ordina dolcemente.

    Alessio prende la mia sciarpa rossa morta vicino al letto, si china dietro di me e mi lega stretto i polsi.

    "Succhiamelo Sara, lecca come solo tu sai fare".

    E' davanti a me, veloce come un gatto strofina la sua cappella gonfia sulle mie labbra carnose, leggermente umide di saliva, lo voglio così tanto da avere l'acquolina.

    Con la punta della mia lingua, disegno il suo contorno per poi soffermarmi su quel piccolo puntino della vetta più alta, scavo per ricavare quel succo che tanto voglio ma che non è ancora pronto. Sono ingorda, vogliosa della sua sborra calda.

    Decido, mentre lo fisso negli occhi, di prenderlo tutto in bocca, sento che me la riempie, la cappella è premuta contro la mia gola, va giù, vuole essere mangiata, vuole saziarmi ma improvvisamente si sottrae, inizia ad andare avanti e indietro, balla insieme alle mie papille gustative. Lo succhio, è il mio lecca lecca preferito.

    Alessio indietreggia, delicatamente, con la mano sinistra mi alza il viso verso di lui, sorridente l'ammiro in tutto il suo splendore di uomo.

    "Apri la bocca".

    Eseguo il suo ordine, lui si passa la lingua sul labbro superiore, prende tutta la sua saliva e la sputa deciso sulle mie labbra secche. Io l'assaporo come se fosse il suo nettare bianco, la rendo mia, la mischio insieme al suo umore.

    "Rimani con la bocca aperta, spalancala più che puoi".

    L'allargo così tanto da sentire gli angoli delle labbra tirarsi, quasi a spaccarsi dalla mia decisione di assecondarlo, di volerlo far impazzire.

    Mi riprende i capelli nelle mani, li stringe così forte da farmi gemere di dolore, una sofferenza amara ma divina, li manovra per spostarmi la faccia dove vuole lui, come i fili delle marionette, come un esperto burattinaio. Ho capito cosa vuole, l'ho intuito appena ho visto i suoi occhi trasparenti; vuole fottermi la bocca come farebbe con la mia fica affamata.

    Si piega lentamente in avanti e me lo mette tutto dentro, fa muovere avanti e indietro il mio viso, gesti lenti ma decisi, sento la sua cappella gonfia premere con forza contro la parete della mia gola infuocata, la saliva abbondante mi esce dagli angoli della bocca mentre lui continua, sempre più forte, talmente potente che il mio corpo si muove insieme alla mia nuca in un terremoto di piacere.

    Le sue palle sbattono insieme al suo cazzo grosso dentro al mio vulcano infuocato, il mento mi brucia, non so se è dovuto allo sfregamento con la sua pelle o al caldo che sento avvampare fuori e dentro di me.

    I suoi gesti diventano incontrollabili, convulsi, brutali, mi sento tutta sconquassata, la bocca mi fa male, lo guardo, ha gli occhi chiusi, ora è un maratoneta che vuole arrivare primo al suo traguardo di estasi. Mi sento la sua bambola, il suo oggetto di piacere, fiera di esserlo.

    Sospira, geme e infine urla mentre tutto si placa, rallenta. Senza tirare fuori il suo cazzo viene dentro la mia bocca, l'ha lasciato in me, non vuole far perdere in questo mare di desiderio le sue gocce preziose di orgasmo. Non ho sentito nemmeno il suo sapore talmente è stato tutto fulmineo, di getto, come quelle fontane che trovi ai giardini. Ora il suo liquido candido scorre nelle mie vene insieme al mio sangue bollente.

    "Ti amo così tanto...", sussurra mentre mi libera i polsi dalla sciarpa.

    Cammina a fatica, mi prende in braccio, mi bacia il collo e mentre mi posa sul letto come un fiore prezioso, fragile, apre la coperta e ci rifugiamo dentro a quel prato blu.

    "Solo con te riesco a godere in quel modo, non so come sia possibile".

    Sorrido mentre mi stringo al suo petto, inizio a creare con la mia mano sinistra dei piccoli cerchi sulla sua pancia, gioco con i peli.

    "L'amore è questo, non esistono perché, è magia".

    La sua pancia si alza, si gonfia come una donna incinta di sei mesi, prende tutta l'aria che trova per poi espellerla con un sonoro sospiro e tutto, lentamente, ritorna normale, la sua pelle prima tirata ora ridiventa morbida, rilassata.

    "Ci credi se ti dico che ti voglio ancora?", domanda ridendo.

    "Sì, ci credo perché ti voglio anch'io".

    "Tesoro, distenditi comoda e allarga le tue gambe, fammi posto".

    Velocemente si intrufola sotto il lenzuolo azzurro, sento le sue mani stringermi i fianchi mentre la sua testa si fa strada tra le mie cosce ardenti.

    Il suo respiro caldo mi accarezza la pelle che bolle come l'acqua di un idromassaggio, soffia tra le mie labbra, fa volare quei pochi peli che ho mentre la punta della sua lingua apre la mia fica, la scopre dalla sua protezione.

    Le sue dita l'allargano così tanto da sentirmi svenire di voglia, sono fradicia, ero bagnata prima mentre gli leccavo il cazzo e ora quel gel dolce di donna si è concentrato come quei succhi di frutta fatti di sola purea.

    "Sei così buona... Ti leccherei per giorni e giorni, amore".

    Sospiro, so che le sue parole non le dice solo per provocarmi ma le pensa davvero, quante volte da fidanzati ci dedicavamo interi fine settimana per noi, lui era sempre tra le mie cosce mentre io, dolcemente, lo svegliavo spesso nel cuore della notte per amarlo, scoparlo.

    Spalanco le gambe, metto le mie caviglie sulla sua possente schiena, i talloni gli premono le scapole, gli danno il ritmo mentre il mio bacino si muove impazzito, corre verso la sua lingua, quella fonte di piacere puro, irrazionale.

    La sua mano sinistra la posa sul mio ventre, va su e giù, balla con il ritmo della mia estasi, mi tiene ferma mentre io vorrei saltare, cavalcare le sue labbra a mio gusto.

    La sua lingua mi stuzzica il clitoride, movimenti brevi, leggeri ma prepotenti, lo fa roteare e camminare avanti e indietro mentre mi succhia le piccole e grandi labbra.

    Il suo dito, timido ma coraggioso mi penetra, entra dentro di me e il polpastrello tocca il mio interno, gioca, sfiora e io mi sento morire, quella dolce morte che tutti vorrebbero avere, mi manca il respiro, il piacere è così forte da sentirmi senza salivazione, senza battiti, senza corpo, proprio quel corpo che ora freme, trema di Paradiso e d'Inferno.

    E' un gioco di lingua e dita, respiri e gemiti, urla e sospiri mentre Alessio, come un amante perfetto, mi fa godere come la migliore delle troie.

    "Basta".

    Improvvisamente si alza, si distende di fianco a me, respira a fatica, io invece cerco di calmarmi, mi sento stanca, ogni mio muscolo grida il suo nome mentre i miei polmoni chiedono pietà. Tremo, sembro in preda a forti convulsioni, non voglio fermarmi, non voglio placare la mia fame perché, in fondo, l'unica cosa che voglio è il suo cazzo dentro di me.

    Traballante di piacere mi arrampico su di lui, le punte del miei capelli cadono sul suo collo, le sue mani sono veloci sui miei fianchi, non mi faccio penetrare subito, rimango sospesa, faccio scorrere la sua cappella sulle mie grandi labbra, la strofino senza aver bisogno dell'aiuto delle mie mani, ci gioco, vedo il suo corpo fremere dalla voglia di scoparmi, di avermi.

    "Mi farai morire", sussurra.

    Quando meno se l'aspetta, mi siedo sopra di lui, un colpo netto, deciso, tutto dentro.

    Geme forte, mi fa impazzire quando non controlla il suo piacere. Io, da donna, so cosa vuol dire far morire un uomo, so come fare, so cosa si prova nel vedere la persona che ami così indifesa, fragile, vulnerabile solo per ricavare alla fine quei pochi secondi di gioia immensa. Diventiamo tutti degli animali quando amiamo, gli istinti sono più forti del cuore, azzerano la coscienza, cancellano i pensieri ma nutrono i sensi, ecco, questo sono con Alessio, una bellissima gatta bianca, un piccolo animale che gioca con la sua preda preferita, il suo cibo prelibato, sognato.

    Lo cavalco lentamente, mi gusto quella bella sensazione di quando esce ed entra dentro alla mia fica bagnata, il mio ventre si piega e si distende in base al mio movimento, al mio desiderio. La schiena si inarca, i capelli ritornano a coprirmela, il respiro si fa lento ma profondo mentre sento le sue mani sul mio seno, si protende per leccarmelo, la sua lingua audace mi lecca i capezzoli e io, in contemporanea, aumento il movimento.

    Lo scopo come piace a me, velocemente, sono stanca e stufa dei movimento rallentati, delicati, ora voglio sentirmelo sbattere dentro come una frusta, la mia fica si allarga, gli fa spazio mentre anche le sue palle ingorde vogliono penetrarmi.

    Il mio culo contro le sue cosce provoca quel sensuale rumore di schiaffo mentre il suo cazzo duro mi stantuffa, si fa sempre più spazio creando quel delizioso rumore di mare, di bagnato.

    "Sara... oddio Sara, così mi farai venire subito... Rallenta...".

    "Zitto Ale, scopami, sbattimi come piace a me".

    Per pochi minuti prende lui il comando ma respira a fatica, si ferma e ricomincio col mio movimento impazzito, il suo corpo è troppo logorato dal piacere per muoversi.

    Le sue mani mi stringono forte le natiche ma io non mi fermo, voglio farlo urlare.

    Pretendo che questo giorno se lo ricordi per tutta la vita, gli rimanga impresso ogni volta che scopa con una donna, voglio che quando la sbatte pensa al mio viso, al mio corpo, ai miei movimenti e non a lei ma a noi, voglio essere il suo incubo, la sua ossessione, la sua bambola.

    Sono impazzita, sento delle piccole perle di sudore nascere sulla mia fronte, con le mani mentre lo cavalco mi lego i capelli in una coda immaginaria e dopo pochi secondi li rifaccio cadere sulla schiena mentre Alessio mi guarda, mi osserva con i suoi occhi innamorati, vogliosi di me, sognanti di noi.

    Si avvicina al mio seno ma io mi chino su di lui prima che la sua lingua arrivi a leccarmelo, lo bacio e lo faccio distendere, non voglio confondermi, non voglio niente ora da lui, la mia fica fradicia, indecente vuole solo placare la sua fame, inghiotte il suo cazzo gonfio e a ogni colpo mi regala attimi di estasi.

    Il movimento si fa più veloce, le sue mani mi pizzicano i fianchi e il culo e, con un sonoro respiro, viene mentre io, sempre più insistente e frenetica, arrivo al mio orgasmo, gemo, urlo forte.

    Lentamente, mentre assaporo la mia fetta di Paradiso mi lascio cadere sul mio lato del letto, mi distendo, mi porto la coperta al seno, copro quel corpo massacrato di piacere e chiudo gli occhi, cerco il mio respiro, il mio ritmo naturale e lo trovo, a fatica ma lo trovo.

    "Ti amo, Sara".

    La sua voce è una carezza sottile, mi coccola il cuore ma, sinceramente, sono le ultime parole che vorrei sentirmi dire, il mio amore per lui è congelato dal mio patto fatto con Dio, il mio matrimonio. Lo amo ma non lo dico, non voglio illuderlo che rimarrò con lui, non voglio fargli del male, Alessio è l'unico uomo che io abbia davvero amato con tutta me stessa. Con lui sono me stessa, semplicemente donna, amante, bambina e fidanzata, un eterno giardino dell'Eden, per sempre nei nostri sogni più segreti, più intimi.

    Si siede, sospira, sbuffa, stringe i pugni e li sbatte sulla coperta color oceano.

    "Cosa c'è?", domando rilassata.

    "Se solo io avessi combattuto per noi, per te, a quest'ora saresti mia moglie e avremmo fatto l'amore così tutte le volte che lo avremmo voluto".

    Non ho la forza di alzarmi, devo ricaricarmi un po', resto con gli occhi chiusi, immobile, ferma, il mio corpo necessita di quei pochi minuti di tranquillità.

