La panchina di Mariella Forever

ESCORT GAY:I MIGLIORI CLIENTI.I VOSTRI MARITI

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  1. sorriso@
     
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    Parlano due escort gay:
    «I clienti migliori? I vostri mariti»
    «È un lavoro come altri. Ma guadagniamo tanto e siamo liberi»



    MILANO - «Ho un barboncino bianco, ci vado a passeggio per Padova. Si vede, diciamolo, che sono frocio eppure non ho mai avuto problemi. Io, però, eviterei le effusioni esplicite nei parchi: a me danno fastidio anche tra coppie etero, non vedo perché baciarsi tra la folla. Più spinoso il fatto che in qualche occasione siano capitate violenze nei «nostri» luoghi, i luoghi gay friendly. Ma l’allarmismo è fuori luogo. Sinceramente, non sento l’ombra dell’omofobia». Thomas commenta così l’ultimo episodio di intolleranza omofoba accaduto nella città dove vive, Padova: due lesbiche aggredite mentre si scambiavano effusioni. Thomas è omosessuale e si guadagna da vivere prostituendosi.

    Insomma, è testimone diretto anche di un altro tema di attualità nelle cronache degli ultimi mesi: il corpo è diventato uno strumento di lavoro e di affermazione sociale. Bellezza, magrezza, giovinezza sono le caratteristiche che servono a piazzarlo meglio sul mercato. Thomas e Wagner, il suo ex compagno, sono entrambi escort high class (come si dice), hanno per lo più clienti che andrebbero apparentemente rubricati tra gli eterosessuali (con mogli e fidanzate). Wagner ha 26 anni, viene dal Brasile. Thomas ne ha 30, è padovano. E a Padova si sono conosciuti. Fino a poco tempo fa stavano insieme. Ora l’amore è finito ma abitano nella stessa palazzina in due appartamenti diversi, un piano sopra l’altro. «Siamo molto legati», dice Thomas. Se chiedi a Wagner di raccontarti perché si prostituisce dichiara con disinvoltura: «Il corpo lo usi comunque, anche quando fai un lavoro considerato “normale”. Tutti hanno sempre usato, in tutte le epoche, il loro corpo per lavorare. Se riempi un panino, se lavi i pavimenti, se costruisci un muro è ancora il tuo corpo che lavora. Sono un lavoratore autonomo, nel senso che del mio corpo faccio ciò che voglio. Ho scelto questo mestiere per essere libero da orari, da ogni tipo di gerarchia».


    Niente lacrime, niente bisogno di riscatti, niente conti da saldare, per Wagner. Rivendica una libertà d’azione che può scioccare ma che non è nuova tra gli escort (maschi o femmine che siano) di ultima generazione. Viene facilmente rimossa dal discorso pubblico perché rassicura di più una definizione classica: solo chi è disperato vende sesso, molto spesso è stato costretto, ridotto in schiavitù, qualche volta corrotto e alla fine della storia, se il bene prevale, si redime. Ma in un’epoca di precarietà, spiega Thomas, il richiamo del denaro - tanto denaro in poco tempo - diventa una leva determinante: «Lavoravo come imbianchino e tiravo su, più o meno, 1.200 euro al mese. Dalle otto del mattino alle otto di sera, spesso anche il sabato. Un paio di anni fa in un locale ho incontrato un personaggio piuttosto conosciuto e ricco. Sono stato cinque volte a casa sua e ho guadagnato tre volte il mio stipendio di un mese». Conferma Wagner: «Se sei uomo puoi portare a casa circa 6mila euro al mese. Prestazioni in appartamento, mezz’ora l’una. Una ragazza può farne anche mille in una serata. Il tuo bilancio dipende da te. Più sei disponibile, più guadagni. Se una giornata non ti va di ricevere clienti e hai voglia di dormire, basta spegnere il cellulare».

