La panchina di Mariella Forever

"Così ho fatto piangere la capotreno"

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    «Lei, inflessibile, mi fa cambiare vagone. Io, regolamento alla mano, la mortifico»
    SANDRO CAPPELLETTO
    ROMA
    Il viaggio si annuncia sereno. La seconda carrozza di testa dell’Intercity Plus 533 Torino-Roma Termini, che prendo ad Alessandria alle 16,02, è vuota. Ho acquistato un biglietto di prima classe, ho molto bagaglio, quel mercoledì di fine agosto incrudelisce di caldo, voglio viaggiare comodo. L’arrivo è puntuale, sono nella migliore disposizione d’animo per concedere a Trenitalia l’opportunità di un riscatto. Sistemo la valigia grande nel ripiano sopra i sedili, la piccola sotto la sedia, la sacca dei libri accanto a me.

    Apro il tavolinetto, prendo l’agenda, il giornale, la «Settimana Enigmistica», andando subito a cercare «Il bersaglio», il mio gioco preferito, poi l’appassionante studio di Sergio Vartolo sulla genesi dell’Arte della Fuga di Bach e i motivi della sua incompiutezza. Spengo il telefonino, tolgo le scarpe, allungo le gambe. Sei ore e ventisei, un tempo di percorrenza superiore di trenta minuti rispetto all’anno scorso, ma saranno almeno tranquille e fresche: poco traffico umano e l’aria condizionata funziona bene.

    ...Mi assopisco. «Biglietto prego». Lei non è bella, potrebbe esserlo di più se credesse meno al ruolo che le garantisce il berretto da capotreno. Sono in regola, ma il risveglio inatteso non mi priva del piacere di farla attendere. Come sempre, la ricerca è lunga, anche se so benissimo dov’è: nella tasca posteriore sinistra dei pantaloni. Non parlo, non parla, inizia a spazientirsi, attendo ancora, infine lo trovo..., lo mostro. «La sua Cartaviaggio prego».

    Un osso duro. Ha notato che il prezzo del mio biglietto di prima classe ha lo sconto del 10%, come era concesso ai titolari dell’Executive, prima che gli irresponsabili del servizio anti-clienti di Trenitalia estirpassero anche questo beneficio, rendendo così del tutto inutile la spesa di 89 euro necessaria ad ottenere quel tipo di Cartaviaggio.
    Lentamente la cerco tra le cards che tengo nel porta documenti, nella tasca posteriore destra. La esibisco.
    «Documento prego». Resto tranquillo, non sarà quell’arpia a inacidirmi il viaggio. Sta soltanto facendo il proprio dovere mi ripeto mentre, ancora più lento, le mostro la patente che certifica la mia identità.

    Mi restituisce biglietto, Executive e documento. Poi, con ghigno lieve, che non mi sfugge: «Non può restare qui. Troverà dei posti nell’altra carrozza di prima, dal 92 in poi non sono prenotabili e ce ne sono di liberi».
    «Questo è il mio posto prenotato», replico senza guardarla.
    «Questa carrozza è fuori servizio. Tutte quattro le porte sono inutilizzabili, il regolamento ferroviario è chiaro, per ragioni di sicurezza una carrozza in queste condizioni non può espletare servizio viaggiatori. Lei si deve spostare. Questa carrozza è come non ci fosse, rimane in funzione solo lo scompartimento di servizio».

    La provocatrice appare determinata... La guardo. «Lei mi ha visto salire, con tutto il bagaglio. Perché non mi ha avvisato subito, perché ha lasciato che sistemassi tutto qui?». «Il segnale era aperto, il treno ripartiva, non potevo occuparmi di lei». «Bene. Continui a non occuparsi di me. Io da qui non mi muovo». Non risponde, se ne va. Evidentemente la questione non è risolta, lei non è tipo da arrendersi. Riappare dopo pochi minuti. Non è sola, dietro di lei un agente in borghese della polizia ferroviaria. Ce ne sono in ogni treno a lungo percorso. Mostra il tesserino, mi invita ad alzarmi e raggiungere l’altra carrozza. «Niente di personale, naturalmente. Ma il regolamento è chiaro. Per la sicurezza di tutti».

    Sgombero, in silenzio. Lei è trionfante, ma si sforza di nascondere la sadica gioia. Avrai la tua paga, ossessa che sei. Per il momento, prendo tempo. «Dove avete formato il treno?», chiedo senza alcun rancore al Capo Treno. «A Porta Nuova, naturalmente». «Quando vi siete accorti del disservizio?». «A Porta Nuova». «Le carrozze di prima sono soltanto due, perché non l’avete sostituita?». «La residenza di questa carrozza è Roma Tiburtina, lì deve ritornare, lì sarà riparata». «Da dove arriva?». «Da Tiburtina». «Quindi ha fatto sia l’andata che il ritorno in queste condizioni?». «Sì». «Inutilizzabile». «Esattamente». «Perché, tenendo questa, non avete aggiunto un’altra carrozza?». «Undici, il numero massimo di carrozze che questa motrice può tirare è undici».

    Guardo il poliziotto, allarghiamo le braccia. Raggruppo, risistemo, sposto i bagagli. Nell’altra carrozza di prima l’aria condizionata non funziona, ma c’è ancora qualche posto libero. Siedo vicino al corridoio.... A Porta Principe c’è il consueto saliscendi di viaggiatori, ma il numero complessivo non aumenta. Alle 18,04 arriviamo a La Spezia, in orario. Si riparte, ho sete e caldo, mi metto in cammino verso la vettura self service. La carrozza di prima classe con le quattro porte fuori servizio dalla quale sono stato fatto sloggiare è piena.... Vado dalla capotreno, deciso a saltare i preamboli. «Li faccia spostare tutti, subito». «Sono molti». «Subito o chiamo la Ferroviaria». «Sono abbonati, lavorano ai cantieri della Marina militare di Spezia, scendono a Viareggio, una mezz’oretta. L’altra carrozza è piena». «Tutti e subito. Si alzi e li faccia abbandonare questa carrozza, altrimenti un esposto per violazione del regolamento non glielo toglie nessuno», replico, sedendomi di fronte a lei...

    Questa volta, niente tregua. E’ costretta ad ubbidirmi. Si alza e a voce bassa, a un viaggiatore per volta, spiega la vicenda. I primi le obbediscono e raggiungono l’altra carrozza, ma per tornare subito indietro. Non solo l’aria condizionata è rotta, ma nel frattempo gli scompartimenti si sono riempiti di accaldati clienti, prenotati e non prenotati, accomunati da quella sofferenza.

    Il Capo Treno prosegue intanto la sua opera di persuasione, interrotta quando il primo gruppetto di migranti ritorna ad occupare il posto che aveva da poco lasciato. Lei prova ad alzare la voce....ma ormai parla nel vuoto, nessuno la sta più a sentire, mentre continuo a guardarla immobile, inespressivo, fino a quando si arrende e ritorna al proprio posto, davanti a me. Sta piangendo, in silenzio. «Vuole il mio numero di matricola?», chiede con un sussulto di dignità che ammiro. Le porgo il mio pacchetto di fazzoletti di carta e proseguo verso la carrozza self service.
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