La panchina di Mariella Forever

FRANCESCHINI,ABOLIAMO L'AUDITEL

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    «Il messaggio? Rafforzare l’antiberlusconismo»
    Franceschini guarda «Videocracy»
    E propone: «Aboliamo l'Auditel»
    Il segretario del Pd: «Basta rilevazioni o tutte le sere vedremo in tv Corona nudo sotto la doccia»

    ROMA - La prima trasmissione della tv del presidente è lo spogliarello di una casalinga. Ma presto comincia Drive In. E poi il karaoke del nuovo inno, con cori di casalinghe che al mercato, dal parrucchiere e nella piscina dell’acquagym cantano: «Meno male che Silvio c’è!». Le immagini ormai cult di Lele Mora che mostra il telefonino - svastica sul display, suoneria di Faccetta Nera - e di Fabrizio Corona nudo sotto la doccia, presentati dall’autore Erik Gandini come personaggi-chiave dell’Italia di oggi. Sullo sfondo, una folla di aspiranti comparse, l’outlet dove si tiene il concorso per velina, e la storia di Ricky, saldatore che studia da personaggio tv.

    Scorrono le immagini di Videocracy. «Ora capisco perché la Rai ha rifiutato persino il trailer - sorride Dario Franceschini -. Non ne darei però una lettura solo moralista. La questione è sociale, e anche economica. Il film racconta come negli ultimi trent’anni sia stata sovvertita la gerarchia dei valori. Più del titolo, è indicativo il sottotitolo: 'Basta apparire', come dice appunto Lele Mora. La società ha sposato totalmente i principi del mercato: competizione a tutti i costi. Ma non è una competizione in cui vince il migliore. Vince il più spregiudicato. Quello disposto a tutto. Perché nella gara tutto è lecito, anche le gomitate sui denti. E questo non è soltanto un disastro morale e culturale. È un danno economico. Nel mondo globale ogni Paese investe sui propri punti di forza: chi sulla grande impresa, chi sul basso costo della manodopera. L’Italia, invece, distrugge la propria ricchezza: il capitale umano, la creatività, i cervelli, l’eccellenza. Ci comportiamo come un Paese arabo che bruciasse il petrolio».

    L’impatto del modello televisivo sui giovani, sostiene Franceschini, è devastante. «Viene trasmessa l’idea che studiare e sacrificarsi sia del tutto inutile. Lo confermano i numeri: abbiamo la metà dei laureati rispetto a Francia, Germania e Gran Bretagna; e siamo sotto la metà della media Ue per i laureati di prima generazione. Anziché puntare su studio e lavoro, molti cercano la scorciatoia di un mondo della comunicazione e dello spettacolo dove non vale più la regola del talento ma quella della spregiudicatezza. Oppure si affidano alle reti di protezione sindacali, familiari, politiche. È più stimata la comparsa della Sposa perfetta, come si vede nel film, del bravo insegnante o dell’artigiano capace. E trova più facilmente un posto il figlio di famiglia, anziché giovani che hanno curricula straordinari e master all’estero ma si imbattono sempre in qualcuno che gli passa davanti». Per questo il Pd, dice il segretario, è chiamato a una sfida: «Rompere le reti di protezione, liberare le energie. Coniugare il merito con l’uguaglianza, stabilendo pari opportunità per tutti: il ragazzo del Sud come il ragazzo del Nord, il figlio dell’operaio come il figlio del notaio. Rovesciare la gerarchia dei valori vigente. So che è un’operazione lunga, all’inizio forse controproducente, perché tocca interessi e abitudini. Ma il Pd ha un senso se prende dei rischi, se cambia le cose. La manutenzione non mi interessa».

    Videocracy pone anche il tema dell’informazione, quando ricorda che l’80% degli italiani attinge le notizie solo dalla tv. «Ma io non sono così pessimista - sostiene Franceschini -. Si affaccia alla vita pubblica una generazione abituata alla rete e alla tv digitale. Certo, paghiamo oggi gli errori del passato: nella legislatura tra il '96 e il 2001 dovevamo fare la legge sul conflitto di interesse. Finché resiste il duopolio, ci sarà spazio per gli accordi sottobanco: come racconta nel film il regista del Grande Fratello, cui viene fatta chiudere in anticipo la trasmissione per non sovrapporsi a Berlusconi ospite su RaiUno ». Qualcosa, propone il segretario Pd, si può fare anche ora: «Sospendiamo le rilevazioni Auditel per i programmi di informazione, dai telegiornali ai talk-show. Che senso ha misurare chi ha vinto la gara dei tg? Il criterio della quantità a scapito della qualità trascina tutti verso il basso. Di questo passo, rivedremo Corona nudo sotto la doccia ogni sera: lo share salirebbe. Ma più importanti ancora, per la formazione dell’opinione pubblica, sono le altre trasmissioni. Quelle che di solito i politici non guardano, ma che trasmettono il modello di valori - fondato su ricchezza e fama - di cui Berlusconi è il campione».

    Ormai, denuncia Franceschini, «ci siamo assuefatti a uno squilibrio impressionante di mezzi e di denaro, che non ha eguali in nessun Paese dell’Occidente: nella situazione italiana, forse Obama non avrebbe mai sconfitto McCain, Zapatero non avrebbe battuto Aznar, Blair e Brown non sarebbero mai entrati a Downing Street. Ci siamo assuefatti pure a definire 'antiberlusconismo' ogni opposizione; mentre è il momento semmai di opporsi con più forza. Io propongo al mio partito di cominciare una durissima battaglia per il cambiamento profondo del Paese. Così il Pd può allargare moltissimo la sua area di espansione. Fare alleanze è necessario per vincere ma non credere alle possibilità di crescita del Pd è il condizionamento più sbagliato, come ha scritto ieri Panebianco, delle esperienze passate ed è anche la strada che porta a snaturare il 'senso' che il Pd ha, eccome, facendolo tornare drammaticamente indietro. Vedo che la destra e tanti poteri forti si affannano a dire che non vincerò. Si rassegnino. A decidere chi farà il segretario non saranno loro, ma il 25 ottobre tanti elettori liberi. Stavolta non si tratta di confermare una scelta, ma di farla. Vedrete che saranno moltissimi a partecipare». E RaiTre? «Non è il Pd che blocca le nomine. Quelle le decidono i consiglieri d’amministrazione. Ma se saranno censurate la satira o le inchieste, allora tutti saremo chiamati a una battaglia di libertà».

    Aldo Cazzullo
    11 settembre 2009

    http://www.corriere.it/
     
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