    "Ale, non farti colpe, doveva andare così, abbiamo sbagliato entrambi".

    "Esiste il divorzio, l'hai mai preso in considerazione?", domanda secco.

    Apro gli occhi, ovvio che ci avevo pensato, ho pensato subito a quello appena l'ho visto quel famoso pomeriggio, come se fosse fuoco fertile per bruciare il foglio che testimonia il mio matrimonio con Pietro.

    "Lo so che esiste e ci ho pensato, ma ho paura, Ale".

    "Di cosa?".

    "Ho paura dei tuoi silenzi, delle tue pause, io ho bisogno di sicurezza, stabilità".

    Si volta verso di me, è serio ma i suoi occhi sorridono.

    "Io ti darò tutto quello che vuoi, lo sai che riesco, ora ho un lavoro che mi permette di respirare, mettimi alla prova. Sara io ti amo, sei la mia donna, lascialo, ritorna da me, ritorna da noi".

    Mi siedo, lo bacio, assaporo ogni sua particella di saliva, respiro i suoi sogni per prendere la loro linfa vitale e creare ai miei desideri un cuore.

    "Ci penserò ma ora devo andare".

    "No".

    "Ale, devo scappare, devo ritornare alla mia vita".

    "Puoi scegliere Sara, non hai le catene, non sei obbligata, non è un lavoro amare".

    "Infatti non ho scelto chi amare, ritorno a casa mia, solo lì, nel mio rifugio potrò pensare in maniera neutra".

    Raccolgo i miei vestiti e mi vesto velocemente, mi lego i capelli con un elastico che trovo nascosto dentro alla mia borsa etnica e gli sorrido, è nudo sul letto, immobile, con lo sguardo basso da cane bastonato, non riesce a guardarmi.

    Mi avvicino, lo bacio, un bacio senza lingua, arido ma ricco di dolcezza.

    "Arrivederci Ale".

    "Mi sento una puttana, hai scopato e ora scappi, lasciami dei soldi".

    La sua voce è acida, fredda, distaccata. Io lentamente prendo cinquanta euro dal mio portafoglio gigante e col poco rossetto rosso che mi è rimasto sulle labbra bacio la banconota, gliela lancio ed esco. Il buio delle strade mi inghiotte, la notte della mia anima mi annienta mentre Venezia mi regala una lacrima salata.



    L'imprevedibilità della vita è una qualità che tanto ci fa paura ma che rende uniche le nostre eterne giornate. La mia scelta? Alessio. Ieri ho mandato la richiesta di divorzio all'ambulatorio di Pietro, io e lui non ci parliamo da quella sera in cui è scappato da me. La casa, tramite i nostri avvocati, abbiamo deciso di venderla, ora vivo a Venezia dal mio fidanzato, dal mio uomo, dal mio cibo prelibato.

    Fine

    Elisa.G


     
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    Parigi...

    Il sole batte insistente tra i miei capelli, la mia nuca è bollente, le guance scottano così tanto da riscaldarmi le mani fredde, ghiacciate, ricche di emozione quando ogni volta lo vedo e incrocio il suo sguardo attraverso il vetro che ci separa.

    Mi alzo, le rotelline della sedia bianca raschiano il pavimento come un treno che frena sui binari morti, abbasso lievemente le veneziane, oscuro lo studio, la penombra mi è sempre piaciuta, mi sento protetta, sicura. Aggiustandomi la gonna grigia noto che, sulla coscia destra, la calza autoreggente nera si sta bucando, sospiro nel pensare a quanto vorrei essere nuda tra le sue braccia, spogliata da questi inutili indumenti, viva come solo so essere con lui, donna, amante, femmina. Sono stanca di lavorare, mancano ancora tre ore prima di scappare nel mio rifugio, nella mia piccola ma accogliente casa, una profonda tristezza mi accarezza gli occhi bagnandomeli di quella rugiada salata chiamata lacrima, non mi piace aprire la porta e sentire quel silenzio che avvolge quelle mura, nessuna parola, nessuna carezza, nessuno sguardo d'amore, di passione.

    Il mio ufficio lo divido con un'altra persona, la segretaria del signor Rossi, un signore anziano, rotondo, con una strana faccia da cotechino, guance rosse, quasi viola, labbra sottili e due occhi che sembrano due bottoni neri, senza nessuna luce, senza nessuna emozione ma con la sola espressione sporca di farsi tutte le donne che incontra. Anch'io sono caduta nella sua trappola, anch'io sono finita a letto con lui, anch'io mi sono fatta coinvolgere dalle sue parole ma per me, al contrario delle altre, l'essere andata a letto con lui significava fare un dispetto al mio più grande amante. Nessun coinvolgimento emotivo, nessuna parola, nessuno sguardo dolce, solo un'avventura selvaggia, violenta, animale; ricordo ancora le sue mani sudate sui miei fianchi mentre spingeva il mio sedere sul suo pene piccolo ma duro, ricordo il mio disgusto nel sentirlo dentro di me, ansimare con la sua pancia che mi sfiorava i glutei e il suono ripugnante delle sue palle contro la mia pelle liscia e arrossata. Ogni volta che mi vedeva in ufficio mi faceva quel terribile occhiolino, la punta della sua lingua asciugava - agli angoli della sua piccola bocca a ciabatta - una finta bava e quando si accorgeva della mia indifferenza alzava le spalle, apriva la porta del suo ufficio e tutto era finito, la sua speranza di riprovare quel momento era morto per sempre e non sarei stata di certo io a farlo resuscitare.

    Nella nostra vita incontriamo molte persone, molte di esse ci fanno del male e noi, alla fine, non fidandoci più di nessuno, tendiamo a scambiare le poche buone in cattive perché le nostre paure, nate da esperienze negative, ci annebbiamo la mente con la fuliggine delle nostre insicurezze. Purtroppo ne ho conosciute molte di persone arroganti e crudeli, una di queste è il signor Rossi, innocuo signore benestante ma con un cuore avido e assetato di un potere immortale che solo Dio possiede. Non mi lusingava ricevere le sue avance, non provavo nulla per lui, niente emozioni, niente amore, niente stima.

    Io volevo e amavo il signor Lorenzo Gigli. Il mio capo. Miliardi di pensieri e di fantasie giocavano con la mia mente quando vedevo il suo fisico snello ma muscoloso, maturo ma sportivo, i suoi due tatuaggi visibili, una scritta che partiva dal gomito e si estendeva fino al polso, ho sempre provato curiosità nel sapere cosa ci fosse scritto ma non sono mai riuscita a leggerla, impazzivo quando intravedevo tra i suoi capelli ricci, ribelli, il cuore tatuato dietro l'orecchio, tante volte ho sognato di baciarlo e sfiorarlo, adoravo i suoi occhi color cioccolato, la sua pelle abbronzata dall'ultima vacanza ai Caraibi con sua moglie e la sua bambina di tre anni. Lo amavo. Lo volevo.

    "Valentina devi disdire i miei impegni di domani e dopodomani. E devi disdire anche i tuoi".

    La sua voce mi sveglia dai miei desideri, lo guardo con uno sguardo assente, ma appena focalizzo la sua richiesta alzo il sopracciglio, lui sorride.

    "Sì, lo so, avrai tantissimi impegni ma dobbiamo partire per due giorni. Andiamo a Parigi, devo incontrarmi con un altro direttore, la conosci la rivista Vogue, vero?".

    Annuisco. Sento i miei muscoli atrofizzati, sono così contenta che non riesco a muovere nemmeno un dito della mano ma, dentro di me, il mio cuore e il mio corpo ballavano un tango assassino.

    "Ti prego di non portarti dietro mille valigie, lo so come siete voi donne, per voi niente è abbastanza, ma sono solo due giorni, quindi un piccolo bagaglio. Ti aspetto con i biglietti all'aeroporto, mi raccomando, abbiamo il volo alle dieci, arriva per le sette".

    Annuisco e, mentre sparisce nel suo studio, sorrido e gioco con una ciocca di capelli, sono così contenta, elettrizzata che potrei fare la maratona di New York in soli trenta secondi e per di più con i miei tacchi da dodici centimetri.

    "Vale non ci credo, ma ti rendi conto?".

    La voce di Sara mi risveglia dai miei sogni, oggi mi sento sulle nuvole, non so perché ma forse è la volta buona che il mio desiderio si trasformi in realtà.

    "Sì, sono così felice...".
    "Farei cambio volentieri con te, sono stufa del signor Rossi, parla sempre di te e mi tocca sempre il culo".

    Alzo le spalle, mi dispiace, so cosa vuole dire, è difficile lavorare per quel verme di uomo.

    "Spero che il suo atteggiamento con te migliori", dico sincera anche se, in cuor mio, so benissimo che se nasci tondo non puoi morire quadrato.

    "Già... Tu, invece, promettimi che quando torni mi racconti tutto, e quando dico tutto intendo davvero tutto".

    Mi fa l'occhiolino, io rido e chiudo gli occhi, sospiro e penso ai miei due giorni da sogno.

    La città eterna degli innamorati è oscurata da tanti nuvoloni grigi e neri che condensano il cielo in un'ampolla di vetro trasparente. A Parigi piove ma è così bella, romantica, affascinante che quelle piccole goccioline che si infrangono sul parabrezza dell'auto trasformano il tutto in pura poesia. Ogni volta che il mio sguardo incrocia un parigino o la Torre Eiffel o un negozio di moda, una parte di me ritorna bambina.

    Io e Lorenzo siamo seduti vicini in un taxi con un autista arabo, l'interno dell'auto sembra una moschea, immaginette sacre, le foto piccole delle torri gemelle disintegrate e uno strano rosario, in cui al posto di Gesù Cristo c'è un mitra in legno. L'odore di bagnato, di tabacco e di incenso donano un sapore acido e amaro ai miei timori e segreti più remoti. Ho paura, terrore di queste persone, di queste menti pazze e assetate di false giustizie e ipocrite religioni, sono esausta dell'ignoranza della gente così assatanata dal suo credo, dalla sua fede troppo profonda verso un Dio che, forse, non esiste.

    Lorenzo percepisce il mio stato d'animo perché sono già due volte che mi sorride e mi stringe la mano destra, ho i guanti di lana nera mentre la sua pelle calda annienta quella barriera, il suo calore mi entra dentro come un lampo spezza il cielo. Il suo contatto risveglia la voglia tremenda e intensa che ho di lui, della sua bocca, delle sue mani, del suo corpo, tutto su di me.

    L'albergo è il più prestigioso e il più costoso di Parigi. Appena entriamo io vengo rapita dalle sue luci e dall'eleganza che avvolge l'edificio.

    Lorenzo sta parlando in francese con il direttore di quel paradiso e quando parla con questo accento mi eccita profondamente.

    "Stanza 53 la mia e 56 la tua".

    Abbiamo entrambi la tessera magnetica per aprire le nostre porte, io tengo il trolley con la mano sinistra mentre la destra solleva la mia borsa di Gucci, lungo tutto il corridoio si sono create delle piccole gocce disegnate dal mio ombrello bagnato.

    "Trovata!".

    Si ferma, posa il suo borsone da calcio sgualcito e, serio, si appresta ad aiutarmi a trovare la mia stanza.

    "Eccola, è solo due porte più avanti alla mia, se hai bisogno bussa... per qualsiasi cosa Valentina".

    Annuisco e, mentre striscio nella fessura la tessera, spingo il trolley dentro la stanza, lentamente, buttando la mia borsetta sulla poltroncina bianca davanti a un bellissimo letto matrimoniale con un piumone rosso fuoco, mi ci tuffo dentro e chiudo gli occhi.

    E' sera quando mi sveglio, sento bussare, la camera è buia ma la luce dei lampioni fuori dalla finestra dona una leggera penombra che mi permette di vedere dove metto i piedi e di aprire la porta. Appena la luce violenta del corridoio sfiora i miei occhi addormentati mi ritraggo come un vampiro scappa davanti a un raggio di sole.

    "Buonasera signorina".

    Lorenzo con un sorriso mi dona una rosa bianca, io la prendo con le mie mani fredde e l'annuso così intensamente da sentire i miei polmoni tossire di dolore.

    "Ti devi assolutamente vestire, andiamo a cena e incontriamo questo direttore dei miei stivali".