    È conclamata la desensualizzazione del sesso come lavoro: la “prostituta”, la “puttana” del passato, poteva essere solo donna, il plurale nella lingua italiana esiste solo al femminile. Per loro, nel tempo, si sono inventati decine di epiteti dispregiativi. La categoria contemporanea, sempre più priva di genere, dei sex worker è la faccia esplicita di un mondo che fa perno sulla progressiva messa a valore del corpo - televisione, pubblicità - sul mito dei soldi e del successo e sulla svalorizzazione del lavoro, per non dire di conoscenza e cultura. A che cosa serve studiare se poi il professore è un poveraccio? La rete, infine, ha reso tutto più facile, come dimostra Thomas: «Tu pubblichi unannuncio con la tua foto e alcune indicazioni che ti riguardano su siti specializzati. Dici anche dove sarai rintracciabile in quella settimana, o per due settimane, chessò Firenze o Bologna. Chi vuole stare con te ti contatta e viene a trovarti a casa. L’appartamento dove ricevi i clienti è spesso messo a disposizione dal gestore del sito o da amici suoi o ti arriva l’indirizzo attraverso un passaparola. Costa più o meno 150 euro per una settimana ai maschi (che guadagnano di meno), 300 per le ragazze. Non c’è alcun altra intermediazione e il costo è equo, rientri dalla spesa con meno di una sola prestazione». «Devi girare, cambiare spesso città perché i clienti vogliono ragazzi nuovi, vogliono stare con qualcuno che non hanno mai provato. C’è il gusto della scoperta», chiarisce Wagner, che è appena tornato da Bologna dove ha passato 15 giorni. E i clienti, chi sono? «C’è di tutto, dal ragazzino 18enne che non ha il coraggio di ammettere che è gay, al signore 70enne», dice Thomas. «Tantissimi quelli che si dichiarano etero, gente che ha la fidanzata, moglie e figli». E perché vengono da voi? «C’è una latenza omosessuale in tantissimi uomini. E poi il moralismo imperante, la religione, il perbenismo, la famiglia impediscono ancora a molte persone di essere sé stesse», conclude Wagner. Cosicché si conferma che in un Paese dove molti, in questo periodo, sembrano pronti a dare la caccia al gay, sono numerosi quelli che poi i gay li cercano per un’ora di piacere. Scopriamo anche che per i clienti non è così fondamentale la bellezza dell’escort.

    Senza contare che (risaputamente) internet consente di barare e di pubblicare foto non tue. D’altro lato anche per Thomas «non ha importanza se l’uomo che mi paga è brutto. Anzi, devo ammettere che io preferisco se a pagarmi è un grasso anziano, piuttosto che un bel ragazzo giovane. Mi pare più giusto che a pagare sia il vecchio». «Ci sono capitate anche coppie», aggiunge Wagner, sempre a proposito dei clienti. «Donne no, non ne accettiamo perché siamo gay. Ma confermo che la richiesta è in crescita, c’è sicuramente molto mercato per gli uomini disposti a fare sesso a pagamento con le donne». «Lo dico per esperienza diretta, tutte le donne che conosco e che fanno le sex worker sono consapevoli del mestiere che fanno, cubane, brasiliane, italiane», aggiunge ancora Wagner che tiene particolarmente a insistere sulla libertà del mestiere. Un po’ meno netto Thomas che sostiene invece che per le donne le storie di sfruttamento, di coercizione ci sono ancora, «tra le straniere e tra le trans soprattutto, che sono molto richieste». Wagner e Thomas fanno anche spettacoli nelle discoteche gay: «Non è semplice esibirsi in erezione sopra a un cubo con sotto centinaia di persone che ti guardano. In quelle situazioni, per lo show, facciamo ricorso a un’iniziezione diretta nel pene. Esistono vari tipi di farmaci che garantiscono di reggere, di mantenere l’erezione “viva” per diverse ore. Una specie di Viagra localizzato».

    L’unico vero problema che sembrano individuare i ragazzi rispetto al loro lavoro è che non dura a lungo, lo puoi svolgere solo fino a una certa età. «Per questo abbiamo messo i soldi da parte e aperto una sauna. Per dieci mesi ci siamo occupati esclusivamente della nostra attività e abbiamo smesso di prostituirci. Ma poi è intervenuta la crisi economica e abbiamo ricominciato con gli appuntamenti, per ripianare i debiti», spiega Thomas. Il futuro resta incerto, Wagner dice che «ci vorrebbe una pensione», anche per loro. Niente garantisce dalla caducità di un corpo che invecchia, per quanto “macchina” che pure viene ben “manutenuta” con gli integratori e molta palestra. Wagner che alla fine si ferma e ci pensa e poi rivela che in Brasile ha un figlio di nove anni, che laggiù si era perfino sposato, a 16 anni («ero un bambino che aveva un bambino, ma le ragazze non mi piacevano. Sono venuto in Europa»). Qui in Italia lavora anche per lui. Non avendo altro, vende il suo corpo: «il corpo è mio».

    Cristina Morini
    20 ottobre 2009
    http://www.corriere.it/
     
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