    Ammicca e, salutandomi con la mano, chiude la porta, mi fa segno di aspettare sotto nella Hall.

    Non so cosa mettermi, in questi casi noi donne diventiamo così insicure da rinunciare ai nostri migliori appuntamenti. Velocemente mi spoglio, vado in bagno, apro l'acqua calda della doccia, con la punta delle dita dei piedi sento il calore di quel liquido trasparente che con le sue piccole gocce mi coccola il corpo, i capelli, le labbra. Apro la bocca, l'acqua mi entra in gola, tossisco e mentre mi guardo i seni sodi e bianchi vedo i capezzoli così duri da sembrare due piccole caramelle alla fragola. La schiuma bianca crea alla base della doccia uno strano manto bianco, sembra neve e cotone insieme.

    Uscendo dalla doccia un freddo pungente mi avvolge il corpo in una morsa ghiacciata, prendo velocemente l'asciugamano rosso e, asciugandomi, immagino che il mio tocco leggero siano le mani audaci e sicure di Lorenzo. La mia mano sfiora i seni, gioca con i capezzoli, la pelle morbida, liscia, profumata; scendo, il mio ventre piatto e fertile, scendo nuovamente fino a sentire l'umore del mio frutto proibito che molti uomini vorrebbero ma che io voglio dare solo all'uomo che riesce ad accendere il corpo come il sole che luccica nel cielo d'agosto. Mi siedo sull'angolo del letto, nuda, l'asciugamano per terra, mi distendo, ansimo, è un gioco, un gioco pericoloso ma bellissimo, una partita a scacchi tra me e il piacere.

    Immagino le sue mani su di me, la sua bocca che mangia tutto quello che vuole, voglio essere la sua mela, il suo frutto del peccato, la sua donna e il suo giocattolo d'amore. La mia mano calda si fa spazio nel mio calore più profondo, gioca col clitoride gonfio pronto a essere baciato, accarezzato, leccato. Ho voglia di lui, questo desiderio mi sta affaticando, mi sta facendo impazzire di dolore, una sofferenza fisica difficile da spiegare e impossibile da comprendere.

    Guardo l'ora, non ho tempo per regalarmi minuti di estasi, devo vestirmi e alla fine, mentre decido di mettermi un vestito blu di seta, prendo l'intimo nero di pizzo e cotone, perizoma e reggiseno, autoreggenti e scarpe decolleté col tacco di undici centimetri, adoro i tacchi, rendono più femminile una donna e la trasformano, se li sa portare, in una regina di eleganza.

    Sorrido mentre mi vesto, penso a quanto siano ingenui alle volte i maschi, pensano che noi siamo ingenue bambine, stupide, ignoranti, ma quando capiscono che siamo noi a decidere tutto - con chi fare l'amore, chi conoscere, cosa dire, come agire - si sentono così scemi da scappare via al secondo appuntamento. Non siamo attrici e loro non sono marionette, noi siamo solo corpi con una testa e un cuore e come tali facciamo in modo di prenderci chi vogliamo e, se possibile, per sempre. L'uomo è uomo, i maschi ragionano con la testa che hanno in mezzo alle gambe e col cuore piccolo che batte nei loro villosi o depilati petti; se la donna è brava, li ama e loro amano lei, il cuore cresce e qualche volta riesce a ingannare e annientare la tentazione che gli dona la loro testa, il loro desiderio chiuso nella patta dei jeans.

    L'ascensore è accompagnato da un ragazzo in divina rossa, alto, magro, biondo e con uno sguardo malizioso e profondo. Gentilmente mi fa segno di accomodarmi e io, con passo svelto, mi siedo sul divanetto di velluto magenta dietro di lui.

    "Bonsoir mademoiselle".

    "Buonasera".

    Sorrido.

    Ride.

    "Piano?".

    "Piano terra, grazie".

    "Prego".

    Il suo sguardo dolce ma malizioso mi fa sorridere il cuore. E' un ragazzo giovane, forse ha la mia età, ventitré anni ma ne dimostra qualcuno in meno. Ha una luce negli occhi verdi che gli accende tutto il viso.

    "Parli la mia lingua, è bello quando un francese parla l'italiano, quell'accento è delizioso".

    Mi guarda serio. I suoi occhi si spengono creando una piccola smorfia agli angoli della bocca.

    "Sbaglia signorina, io sono un parigino, non un francese, e vorrei tanto che la sua compagnia stasera fosse tutta per me".

    Ora rido io, faccio una smorfia e, mentre l'ascensore si ferma e si aprono le due porte di ferro argentato, gli do' un bacio sulla guancia nell'esatto istante in cui Lorenzo mi guarda e si incammina verso di me.

    "Non ti posso lasciar sola, fai già strage di cuori".

    Mi fa l'occhiolino e, cingendomi il braccio alla vita, sorride al ragazzo dell'ascensore proprio come fanno i cani per marcare il loro territorio. Io sono sua e dentro di lui lo sa.

    "Sei bellissima".

    "Oh, anche lei".

    "Ti prego, siamo a Parigi, non darmi del lei, mi fa sentire vecchio... Per questa sera prendi la parte di mia moglie".

    Mi fermo, mi paralizzo e Lorenzo vedendo il mio atteggiamento mi sposta i capelli dagli occhi e mi da' un bacio sulla guancia.

    "Non te l'ho spiegato prima ma ho detto a questa persona che venivo con mia moglie, lei non è potuta venire quindi devi prendere le sue veci, devi comportarti come lei, agire come lei, fai tutto quello che ti senti di fare come se fossi mia moglie".

    Sorride. Lui mi sta chiedendo di comportarmi come se fossi la sua compagna di vita, mi sta dicendo di fare quello che ho sempre sognato di fare da quando lo conosco, non ci credo, all'improvviso mi sento sospesa da terra, spaventata ma elettrizzata.

    "Lo farò Lorenzo".

    Se devo essere sua moglie, ora lo bacerei. Lentamente mentre lui guarda il cameriere indicarci il nostro tavolo, mi avvicino al suo corpo, i tacchi mi consentono di arrivare alla sua bocca senza troppi problemi, gli assedio il collo con le mie lunghe e affusolate braccia e, mentre il mio seno sfiora il suo petto coperto da una bellissima camicia bianca, con la punta del naso faccio dei cerchi immaginari sulla sua guancia rasata ma ispida. Il suo viso ora osserva me, sicura mi avvicino ancora di più, gli bacio il labbro superiore, gli succhio il labbro inferiore e solo ora, lo bacio. La mia lingua entra nella sua calda bocca così velocemente da inebriarmi col suo sapore dolce di tabacco e whisky, lo sento tentennare, si irrigidisce e solo quando la mia mano gli sfiora i capelli sento la punta della sua lingua ballare insicura con la mia in un meraviglioso tango assassino. E' un bacio veloce, profondo ma ancora molto acerbo.

    "Signor Gigli, Signora Gigli".

    Lorenzo si stacca dalla mia presa, mi guarda, lo guardo e per la prima volta i nostri sguardi urlano la stessa cosa. Voglia, desiderio, passione, ardore.

    "Salve signor Jeris, le presento mia moglie Valentina".

    "Piacere di conoscerla".

    "Piacere mio, bella signora".

    La cena inizia bene, prosegue bene e, quando arriviamo al dolce e il signor Jeris si assenta per rispondere al telefono, lo guardo, ha lo sguardo basso, ha parlato per tutto il tempo di lavoro, non mi ha mai chiesto niente e se non fosse stato per Jeris io avrei fatto la bella statuina muta.

    "Mi dispiace Lorenzo".

    Accavallo le gambe, assaggio il dolce alla panna e ciliegia e continuo a osservarlo curiosa di una sua parola, di un suo gesto, di un segno di vita verso di me.

    "Non hai nulla da dispiacerti Valentina, anch'io ti ho baciato".

    "Ma se io non avessi cominciato...".

    "No ti prego, non incominciamo con i se... i se non esistono, una persona agisce, punto e basta. Mi spaventa questa attrazione che provo già da un po', sono diviso tra la mia famiglia, la mia fedeltà e la voglia, il desiderio per te".

    Senza farlo apposta una gocciolina di panna mi cade sul seno, lui per la prima volta in tutta la serata si volta verso di me, guarda la sala e, solo quando vede che nessuno ci guarda, si china per leccarmela e baciarmi. Mi bacia così violentemente da sentire la sua lingua nello stomaco, nell'angolo più remoto della mia anima. Improvvisamente si stacca facendomi rimanere ancora affamata di lui, con la bocca socchiusa, con la mia voglia prepotente.

    "Il problema è che tu sei una brava persona, non sembri quelle ragazze che scopano col capo per far successo, sembri una bambina con un corpo da donna e, sottolineo, un bellissimo, straordinario, incantevole corpo da donna".
    Sorrido.

    "Quando ti ho visto con quel ragazzo sono stato geloso di qualcosa che tra noi non è mai successo o, forse, mai nato da parte tua".

    Il signor Jeris si siede, si scusa per l'assenza e mi bacia la mano, è già la quarta volta che mi sfiora, cerca un contatto e io sempre a sorridere gentile mentre l'unico tocco che vorrei è quello di Lorenzo.

    "Ha una bellissima moglie, signor Gigli".

    "Lo so".

    "Sembra Demi More in Proposta indecente, solo i capelli lunghi castani la differenziano".

    Lorenzo si volta, si avvicina, mi sfiora il collo con le labbra, mi bacia, mi fa male, sento pizzicare la pelle e solo ora capisco che domani mattina, su quel piccolo strato di pelle chiara, nascerà un succhiotto viola. Un fiore scuro nel mio prato color avorio.

    "Posso sapere da quanto siete sposati?", domanda mentre sorseggia il suo champagne.

    "Tre anni", rispondo sorridendo e massaggiandomi il collo.

    Lorenzo mi guarda intensamente, leggo nel suo sguardo sorpresa e intrigo, non sapeva che io fossi al corrente di tutto, io so tutto di lui e della sua vita coniugale.

    "Liti? Incomprensioni? Tradimenti?".

    Il signor Jeris posa il suo calice di cristallo vuoto, la mano leggermente tremante fa sussultare il bicchiere dell'acqua. Sorrido nel vedere il suo viso contratto da mille rughe, gli appesantiscono gli occhi regalandogli dieci anni di più, i suoi sottili occhi azzurri sono spenti da anni di carriera impagabili per aver sottratto dalla sua vita attimi di pazzia. La nostra esistenza è ricca di istanti folli e d'amore e io stasera ho voglia di mangiare uno di questi frammenti d'aria viva.

    "No, niente di tutto ciò, forse qualche lite ma banale, subdola".

    "Amore, mi hai tradito con la tua segretaria ricordi?", domando seria.

    Gioco.

    Lorenzo si volta, mi guarda, mi scruta, vuole viaggiare nei miei occhi, entrarci e capire cosa mi passa per la testa, ma fino a ora nessun uomo c'è mai riuscito. Ho una frontiera troppo forte, protettiva per far passare un essere umano che può annientare tutte le mie deboli difese.

    "No, non è vero, quella sera ho resistito e sono ritornato da te superando quella tentazione".

    Il signor Jeris si alza e, baciandomi nuovamente la mano, mi spinge fra le sue braccia, ha una presa forte, decisa, ferma.

    "Signora Gigli, vorrei farle una proposta in privato".

    Lorenzo, che prima era seduto rigidamente sulla poltroncina bianca, ora si rilassa, il cameriere gli versa lo champagne, accavalla elegantemente le lunghe gambe e, con un cenno della mano, fa capire al direttore di potermi rapire. E' agitato, si vede, si percepisce, oppure è solo la mia insulsa paranoia, non lo capisco, lo conosco da due anni e sto rinunciando a comprenderlo.

    Il signor Jeris mi cinge la vita con il suo braccio forte e possente, mi stringe a sé e quella decisione mi fa venire un leggero brivido per la schiena, così potente da tremare per pochi secondi, una scossa, un'elettricità intensa e incontrollabile.

    Ci avviciniamo all'ascensore, preme il pulsante il quale da trasparente diventa di colore verde. Le porte si aprono, il ragazzo di prima appena mi vede sorride, leggo nei suoi occhi la stanchezza di vedere solo gente ricca e anziana, è normale che sia felice di rivedermi ma il suo dolce sorriso svanisce quando mi vede in compagnia del solito signore benestante e deciso a portami a letto.

    "Piano?", domanda rauco.

    "Suite".

    Tasto ottavo. Non è difficile da dire eppure non lo dice, e non dice nemmeno grazie, niente, tutto gli è dovuto e guai a contraddirlo, il suo sguardo ti annienta e pensare che, sotto le lenzuola, nessuno ha un titolo, un soldo, una dignità. Tutti vogliono una cosa sola e che sia la loro moglie o una prostituta a dargliela non importa, l'importante è saziare la loro folle voglia di sesso. Le porte si riaprono, noi usciamo, il ragazzo dolce rimane dentro, mi osserva per l'ultima volta, lo guardo, gli sorrido ma lui abbassa lo sguardo. Sono triste, la serata non si sta svolgendo come sognavo.

    Il signor Jeris mi fa accomodare dentro la sua bellissima suite, mobili bianchi, specchi, cestini di frutta fresca ovunque e un enorme divano ad angolo rosso in centro alla sala. E' tutto magnifico ma in questo lusso non mi riconosco, mi osservo ma è come se fossi trasparente, non mi vedo eppure ci sono o, forse, solo il mio corpo è qui e la mia anima è rimasta in Italia, nel mio piccolo ma caldo appartamento in centro Torino.

    "Valentina... appena l'ho vista si è acceso in me un desiderio assopito da anni".

    Con la coda dell'occhio mi sistemo il rossetto rosa leggermente sbavato all'angolo destro delle labbra. Il signor Jeris prima di sedermi mi offre un bicchiere ovale, bombato, con un liquido marroncino chiaro all'interno, titubante, decido di prenderlo e berne un sorso. Tossisco.

    "Lo so, è un po' forte ma è un brandy buonissimo".

    Sorride e solo ora vedo un lampo di umanità nei suoi occhi avidi di denaro e privi di emozioni.

    Si siede vicino a me, lentamente prende dalle mie mani il bicchiere freddo, posa anche il suo sul tavolino di vetro davanti a noi e con movimenti decisi mi denuda completamente la spalla dalla piccola bretellina nera del vestito.

    Mi bacia, le sue labbra secche ma dolci percorrono la clavicola, arrivano alla gola, al mento e infine alle labbra; insistente infila la sua lingua lunga dentro di me, possiede la mia, la fa ballare, muovere così freneticamente da staccarmi da lui e alzarmi da quel pezzo di inferno rosso.

    Mi manca l'aria.

    "Non posso, amo Lorenzo".

    Il signor Jeris si alza, prende il telefono, compone un numero e mi passa la cornetta.

    "Pronto?".

    "Lorenzo ti prego, vienimi a prendere, sono alla suite numero 73".

    "Valentina calmati, andrà tutto bene".

    "No, non andrà tutto bene, non voglio stare qui. Vieni a prendermi per favore".

    Silenzio. Sento il suo incantevole respiro agitarsi. Forse mi ama anche lui.

    "Ma... secondo te, perché non ho portato veramente mia moglie?".

    La sua voce è dura, sicura, prepotente.

    "Perché non poteva venire, l'hai detto tu prima di iniziare la cena, ricordi?".

    "No, ho mentito. Non ho portato mia moglie perché sapevo del debole del signor Jeris per le consorti degli altri uomini d'affari. Tu sei il mio contratto di lavoro per ottenere l'affare della mia vita, se non mi aiuti da domani sei licenziata e con nessuna referenza".

    "Ma...".

    Non faccio in tempo a continuare la frase che sento il classico rumore della telefonata chiusa dall'altro lato della cornetta. Mi sento gelare il sangue, sono stata ingannata, illusa e tra un po' anche usata. Sono un misero contratto di lavoro, un passatempo, un gioco di sesso tra due direttori di due famose riviste di moda.

    Sento le lacrime calde che mi rigano il viso, violente, vive, percorrono quel breve tratto dagli occhi alla bocca con una velocità così rapida da berle con la punta della lingua.

    "Valentina, sapevo che suo marito mi avrebbe donato una notte con lei, l'avevamo pattuito una settimana prima di questo incontro".

    "Io sapevo tutto", mento.

    Mi asciugo le lacrime. Mi specchio, prendo un fazzolettino di carta dal pacchetto di cartone affianco al cesto di frutta e, mentre asciugo il mascara colato sulla mia faccia d'attrice, rido.

    Vuole giocare e io gioco ma, di sicuro, non sarò io a perdere.

    Il signor Jeris è immobile davanti al divano, è appoggiato allo schienale di quell'inferno rosso, il suo bicchiere di brandy tra le mani, il suo sguardo compiaciuto, felice, beffardo.

    Mi avvicino a lui come una gatta che vuole le coccole dal suo nuovo padrone, lenta, fiera ma fragile e impaurita dal nuovo contatto. Sono a pochi centimetri dalla sua bocca, il suo alito macchiato di alcool mi confonde il gusto e l'anima. La punta della mia lingua amara gli lecca le labbra, assaporo il suo forte sapore e, mentre lo guardo seria ma serena, prendo un cuscino bianco, lo poso ai suoi piedi, mi inginocchio, gli slaccio i pantaloni del completo gessato blu scuro e immediatamente lo prendo in bocca.

    Non è duro, non è eretto. Questo bastardo vuole un lavoro totale, ben fatto e io gli darò tutto quello che vorrà, nessun pensiero, nessun senso di colpa, perché la mia coscienza è morta tre minuti fa insieme al mio sciocco cuore innamorato dell'ennesimo uomo sbagliato.

    Il suo sapore vince sulla mia amara saliva. Lo sento, si sta indurendo, è bastata una carezza alle palle, una leccata sulla cappella gonfia e rosea e un movimento veloce avanti e indietro per farlo diventare duro come un pezzetto di marmo. E' imbarazzante ammetterlo ma è come piace a me, lungo, largo, duro e depilato, ha un bell'aspetto e il sapore non è così male anzi, è buono perché dopo un po' si confonde con il mio umore di donna ferita ma ancora vogliosa di essere posseduta.

    La sua durezza mi riempie la bocca, le sue mani raccolgono i miei lunghi capelli castani in una malconcia coda di cavallo, li stringe a ogni fremito di piacere intenso, guida il movimento, alle volte lo decido io, alle volte è lui che me lo spinge giù, fino in gola, quasi voglia mandarlo al mio stomaco vuoto. Soffoco, detesto fare quel brutto rumore di quando mi manca il respiro ma devo abituarmi al suo pene gonfio dentro di me.

    "Allarga bene la bocca", ordina con voce bassa.

    La spalanco così che lui, con tutta la sua virilità, mi penetra la gola, la fotte come se fosse il mio sesso bagnato e morbido. Sento la cappella premere le mie profondità, quando la tira fuori la guardo, è bianca, il sangue lentamente ritorna per renderla rossa e livida, bella, un colore vivo scappato da una tavolozza di colori troppo spenti.

    Mi alzo, gli prendo le mani, lo bacio sulle labbra lentamente, ho ancora il suo sapore, voglio mischiarlo alla sua saliva amara, voglio renderla dolce e pungente del suo umore e del mio falso pudore. Si libera i polsi dalla mia stretta, contraccambia il bacio, ritorna a essere frettoloso, a muovere quella lingua come un frullatore impazzito, dimentica però che io non voglio essere frullata ma amata.

    "Non sapevo che fossi così spudorata, Valentina".

    Ho gli occhi chiusi, sento le sue parole avvolgermi, non mi toccano, non ho coscienza, non mi sento in colpa, non mi vergogno di quello che sono perché per me l'importante è essere e non apparire, non fingo, io vivo e basta, vivo di attimi, emozioni, amore puro in ogni sua forma.

    Sento le sue mani bollenti ma con i polpastrelli ghiacciati accarezzarmi il collo, poi il seno coperto dal vestito, lo stringe, stuzzica i capezzoli duri, scende, mi tocca il ventre, l'ombelico e continua a baciarmi avidamente.

    Mi prende in braccio, mi aggrappo alle sue possenti spalle, annuso i suoi capelli brizzolati corti, profumano di menta e fumo, gli lecco il lobo dell'orecchio mentre con un dito gli socchiudo le labbra. Lo lecca, lo succhia e quando lo ritraggo lo assaggio io.

    Sorride mentre mi butta sul grande divano rosso, si spoglia completamente, io rimango seduta, vestita, con le mie scarpe dal tacco alto che mi stringono e incominciano ad appesantirmi le caviglie. Lo guardo, rimango incantata dal movimento dei suoi vestiti morti per terra, si inginocchia, mi apre le gambe, sollevo il bacino, mi sfila il perizoma nero, solleva l'abito da sera lungo fino all'inguine e solo ora percepisco il suo respiro nelle profondità più buie del mio frutto proibito. Soffia sui pochi peli che ho, mi accarezza le gambe, le sue grandi mani sono diventate fredde e lente, un dito si intrufola dentro di me, non entra ma percorre il mio sentiero come un boy scout esperto. Si lecca il polpastrello, si distende sopra di me per farlo leccare anche a me, lo prendo, lo succhio e estraggo il mio umore dalla sua carne ghiacciata. Lentamente mi lecca la linea del sentiero, con due dita la apre un po', l'osserva, la guarda, la bacia per poi soffermarsi con la punta della lingua al mio clitoride gonfio e sensibile. Lo lecca veloce, mi fa tremare, respiro a fatica, mi aggrappo ai pochi cuscini rimasti sul nostro inferno rosso, spalanco le gambe cosicché lui possa regalarmi il mio pezzo di paradiso terrestre.

    Muovo il bacino verso la sua bocca, alle volte così violentemente da farlo momentaneamente staccare da me. Il suo dito mi entra dentro velocemente, lasciandomi senza respiro, ne aggiunge un secondo e insieme a esso incomincia a muoverli insieme, lentamente, avanti e indietro mentre mi lecca ovunque.

    Suona il telefono. Il signor Jeris si alza e con delusione noto che la sua erezione è svanita, il suo pene è diventato molle come prima, la mia bocca l'ha rianimato ma non estasiato.

    "Pronto?".

    Silenzio.

    "Sì, certo, tra pochi minuti apro la porta, a dopo".

    Mi alzo, il vestito si disegna sul mio corpo coprendo il mio sesso bagnato, pulsante di piacere e affamato di riceverne ancora.

    "Chi era?".

    "Nessuno che possa interessarti".

    "Lorenzo?", domando speranzosa.

    "No. Il signor Gigli sarà nella sua stanza a masturbarsi o starà già dormendo".

    Si avvicina a me. Mi guarda e poi ride.

    "Godevi prima, eh?".

    "Sì".

    I miei occhi privi di vergogna sconvolgono i suoi, abbassa lo sguardo, mi guarda il seno, mi prende la mano e mi guida verso la camera da letto. Il letto ha un delizioso piumone bianco con dei disegni beige ai bordi, mi tolgo le scarpe, mi sfilo il vestito ma solo la parte sopra, osservo il suo viso desideroso di mangiarmi il seno, di divorarlo ma si limita a fissarmi.

    "Quanto sei bella Valentina".

    Sorrido.

    "Vieni da me...".

    Il signor Jeris si avvicina e solo ora noto con mia grande sorpresa che in mano ha un foulard blu.

    "Vuoi passare una notte di puro piacere, di pura estasi?".

    "Sì", rispondo immediatamente.

    "Bene... allora fatti bendare".

    Mi giro, gli do' la schiena, mi benda, sento il suo pene che ha ripreso vigore sbattere dolcemente sul mio sedere, mi aggiusto i capelli pizzicati dal nodo e mi siedo sul letto, attendo la mia sorte, aspetto quel pezzo di inferno che tanto voglio ma da cui vorrei tanto scappare.

    "Sei così bella che potrei farti mia ogni ora di questa lunga notte".

    "Accomodati Jeris", dico allargando le gambe.

    "Spogliati completamente e mettiti in ginocchio sul letto".

    Eseguo i suoi ordini con un tale trasporto e desiderio da sentirmi una bambina con il suo giocattolo preferito, nuovo, appena comprato da un parente lontano.

    Improvvisamente sento un leggero squilibrio nel materasso, il peso di Jeris è forte, lo sento avvicinarsi, si sistema dietro di me, mi bacia il collo, io inclino la testa indietro, l'appoggio alla sua spalla larga e, mentre le sue mani accarezzano dolcemente il mio seno sodo e morbido, gemo di piacere nel sentire i suoi polpastrelli bollenti stringermi con un pizzico i capezzoli turgidi.

    "Nessuna donna, in tutta la mia vita, si è accesa così...".

    Le sue parole si spengono sulla mia clavicola, spingo lentamente il sedere verso di lui, lo strofino, stuzzico il suo pene duro, lo chiamo, lo voglio ma lui resiste, mi prende le spalle e mi rimette in ginocchio.

    "Non è il momento. Non ancora".

    Il foulard incomincia a darmi fastidio, mi sento pizzicare gli occhi, voglio aprirli, spalancarli, vedere il mio corpo vivo sotto l'assedio forte delle sue mani avide e curiose di me. Dentro alle mie pupille si formano strani cerchi arancioni, sintomo di una chiusura forzata, obbligata dai suoi giochi perversi ma eccitanti.

    Un fremito, un brivido mi percorre la schiena mentre sento un altro paio di mani sul mio ventre, mi spalanca le gambe e un viso si sposta velocemente sotto al mio sesso bagnato, sento il suo respiro entrarmi dentro, una lingua bollente si fa strada e apre il mio sentiero, mi lecca le grandi labbra, le succhia e, quando le lascia, si sente quel rumore di strappo che mi fa gemere violentemente.

    "Spero non ti dia fastidio se si è aggiunta un'altra persona".

    I baci, la lingua, le carezze non mi permettono di rispondere, sono scossa da mille piaceri, mille voglie, le mani di Jeris mi stuzzicano i capezzoli mentre la sua bocca mi lecca il lobo dell'orecchio. Sento le ginocchia barcollare, il respiro accelerare, il cuore scoppiare. Un terremoto di estasi sta facendo crollare tutte le mie inibizioni, le mie barriere. Tutto il mio essere donna si sta disintegrando lasciando scaturire in me un senso animale, istintivo, una folle voglia di godere e far godere fino allo svenimento dei sensi.

    Le mani dell'altra persona mi premono le cosce verso le sue labbra affamate, sono seduta sul suo viso, la sua lingua è entrata dentro al mio sesso, si muove lenta e, mentre la sua bocca si apre come se stesse mangiando qualcosa, urlo, gemo così forte da non sentire più il mio cuore battere. Percepisco, nonostante i miei sensi annebbiati dal piacere, che l'altra persona è un uomo, sento la barba incolta sulle labbra gonfie e umide della sua saliva e dei miei mille umori.

    "No", sussurro istintivamente mentre sento il piacere placare, il vuoto sotto di me.

    "Valentina, l'altra persona mi dice di volerti scopare... Gli dai il permesso?".

    "Sì, assolutamente sì".

    "Bene, allora io mi siedo sulla poltrona e vi lascio godere, ma non troppo, dopo ti voglio per me".

    Mi sculaccia il sedere, un suono acuto riempie la stanza silenziosa e, mentre il suo peso scompare dal letto, penso al mio perfetto sconosciuto, abile baciatore e adorabile fonte di piacere.

    Sono seduta sul grande letto, risento il suo calore sotto di me, le sue mani decise sono la sua invisibile voce, mi prende i polsi e mi fa distendere sopra di lui in un meraviglioso sessantanove, sento il suo pene durissimo sulle labbra, le mie mani lo cercano, lo trovano, lo accarezzano. Sento la sua cappella gonfia pulsare, è bagnata. Poso la bocca su di esso senza aprirla e percepisco i battiti del suo cuore, che accelerano al ritmo del piacere che tra poco gli darò.

    Lo prendo tutto in bocca, senza mezze misure, senza assaggiarlo prima, lo divoro, lo sento giù in gola, è un po' più lungo di quello del signor Jeris, mi fa soffocare più velocemente ma anniento la mia voglia di tirarlo fuori, lo voglio dentro le mie profondità più remote.

    Il suo corpo trema, geme e per la prima volta sento la vibrazione delle sue corde vocali, una voce bassa, profonda e un po' rauca dovuta forse, al piacere inebriante della mia bocca.

    Sono affamata, una fame incontrollabile, una voglia assassina di piacere, un'estasi che poche persone ti sanno donare e, quando incontri quelle giuste, ne approfitti come la migliore prostituta. Mi ritengo un'esperta donna del sesso, amo farlo e impazzisco nel dare piacere, adoro vedere negli occhi degli uomini quegli sprazzi di incoscienza che solo il loro uccello duro sanno donargli. Noi donne siamo cavie, giocattoli, tempo perso, avventure, molte volte penso che l'amore vero non esiste ma, quando incrocio per strada i vecchietti che si tengono ancora per mano, la mia anima si scioglie come neve al sole lasciando in me la consapevolezza della mia menzogna, non trovando l'altra metà della mia mela, mi autoconvincevo di una verità scomoda. Una bugia.

    Non ho ancora trovato il mio famoso principe azzurro, verde, rosso, giallo. Non ho ancora conosciuto un uomo vero, un uomo che ascolta il suo cuore e poi gli impulsi stupendi del suo corpo vivo da mille brividi terreni. Ho preso una decisione dall'ultima storia d'amore finita male, ho deciso di godermi la vita, di cogliere l'attimo fino a quando l'amore suona alla mia porta per riportare in vita le mie membra ferite da mille delusioni.

    Quando un cuore è ferito va in letargo, un riposo forzato da una società troppo frenetica e senza valori, si dimentica di respirare quell'aria pulita che solo l'amore gli sa donare, dimentica di capire il bene e il male di ogni situazione, dimentica cosa vuol dire voler bene davvero senza aver bisogno di vendere un sorriso per elemosinare una carezza finta.

    Non puoi comprare l'amore ma puoi obbligarlo a venire prima da te, aumentando i battiti del tuo cuore. Il tempo passa più in fretta e, così facendo, la solitudine muore e i secondi accelerano.

    Ogni volta che faccio sesso mi sento una bellissima bambola. Plastica, carne, stoffa, ghiaccio, non importa di cosa sia fatta, l'importante è funzionare, saper usare tutta l'alchimia e lo spirito di una vera donna per far volare il piacere sulle vette dei monti più alti.

    Mi sento ridicola. Ho questo assurdo foulard blu davanti agli occhi, ho la bocca sporca dagli umori di un uomo di cui non so il nome né conosco il suo viso. E' come se fossi una bambina con un cono gelato gigante ma con dei gusti che non ho chiesto.

    "Non fermarti proprio ora. Ti prego".

    La sua voce. Quel timbro malinconico ma solare, quel tocco invisibile che mi sfiorava il cuore, quel dito prepotente che mi toccava l'anima mentre dentro di lui sapeva già di dirmi addio.

    Ricordi. Aveva già tutto scritto, come un esperto scrittore sapeva già tutto ancora prima di lasciarmi, aveva compreso ancora quando mi diceva il suo amore che mi avrebbe lasciata andare via. Lo amavo, l'ho sempre amato ma ora mi faceva schifo, lo detestavo con ogni centimetro della mia pelle.

    Mi alzo, scendo gattonando dal letto. Mi tolgo la benda e sedendomi, dando la schiena a entrambi, sento un sorriso prepotente disegnarsi sul mio viso stanco.

    Nessuno sa che un semplice sorriso è il passaporto dell'anima, ci permette di scappare dal gelo di questa società, povera di valori ma ricca di falsità e freddezza. Io ora voglio scappare ma non ho le forze per farlo. Il mio corpo è scosso da tanti brividi di piacere, è come anestetizzato da una droga potente, ho voglia ancora della sua lingua, del calore sotto di me, del suo pene duro e gonfio, ho voglia ancora e ancora del nostro amore passato, dimenticato.

    "Valentina, questo è mio figlio Saverio".

    Mi volto verso il signor Jeris. Lo fisso cercando di capire attraverso il suo sguardo eccitato e perplesso se fa finta di non conoscermi o se il figlio non ha mai ammesso di aver avuto una fidanzata, un amore, una storia.

    Scoppio a ridere, una risata sana, grassa, liberatoria, voglio far sfuggire dalla mia bocca tutto quel marciume che ho assaggiato, leccato, baciato.

    Mi alzo, mi avvicino a Jeris, mi siedo sopra di lui, infilo velocemente, con un colpo preciso, senza mani, il suo pene duro dentro di me, lo cavalco, veloce, veloce, lento, veloce, veloce. Mi alzo lentamente, ho solo la sua cappella gonfia dentro di me, la faccio entrare ma lascio fuori tutto il resto, gioco con quella, lo voglio far venire in due secondi, voglio farlo impazzire, voglio succhiargli l'ultimo respiro per sputare quell'aria putrida in faccia a suo figlio.

    Non mi volto, non lo guardo, non lo sento. So che se i suoi occhi guardano i miei, sentirei la mia anima trafiggersi in mille pezzi, uno specchio bellissimo in mille frammenti diamantati. Ho soffocato il dolore della fine con un tappo di sughero rosa, ho drogato il mio cuore con la polvere sottile delle città, ho pianto sul cuscino ogni notte, lasciando come mille fossili le mie gocce salate. Sono stanca ma non mi arrendo, non voglio perdere questa volta, in questo gioco di falsità voglio vincere io, la piccola, fragile principessa delle favole sepolte.

    "Basta... Basta... Lascialo respirare".

    Sento le mani di Saverio cingermi la vita, mi prende in braccio, mi butta sul letto, guardo la faccia di Jeris pallida, le sue labbra tendenti al viola mi danno l'impressione di uno dei miei tanti rossetti.

    "Lo volevi ammazzare?", urla nudo contro di me.

    Velocemente si avvicina al padre, due uomini spogliati dai loro ipocriti costumi si guardano, si osservano. I loro peni duri, rigidi, lunghi, quasi si toccano quando Saverio gli massaggia il viso per donargli quel colore che è fuggito tra i mille respiri di estasi. Jeris mi fissa il seno, cerca di alzarsi, barcolla ma riesce a raggiungermi, mi prende i polsi, mi fa alzare e improvvisamente, mentre il suo pene accarezza il mio ventre, mi da' uno schiaffo così forte da farmi cadere all'indietro.

    "Puttana. Maledetta puttana!", urla.

    Mi massaggio il cuore che pulsa sulla mia guancia destra, mi brucia, il calore che percepisco mi accende la coscienza addormentata da anni. Mi alzo, nuda, arrabbiata davanti a due uomini che mai avrei creduto di incontrare oggi.

    "Questa puttana, sai chi era molto tempo fa?", domando seria mentre fisso Saverio.

    I nostri sguardi si incrociano, si scontrano, si bruciano. Ricordi dimenticati, resuscitati, vissuti ma allo stesso tempo morti per sempre. Jeris guarda me, poi suo figlio, alla fine ritorna a posare il suo sguardo sporco su di me.

    "Ero la fidanzata di tuo figlio, colei che doveva sposare, colei che amava e che voleva per sempre".

    Ride.

    "Tu? Non ci credo, mio figlio è un ragazzo serio, non va a troie".

    Prende un paio di boxer dal cassetto del comodino vicino al letto, se l'infila e velocemente ritorna sul suo trono, su quella poltrona bianca dove prima lo cavalcavo, lo uccidevo.

    "Serio? E' serio un ragazzo che scopa in compagnia di suo padre? E' serio quando fotte la stessa donna che vuole farsi suo padre?".

    "Tu sei una donna, non devi giudicare, devi solo stare zitta e aprire le gambe, farci godere e andartene quando tutto è finito. Troia!".

    Le sue parole mi fanno sentire una dama del cinquecento di fronte a un vecchio re, un re con pensieri preistorici e idioti. Con passi svelti ma traballanti mi scaglio su di lui, gli tiro schiaffi, pugni e morsi, cerco di mordergli tutto quello che trovo ma Saverio, da buon principe, da bravo figlio difende suo padre, buttandomi per terra e facendomi battere la testa sulla gamba in legno antico del letto. La mia mano tremante corre verso il dolore acuto che sento alla nuca, una striatura di sangue mi colora di rosso i polpastrelli bianchi, gelati come la neve, morti sotto il peso di un piacere troppo breve per essere pagato con la mia dignità.

    Cerco di alzarmi, mi aggrappo al piumone sfatto ma scivolo, ribatto la testa sul pavimento, la mia vista è annebbiata e, mentre si aggiungono le lacrime come condimento della mia disperazione, sento le mani di qualcuno buttarmi sul letto. Mi sento un sacco di patate, tuberi gialli come l'oro scaraventati da una parte all'altra per far mangiare chi digiuna d'amore da troppo tempo.

    Saverio è davanti a me, ha portato via suo padre, l'ha chiuso nell'altra stanza, lo sento urlare, imprecare ma lui è vicino a me, mi massaggia la testa, mi asciuga il sangue, mi bacia lentamente gli occhi leccandomi lentamente le mie lacrime d'argento.

    "Tu sei pazza, l'ho sempre saputo ma ora ho avuto la prova. Lo sai che mio padre è un uomo particolare, all'antica, l'hai provocato troppo".

    Deglutisco a fatica, cerco di parlare ma sento bruciare la gola.

    "Uomo all'antica non vuol dire essere così stronzi e meschini e...".

    Tossisco.

    "Non parlare, ti fai solo del male, devi andartene da qui".

    "Non ci riesco, sto troppo male".

    Il suo sguardo ora è dolce, attento, comprensivo. Le sua labbra, prima tirate da una smorfia di odio ora sono distese, morbide, rosa. Mi bacia, mi bacia così teneramente da sentirmi sciogliere come il burro in una pentola di rame. I miei nervi si ammorbidiscono con la sua lingua veloce, il dolore soffoca sotto il peso del piacere, della voglia addormentata di lui, di noi.

    "Ho sempre adorato fare l'amore con te, è l'unica cosa che mi è mancata da quando ci siamo lasciati".

    Si distende sopra di me, il peso dolce del suo corpo mi schiaccia, fatico a respirare ma è così bello risentirlo vicino a me che mi passa tutto.

    Le sue parole dure ma sincere mi solleticano il cuore mentre il suo pene durissimo sventra il mio sesso asciutto ma voglioso. Mi fa male, mi ha sempre fatto male la sua tremenda voglia di me, è impaziente, frenetico, desideroso di catturare ogni mia particella di calore e di passione.

    "Sei sempre così bella, Valentina", sussurra dentro la mia bocca.

    Ora ho il suo respiro sul mio collo, i baci sono finiti, la tenerezza svanita, le parole scappate dalla sua razionale mente. Spinge, spinge sempre più forte, spinge così prepotentemente che sento la sua punta nelle mie profondità, sembra un animale, un predatore che si sta nutrendo della sua stupida preda.

    Le mie mani sulla sua perfetta schiena, l'assecondano, le mie unghie premono sulla sua carne come per aggrapparsi da qualcosa su cui vorrebbero solo fuggire, scappare via per sempre.

    Mi sento morire. Mi manca l'aria. Mi manca me stessa.

    "Basta".

    Lui continua imperterrito, le mie parole soffocate dai suoi movimenti veloci e forti, il rumore frenetico dei suoi colpi che spingono contro il mio corpo facendo sbattere la spalliera del letto.

    "Ho detto basta. Basta!", urlo.

    Saverio si ferma, mi fissa, resta dentro di me, sorride. Inizia a muoversi lentamente, spinte dolci ma decise, mi prende i polsi e me li mette sopra la testa, li chiude in una trappola mentre con l'altra mano scivola sul mio clitoride, lo solletica, ci gioca, lo pizzica mentre il suo pene duro continua la sua maratona.
    "Ti piaceva così tanto...".

    Gemo, urlo, un piacere immenso mi sconvolge, non riesco a parlare, a muovermi, a ribellarmi. Non ci riesco, è troppo potente questa estasi ma devo farlo, devo farlo per me stessa e per il mio folle dolore durato troppi anni. Le mie mani strette dalla sua presa mi pizzicano i capelli mentre violentemente sbatto la testa sulla spalliera del letto ogni volta che i suoi movimenti riprendono a essere violenti, brutali, animali.

    "Basta".

    Lo spingo via, le mie gambe che prima gli serravano la vita si allargano, le mie unghie graffiano, le mie labbra mordono e le briciole del sentimento che provano per lui, finalmente, muoiono per sempre. Volano via da me, lasciandomi libera da una maledizione durata troppo a lungo.

    Si alza, si massaggia la schiena, non ci riesce, si siede e mi fissa con occhi crudeli.

    "Troia!", sussurra.

    A fatica mi alzo, prendo il mio vestito blu, svuoto un vaso ricco di gigli giganti vicino alla poltrona bianca dove è seduto Saverio, l'acqua gli bagna i piedi grandi e con passo deciso apro la porta. Jeris è seduto sul divano, sorseggia il suo brandy. Mi vede, si alza, si scaraventa su di me imprecando, ma io lo fermo minacciandolo col vaso di cristallo premuto sul pomo d'adamo, evidenziato dalla sua troppa saliva.

    "Te lo rompo in testa se ti azzardi a picchiarmi ancora!".

    La mia voce bassa ma decisa lo fanno indietreggiare, so che non ha paura di me, come potrebbe, sono piccola, minuta e ferita ma quando una donna sembra indifesa i suoi nervi l'aiutano a diventare un'eroina e a vincere la battaglia.

    Bussano alla porta. Corro verso quel rumore, corro verso la mia libertà, corro perché voglio rinascere e dimenticare questa brutale serata. Apro la porta, lo vedo, i suoi occhi sono pieni di rabbia, di paura, di stanchezza ma lui è lì, davanti a me, pronto a proteggermi.

    Il mio principe è ritornato da me, mi avvicino, l'abbraccio e mentre il mio naso si inebria del suo profumo, vedo dietro la schiena, stretto nelle sue mani, un lungo e affilato coltello luccicante.

    Mi stacco subito da lui, lo fisso negli occhi, le sue pupille verde smeraldo mi scrutano serie. E' deciso a volersi rovinare la vita per un mio sbaglio, una mia colpa.

    "No. Non farlo", sussurro al suo orecchio destro.

    "Valentina, chi picchia una donna non merita di vivere".

    Il suo accento francese mi scalda il cuore e mi raffredda la guancia pulsante di dolore, ricordo di questa brutta serata finita male. Non posso permettergli di difendermi, so farlo benissimo da sola, senza l'aiuto di nessuno, tanto meno di un uomo. Ho imparato a tutelarmi, a raffreddarmi, a scappare quando sentivo la carezza di un sentimento e il fiato di un emozione. Ho paura, ho un terrore folle di lasciarmi andare, di mescolare il mio respiro con l'aria di un'altra persona, di riunire i nostri corpi in un' unica anima, di baciare davvero, di assaporare ogni fibra del suo sapore per capire se mi ama o se mi desidera e basta. Rovinarsi l'anima nell'aspettare una sua chiamata, il tempo di vedersi, il tempo di sentire la sua voce arrabbiata o di udire le sfumature calde di quando ti vuole, ti ama, ti annienta. L'amore uccide il cuore lentamente, è un veleno seducente e dolce, ti scalda e ti mantiene giovane il cuore quando tutto va bene ma, quando l'amore finisce, entra in circolo lentamente fino a farlo appassire di dolore. Un fiore macchiato di sangue in un cielo nero di pianto.

    Un nuovo sole sorgerà e gli porterà quel vigore, quella vita che prima lo rendeva bellissimo mentre ora lo rende rinsecchito come la pelle di un anziana signora di ottant'anni.

    Il tempo è la medicina, di giorno ti trucchi e mascheri quelle occhiaie viola che ti fanno sembrare un pugile che ha perso l'incontro più bello, la notte piangi, soffochi urla, grida che nessuno sentirà a parte le piume bianche del tuo cuscino.

    "Spostati Valentina".

    La voce di lui mi sveglia dai miei pensieri, improvvisamente capisco che non devo permettergli di commettere nessun errore, non deve macchiarsi l'anima per colpa mia, sono stata io a cacciarmi in questa situazione e io concluderò la mia battaglia con la mia dignità di donna.

    Per la prima volta, leggo il suo nome nel tesserino piccolo con una cornice dorata, attaccata al suo petto, proprio davanti al suo cuore.

    "Daniel ti prego, esci, aspettami al piano di sotto".

    "Non vado da nessuna parte se tu non vieni con me. Ho promesso alla suite a fianco che avrei rimediato al vostro caos".

    Daniel entra nella stanca con passo veloce, sembra un felino arrabbiato, il suo corpo snello ma possente si piazza tra me e Jeris, mentre Saverio osserva la scena dalla soglia della porta della camera da letto.

    "Ragazzino cosa vuoi fare? Non giocare col fuoco, ti bruci, non te l'ha detto la tua mamma?".

    Saverio ride alla battuta di suo padre, è una risata ironica e ricca di malignità e superficialità.

    "Mia madre mi ha insegnato molte cose, una tra queste è riconoscere i coglioni veri. Non so se sa che la madre dei cretini è sempre incinta. Il giorno che è nato lei poteva andare al cinema, di stronzi al mondo ce ne sono talmente tanti che la sua mancanza non l'avrei sentita".

    Ora ero io che ridevo, mi ha stupito perché anch'io pensavo la stessa cosa.

    "Daniel, è un'intera generazione, perché non solo la madre di Jeris ha messo al mondo un coglione, ma anche sua moglie si è data da fare per cagare un altro stronzo".

    Sorrideva, i suoi occhi erano ritornati gentili ma attenti, leggevo una lieve paura che non voleva lasciar trapelare, ma i suoi occhi verdi la facevano galleggiare come le farfalle colorate nei prati più profumati.

    "Ora basta! Non ho intenzione di farmi insultare da due poveracci, cosa volete?".

    Saverio avanza nella stanza, versa un po' d'acqua nel bicchiere di suo padre, il brandy è finito ma delle gocce che erano depositate sul fondo colorano il tutto di un color fango.

    "Bevi papà, non vogliono niente perché io ho filmato tutto".

    Le sue parole mi agghiacciarono il sangue, il cuore si fermò per tre secondi, non riuscivo a respirare, non potevo credere che ancora una volta era lui a vincere la mia partita.

    "Non è vero", disse deciso Daniel.

    "Ah no? Vuoi vedere? Vuoi guardare come la tua principessa mi succhiava il...".

    Non finì la frase che Daniel corse verso di lui, gli puntò il coltello alla gola, padre e figlio in fila, come due soldati, la lama appuntita viaggiava tra il collo di Saverio e quello di Jeris, i loro occhi terrorizzati e sorpresi mi diedero un piacere indescrivibile.

    "Basta. Dammi subito la videocamera e non vi farò niente".

    "Non avresti il coraggio di fare niente, moccioso!", disse Jeris.

    Saverio sorrise.

    Sapevo che prima o poi la pazienza di Daniel sarebbe finita, mi aspettavo un gesto estremo ma si limitò a sfregiare la guancia destra del mio ex fidanzato.

    Un taglio lungo come il mio mignolo, preciso, netto. Il sangue gocciolava sulle sue labbra, si asciugava tremante con l'asciugamano che teneva stretto alla vita, ora era nudo, il suo bel corpo muscoloso lo vedevo morto, sepolto dal peso del mio dolore.

    "Dammi quella fottuta videocamera. Ho incominciato con la faccia, questa volta scendo più in basso", urla minaccioso Daniel.

    Il coltello, lentamente, cammina in mezzo al petto di Saverio, gira intorno all'ombelico e, infine, la punta argentata si ferma dove iniziavano i peli del pube, ormai molle, flaccido come il mio desiderio per lui.

    "Va bene, va bene".

    Jeris sospirò rumorosamente, tossì mentre il figlio corse in camera e, quando tornò, stretta nelle mani teneva una videocamera nera con una lucina rossa lampeggiante.

    Daniel la prese immediatamente, la guardò e scoppiò a ridere.

    "Siete due ignoranti. Vi siete fregati da soli. Avete registrato tutto dall'inizio sapete? Tutto".

    "Davvero?", domandai con voce leggera, quasi sussurrata.

    Daniel si volta verso di me, si avvicina e mi abbraccia così forte da sentirmi i battiti del cuore pulsare nelle tempie.

    "Sì, davvero, e ora andiamo via".

    Velocemente Daniel si dirige verso l'ascensore, preme il pulsante e mi aspetta con il suo sguardo sereno e tenero.

    "Addio", dissi decisa e sbattei forte la porta.

    Corsi veloce dentro l'ascensore, le mani di Daniel tenevano le porte argentate di ferro per non farle chiudere, gli sorrisi quando premette il pulsante, mi sentivo come un agente in missione, avevo nel mio orgoglio la vittoria, la prova che mi scagionava e una persona stupenda da conoscere meglio. I cattivi erano morti e sepolti dalla mia mente e, finalmente, sarei vissuta allegramente.

    "Come hai potuto permettergli di farti questo?", domandò serio senza guardarmi.

    Mi specchiai e l'immagine che vidi mi fece rabbrividire, avevo un livido sull'occhio destro, dove Jeris mi aveva tirato lo schiaffo, il vestito era sporco di qualcosa di viscido e puzzava di alcool. Solo ora mi accorsi di essere scalza, di avere il trucco tutto sporco sul viso, sembravo una delle tante maschere tristi di Venezia, non ero io, io ero allegra, colorata, un arcobaleno di anime chiuse nei vari colori. Oggi la mia anima era nera. Nera come la notte, la pece, il carbone, ma sapevo che sotto quest'ombra c'era un sole così splendente da accecare chiunque lo guardasse.

    "Nella vita si sbaglia, io ho sbagliato così tante volte da non ricordare più cosa vuol dire non sbagliare".

    "Valentina il tuo corpo, la tua anima, il tuo cuore non devono essere usati o comprati. L'amore non si compra e non si vende, ti cercherà un giorno, non avere fretta".

    Sorrido, il suo accento francese mi fa stare bene, è buffo quando cerca di pronunciare bene le parole in italiano.

    "Lo so".

    Sorride, si volta verso di me e mi porge un fazzoletto bianco, enorme, quelli vecchi di stoffa che usava mio nonno, è pulito, profuma di marsiglia e di rinascita.

    "Allora, bella signorina, dove la porto stasera?".

    Faccio finta di pensarci, ma so benissimo dove voglio andare e con chi.

    "Daniel, portami via di qui, in un posto bellissimo e che mi faccia stare bene."



    Passarono tre mesi da quella sera.

    Il tempo volava, i giorni correvano, le notti dormivo serena come una bambina coccolata dall'ingenuità della notte, sorridevo, ridevo, vivevo. Ho cambiato lavoro, ho salutato la mia vecchia esistenza con una bellissima festa in ufficio, dovevo salutare bene i miei vecchi colleghi. Lorenzo, la sera del mio addio, mi trascinò con una scusa nel suo ufficio.

    Non so quante volte ho sognato di essere posseduta da lui, sulla sua scrivania lucida, sulla sua poltrona nera di pelle, sul pavimento di marmo bianco ma ora, adesso, volevo solo scappare e, quando le sue mani avide cominciarono maleducate a sbottonarmi la camicetta di seta rossa, gli diedi uno schiaffo così forte da sorprendermi da quanta forza nascosta avevo in corpo.

    Ora ho due case, una in Italia, a Torino, l'altra in Francia, in un paesino dal nome strano vicino a Parigi. Daniel è il mio principe, il mio uomo, il mio fidanzato. I tempi brutti sono passati e l'amore ha continuato a cercarmi, a volermi, a chiamarmi ma io ero sorda, non sentivo e scappavo da quel sentimento fino a quando, un bel giorno, mi ha catturato e come una debole preda vogliosa di essere rapita mi sono lasciata amare dalle braccia di Daniel e dal suo cuore candido come la neve, quella neve che luccica di notte in una romantica città degli innamorati.



    Fine

    Elisa.G
     
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    Follemente eccitata (i) Alla pecorina sul divanetto!: Collezione di Racconti Erotici Solo per pochi (Italian Edition) [Kindle Edition]
    Noemi (Author)
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    Book Description
    Publication Date: February 10, 2014
    Inedita Collezione di sensuali ed eccitanti storie di sesso. L'arte dell’erotismo, se seguite un po' le mie cose lo sapete, per me è importante, è un'applicazione della creatività a treccentosessantagrandi°. Certo è che con il titolo originale non avrebbe tratto in inganno le lettrici che cercano il dolce, il romance e il sesso puro ad ogni costo.
    Questo libro è un vero e proprio orgasmo multiplo, un pugno nello stomaco, denso e pesante, non è un libro che dà conforto, non è una coperta calda per un pomeriggio invernale, questa è una storia intensa, avvincente e che mi ha emozionato nel bene come nel male.
    Non penso sia un libro che possa lasciare indifferenti o lo si odia o lo si ama ed io l’ho amato. Questa storia d’amore non convenzionale, erotica e ruvida, è stata un’esperienza introspettiva ed oscura molto lontana da tutto ciò che ho mai letto e che ho apprezzato fino ad ora.
    L’ Unica regola è stata quella di non fare un "libro" tradizionale.
    Sono tutti capitoli nati da un gesto, sono tutti capitoli scritti in condizioni uniche, in location che già da sole fanno la parte dei personaggi dei racconti. Pure suggestioni, senza "ideona" e senza nessun trattamento posticcio delle immagini, ma semplicissimi e con il corpo e il paesaggio come unici protagonisti, nient'altro.


    Il Tempo e lo Spazio, questi due parametri fondamentali e sempre più relativi nell'era digitale sono la base dei capitoli di tutto il libro.
    Il primo è forse l’ultimo libro dedicato ,certamente, alla vera scrittura erotica. Qui potete trovare il meglio dei racconti di tipo erotico basati su storie vere e non solo
    Se sei pronto per un salto di livello nella tua vita sessuale e spirituale...
    Un invito a scoprire le meraviglie del Sesso. Katiuscia è davvero una praticante con esperienza "diretta" di ciò che iscrive, e questa è una cosa rara. Ha un modo chiaro e semplice di esporre i suoi racconti. Katiuscia è un Maestro dell'arte dell’erotismo che ti conduce sul sentiero della realizzazione sessuale, quindi, personale, tenendoti forte per mano. E' una guida qualificata e sempre presente, che riesce a trasmettere con una chiarezza ed una simpatia ineguagliabili le gioie del sesso. E' semplicemente una benedizione che all'improvviso entra a far parte della tua vita, condivide con te anni di esperienze e di insegnamenti e ti schiude una serie infinita di possibilità alle quali non avrei mai neanche pensato
    La Catechista in una canonica di campagna è il primo e forse l'univo vero libro sul Eros!
    Un eros estremo, libero, liberissimo, che più libero non si può. Estremo (o estremizzato?), bruciante (o bruciato?), travolgente (o stravolto?).

    Quante manfrine! L’amore oggi si fa così: senza censure, senza chiusure, senza serrature, senza sfumature.

    L’eros cambiato! E per fortuna! So’ finiti i tempi cupi! Dicono. Quando “fare all’amore” era repressione, bigotteria vittoriana, dovere cristiano e civile, proprietà. Dittatura del maschio e schiavitù della femmina. Sembra l’altro giorno che giravamo con le mangrovie sotto le ascelle e clave in spalla che già siamo qui a parlare di “preistoria della sessualità”. Così daje di cerette oggi, di cremine domani, di chirurgia dopodomani, non solo uomini e donne, ma anche l’amore s’è fatto un bel lifting, un lifting grosso!
    Siamo nel tempo e nello spazio e lì stanno le parole, anche se un file annulla queste coordinate, da un punto di vista biologico siamo ancora fatti di tempo e di spazio e solo l'espressione artistica insieme alle emozioni riescono a trascendere davvero questa cosa.
    Raffinatissimi racconti erotici nuovi e inediti specifici per il tuo corpo e per la tua anima.

    Abbandonerai le tue abituali modalità percettive e ne assumerai di nuove e insospettate…

    16 straordinarie e deliziose storie di erotismo puro, di spasmo multiplo, semplificate delle infinite complessità del linguaggio. Storie di erotismo e ordinaria quotidianità. La lettura di questi racconti erotici, è riservata ad un pubblico ad
     
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    Nella cabina del telefono

    Un' avventura che ricordo con immensa eccitazione .Quando eravamo più giovani non vi erano i telefoni cellulari e qualcuno per risparmiare anzichè telefonare da casa , andava al Bar sotto casa o alla cabina. Così faceva mia moglie (in quel periodo eravamo fidanzati), che andava in una stanzina di un bar a telefonare a vari parenti del sud Italia per salutarli e sapere come stavano. Fra questi vi era suo zio , il fratello di sua mamma. Mi aveva raccontato che ogni volta che scendevano al paese questo zio,di circa 65 anni non faceva altro che guardarla morbosamente ,si massaggiava il cazzo davanti a lei e cercava ogni contatto possibile , talvolta anche di sfregarsi sul suo splendido culetto. Una volta cresciuta però quando questo zio si allargò troppo , mia moglie si incazzò e lo minacciò. Dal quel momento non si azzardò più a fare niente se non a sbavare e masturbarsi in bagno alla vista di mia moglie , la quale non sdegnava di farlo arrapare con vestiti succinti e girando per casa con il costume. E questo a mia moglie piace perchè ha un forte istinto esibizionista, anche allora che era una ragazzina.
    Comunque ricordo che ero fuori dallo stanzino mentre lei finiva di parlare al telefono , io mi spallavo e mi stavo bevendo una birra di cui ricordo ancora la marca , una Corona. Mi fece cenno che doveva fare l'ultima telefonata allora entrai e cominciai a dirle che ero stufo di aspettare e volevo andare via
    Dai amore devo fare l'ultima telefonata a quel vecchio bavoso dello Zio Giuliano e poi andiamo
    La parola vecchio bavoso mi ricordò tutto quello che mi aveva raccontato , sarà stato per la birra bevuta, l'abbigliamento sempre provocante che portava e il caldo del locale ma mi fece tremendamente eccitare , così aspettai che componesse il numero e appena cominciò a parlare la cinsi da dietro e cominciai a baciarla sul collo molto teneramente e dolcemente ,e allo stesso tempo a farle sentire il gonfiore sul suo culetto. Lei continuò a parlare perchè per ora i miei baci erano molto delicati e dolci , io ero in estasi abbagliato dai fumi dell'alcool e dell'eccitazione. Adesso mentre le leccavo il collo , avevo appoggiato sul panchetto la birra e avevo cominciato a tastarle le tette sode senza reggiseno e stavo pizzicando entrambe i capezzoli. Uhm , ti amo le dissi nell'orecchio e mi fai impazzire mentre continuavo a martoriarle i capezzoli.
    Lei mantenendo la cornetta all'orecchio ma girando la parte dove parlava ruotò la testa e mi infilò la lingua in bocca , facendomi arrapare ancora di più , ma poi accarezzandomi la guancia in modo molto dolce mi disse:
    -dai smetti che continuiamo dopo adesso potrebbe accorgersi di qualcosa,anche io sono eccitata amore , ma non possiamo qui!
    Uhmmmmm strizzandole maggiormente i capezzoli , scordatelo non mi stacco da te mi fai troppo sesso nel mentre lei cercava di rispondere allo zio che non faceva altro che parlare. A un certo punto le scappò un urletto che mise sugli attenti il bavoso e che sentìi chiederle cosa era successo
    -niente zio niente , ho battuto il gomito , insomma mi dicevi di zia Lina
    intervenni io , e dissi a voce alta:
    - diglielo cosa sta facendo la sua nipotina
    -ssssssssshhhhh sei pazzo
    -cosa devi dirmi disse lo zio e chi è quella voce?
    -no nulla zio , è il mio fidanzato , ma niente non ti devo dire niente
    io incalzai spostando la mano dal capezzolo e infilandogliela sotto la gonna arpionando subito la fica che era già bagnata e insistetti nel farmi sentire e dirle nuovamente , dai diglielo che razza di nipotina ha!!
    -smettila mi disse stizzita Chiara
    -uhmmmmm , fai come vuoi leccandole tutto l'orecchio , e tintillandole il clitoride.
    Sentimmo dall'altra parte del telefono lo zio
    -allora Chiara voglio sapere quello che mi devi dire , vuoi che dica a tuo padre che sei chiusa in una cabina con un ragazzo , il tutto suonava molto più minaccioso detto in dialetto salernitano
    -nooo zio non hooooo nulla da direeeeee ahhhh , ti pregooooooo non insistere uhmmmahhh
    -senti!!,urlò lo zio dimmi cosa stai facendo , femmina di poca fede
    uhmmmm ziooooo il mio fidanzato ma diciamoooo ahhh che mi da fastidiooo
    -cosa vuol dire sii più esplicita
    -noo ti pregooo non mi chiedere questooooo ahhhh ahhhh
    -ti sento sai mignotta che sei in calore forza dimmelo che ti sta facendo quel bastardo
    - uhmmmm mi ha messo una mano nelle mutandine e una nel reggisenooooooo e mi staaaaa toccandooooo tuttaaaaaaaa ahhhhhhhhh ,
    brutta mignottazza che non sei altraaaaaaaa ,donna marcia e buttana continua a dirmi
    Uhmmmm zioooo non possoooooo , mi vergognooooooooo ahhha siiiiiii lasciami ti pregoooooo
    -forza femmina obbedisci
    ohhhhhhh mi sta toccando la ficaaaaaaaaa , col dito mi ha spostatoooo la mutandinaa ohhh è dentro ahhhh ahhhhh si iiiii godoo da morire zietto mi sta piacendo da morireeeeeeeeee ahhhhhhhh
    -brava di al tuo zietto cosa stai facendo che ora mi tiro fuori la minchia anch'io e mi faccio una bella sega,dimmi di che colore sono le mutandine e se sono quelle fini che ti entrano nel culo come si vede in trasparenza con i vestitini che porti da mignotta!!!
    Chiara si stava eccitando da morire a raccontare quello che succedeva
    ziooooo ohiooo uhmm come mi staaa toccando bene ahhhhhh uhmmmm , ho delle mutandineeee ohhhhh rosseeeee , siiiii quelle che mi entranooooo nel culooooooo ahhhhh , vorrestiii essereeee al suo postooooo ehhhhhh pervertitooooo maialeeeeeeee ahhhhhh vorrestiiii sentireeee ahhh siiii come è fradiciaaaa la mia dolceeee ahhhh passerina , tutta lisciaaaa ahhhhh e giovaneeee aaaaahhhhhh, ohhh lo sai cha faaaa ahhh? mi sta facendo mettere in ginocchio vuole che gli unhmmmm succhi il cazzoooooahhhhh uhmmm pianoooo aughtaught..........
    -vai vai nipotina bella mignotta succhiali il cazzo come una battona forza troietta e tu piccolo bastardo infilaglielo fino in fondo che questa ragazzina deve essere riempita a dovere!!!
    passarono 3/4 minuti in cui non sentivamo nulla se non il rumore della bocca di Chiara sul mio cazzo e qualche parola che la offendeva e che usciva dalla cornetta
    Poi si rialzò e riprese a parlare
    Zio ci sei sempreeee ahhh
    -certo troietta come potrei riattaccare uhmmmm allora come glielo hai ciucciato
    -uhmmmmm beneeeee ahhhhhhh buonissimo duro come il marmo , adesso ahhhhh è scesooooo giù lui e mi staaaaa leccandoooooo la ficaaaa ahhahahah che bellooooooo ahhhhha dai amore leccaaaaaa così , sei un angelo uhmmmmmmm impazziscooooooo ,ahhhhhh ha imboccato il clitorideeeee e se lo stà ruotandooooo tra le labbraaa ahhhhha sonoooo troppo troiaaa haaaahhhhhhh
    -ti sta leccando la fregna quel maiale !!!! sei una mignottaaaaa troiaaaaa , ho il cazzo durooo anch'io me lo sto tirando ahahahah
    si ziettino fatti una bella segaaaaa ahhha è l'unicaaaaaa cosa che ti puoi fareeeeee con la tua nipotinaaaaaaa uhmmmm,se dicessiiiiii ahhhh alla mammaaaaa quelloooo che staiii facendoooooo ti rovinerebbeeeeeee , maaaaaa non ti preoccupareee ahhhhhh come sto godendoooo uhmmmmmm, ha una lingua vellutataaaaa ahhhh mi entra nelle viscere uhmmm me la sento scavareee dentroooooo uhmmmm ahhhhh siiiiii continuaaaaaaa cosiiiii ahhhhh , nooo che stai facendoooo amoreeeee pianooo ohhhh ohhh cielooooooo ziooooo mi sta infilandoooooooooo il collo della bottiglia dentro la ficaaaa ahhhhh uhmmmm è tutto dentroooooo ahhhhh va in su e giù ohhhhhhh che goduria stoooooo ahhhhh grondando come una fontanaaaaaa ahahaahha ohhhh mamma mia, mi ha messo a pecorina appoggiata alla parete uhmmmmmmm , silenzio e poi un urletto secco ahhhhhh
    -che è successo mignotta chiede lo zio
    uhmmmmmm ohioooooo pianooooo ahhhhhh mi sta inculandoooooo ohiooooo che goduria zioooooo ho la bottigliaaaaa nella ficaaaaaa e il cazzoooooo in culooooooo uhmmmmmm sto impazzendooooooooo
    -dai godiiiiiii troietta , uhm ti sta spaccando quel favoloso culetto che tanto sogno e su cui mi sego quasi tutti i giorni , speriamo ti faccia male per un mese , le mignotte come te non meritano altro ah ahahhhaaaa sono quasi per sborrareeee buttana
    bastardoooo , sto godendooooooo mi sento riempitaaaaaaaaaa tutta ahhhhhhhh si farciscimi tutta amoreeeeeeeee fai sentire a quel pervertito che cazzo che hai ahhahahahahahaaaahhhhhh siiiiiiiiii spaccami la bottiglia nella ficaaaaaaaaaa ahhhhhhhh godooooooooooo siiiiiiiiiiiiiiiii vengoooooooooooooooooahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
    respirava a fatica , presa dall'orgasmo intensissimo che aveva avuto
    -zio ci sei sempre
    certo troietta , non avevo dubbi che tu fossi una puttana in questo modo , il tuo ragazzo è fortunato , come è il tuo culetto ora , bello aperto ehh.
    -Si è tutto aperto me lo sto sentendo è una voragine , uhmm e cola tutta la sborra non so come fare a uscire da questo stanzino
    Vi prego rifacciamolo un 'altra volta al più presto , vi prego.
    Vedremo disse lei e riattacco
    Sei pazzo , sei pazzo e porco , sei pazzo porco e pervertito
    E te sei una puttana!!
     
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    UN INCESTO INDIRETTO.
    Storia di un padre degenere che voleva educare la figlia alla libera sessualità e all'amore libero ,e invece senza rendersene conto , lentamente, la introdotta sulla strada della perdizione, educandola alla depravazione.


    Una famiglia benestante ,della media borghesia , lui Andrea, un professionista cinquantenne nel campo della biologia clinica e microbiologica .La moglie Laura , una donna attraente e vistosa , bella , ma soprattutto molto,molto piacente con il suo corpo maturo e la signorilità innata in lei , nei movimenti , nei gesti e nel modo di rapportarsi ; dirigente di una azienda pubblica . E le due figlie bellissime , le “ cavalline” come le chiamava affettuosamente lui ,per la loro esuberanza e freschezza. Erica ,20 anni, bella ,bionda e alta , studentessa universitaria al terzo anno di giurisprudenza e Cristina , appena diciottenne ,da poco terminato il liceo scientifico e in procinto di iscriversi come la sorella alla stessa facoltà e ,come la madre , molto attraente e graziosa.
    Una famiglia normale , come altre centinaia di migliaia nella nostra penisola ,con le loro gioie e le loro felicità ,i loro segreti e le loro preoccupazioni e le ragazze con la loro floridezza spensierata e l'allegria, sulle quali si stava abbattendo come un uragano , la volontà perversa di una conoscenza casuale e virtuale del padre ,Marco , che indirettamente sconvolgerà la vita di tutti e quattro.
    Il padre un cuckold, che da pochi anni viveva la rivelazione della sua nuova sessualità segretamente con la moglie ,diventa fautore di una sua particolare filosofia sessuale , con antiche origini elleniche e celtiche e, stimolato dal nuovo amico virtuale , si lascia convincere a metterla in pratica sulla figlia Cristina ,creando senza volerlo nei mesi seguenti ,una impudica e lussuriosa ragazza , e come faceva con la moglie , la offriva, possedendola tramite interposte persone che lui stesso le cercava sui siti porno.
     
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    Ormai sola, senza sesso, senza uccelli...senza orgasmi.

    Sono Clara, donna di 52 anni mai stata bella, viso da prof di matematica con spessi occhiali e fisico un pò in carne ma decente.

    Sono vedova e mio figlio è andato a vivere da solo da un paio di anni, mi manca il mio ragazzo, quanto mi manca...Luca 23 anni, una montagna di 1.90 con un corpo da statua greca...

    Fino a che era in casa io amavo mettermi giù un pò sensuale, truccata e con intimo sexy...giusto per sentirmi al centro di attenzioni maschili! Mio dio non scopavo da 1 anno!

    Il mio figliolo mi riempiva di coccole e, a giudicare dal suo membro, anche io provocavo in lui istinti sessuali!

    La sera era il momento delle carezze e delle effusioni, sempre velate ma divertenti, con lui in pigiama ed io mezza nuda a strusciare le gambe velate vicino a quell'uccello duro...che belle sensazioni...

    In camera mi masturbavo per bene, pensando a lui, e godevo come ai bei tempi...

    Ora sono sola e la mia unica compagnia è Zeus, un pastore tedesco, che è costretto a ricevere tutte le mie attenzioni...anche le più morbose...

    Lui è sempre attivo e ogni tanto vedo che il pene spunta fuori mentre è ai miei piedi e mi fissa con la lingua di fuori. Una sera, mi venne la voglia di stendere una gamba verso di lui, avevo le autoreggenti da vecchia maiala, e non misi le mutandine di proposito, dato che volevo vedere il suo atteggiamento.

    Apro le gambe lentamente e, non appena stendo il piede verso la sua lingua lui non esita a sniffarlo e leccarlo per bene, sbavava sulla mia pianta ed era attratto dal forte odore di quelle calze indossate tutto il giorno.

    Mi provocò sollievo e devo dire che una lingua così non l'avevo mai provata!

    Lecca, divora il mio piede, sbava sempre di più...sono ricoperta di saliva bollente e spingo le dita nell'enorme bocca canina, mi eccitai e mi bagnai poco a poco...apro le gambe ancora un pò e sprigiono un odore di fica che impregna l'aria, metto una mano tra le gambe e sono un lago di umori, macchio il divano, poi con le dita bagnate mi avvicino al naso del cagnolone per far sentire quanto mi fa godere.
    Lui smette di leccare i piedi e sniffa la mano sbarrando gli occhi, cambia lo sguardo e diventa una vera bestia...è indiavolato e attratto dal succo di fregna...guardo il suo pene ed è davvero lungo e gonfio, si divora le dita e prova a salire sul divano.

    Con un balzo mi si fionda addosso piantando le sue zampe sul mio seno, aveva artigli al posto delle unghie e sentiì la mia carne lacerarsi, mi spaventai e provai un dolore improvviso e inaspettato molto intenso.

    "Zeus! Zeus! Bravo...a cuccia! Ahiaaaaaa ahiaaaaaa...aaaarrrrggghhhh!!! Che maleeee!!! A cuccia a cucciaaaaa!!!" Strillai forte, ma era colpa mia, ero stata troppo spinta verso il mio fidato cane e lui era irrefrenabile.

    Mi leccò il viso, mi ripulì la faccia, mi stava schiacciando al divano e, con le zampe, arrivò alle mie spalle tentando di penetrarmi con foga.

    "Zeus!!! Zeussss!!!" Gridai.

    Niente, mi slinguazzava faccia e seni senza una tregua, ansimava e simulò le gesta di una scopata, stava facendo su e giù ma non era arrivato nella bollente fica, era lontano dal mio fiore, non ci sarebbe riuscito, così per togliermelo di dosso sferrai un calcio sui testicoli, lui pianse e si staccò da me in maniera fulminea e tirando via la pelle...mi strappò la carne e allora si udirono le mie urla strazianti...
     
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