La panchina di Mariella Forever

Posts written by Gregge0

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    Pasta Fredda Alla Mediterranea
     
    Ingredienti per 4 persone:
     
     500 G Pasta Tipo Tagliatelle
     Pomodoro A Cubetti
     Basilico
     Olio D'oliva Extra-vergine
     200 G Mozzarella
     Olive Nere Snocciolate
     


    Preparazione:


    Cuoci la pasta e raffreddala a temperatura ambiente cospargendola con un velo di olio, girandola di volta in volta.


    Taglia i pomodori a cubetti e mettili in una terrina, aggiungi, sale, pepe, basilico tritato, la mozzarella a cubetti, le olive nere e l'olio d'oliva extra-vergine fai insaporire molto bene, quindi condisci la pasta.

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    Vince OLANDA.....
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    Paella Valenciana

    Per 6 / 8 persone:
    500 gr di riso, 2 peperoni rossi, 1 cipolla grossa, 1 spicchio d'aglio, 300 gr di piselli sgranati, 1/2 pollo tagliato a pezzi, 200 gr di lombo di maiale, 200 gr di sacche di calamari o seppie già pulite, 400 gr di vongole e cozze, 12 code di gamberoni non sgusciate, 300 gr di polpa di pomodoro (fresca o in scatola), 1 bustina di zafferano, 1 cucchiaino di paprika dolce, 1 foglia d'alloro, brodo di carne, sale, pepe nero, d'olio d'oliva.

    Preparazion:
    Lasciate le vongole in acqua salata per 3 ore per far perdere loro la sabbia. Le cozze vanno prima spazzolate sotto l'acqua corrente. Tagliate la carne di maiale a dadini.
    Sminuzzate insieme la cipolla e l'aglio. Mondate i peperoni e tagliateli a strisce. Fate un taglio sul dorso dei gamberoni ed eliminate il budellino intestinale senza togliere il guscio.
    Versate 3 cucchiai di olio nell'apposita padella di ferro (in mancanza, potete usare qualsiasi recipiente che possa andare al fuoco e nel forno) e scaldate a fuoco medio. Fate rosolare i pezzi di pollo su tutti i lati e salateli alla fine. Toglieteli e teneteli al caldo.
    Nella stessa padella, fate appassire la cipolla e l'aglio con la foglia di alloro e unite il lombo di maiale. Quando la carne è dorata, unite i peperoni e i calamari tagliati a rondelle. Dopo qualche minuto, unite il pomodoro e i piselli e lasciate cuocere per qualche minuto.
    A questo punto, togliete tutti gli ingredienti dalla padella e versate altri 3 cucchiai di olio nel fondo di cottura, aggiungete il riso che farete tostare rapidamente e unite tutti gli ingredienti, incluse le spezie e un cucchiaio di sale.
    Coprite con circa 1 litro e mezzo di brodo, mescolate bene e portate il tutto a ebollizione.
    Coprite con carta stagnola e cuocete in forno per circa 15 minuti senza mescolare. Controllate alla fine che il riso è cotto e, se necessario, aggiungete poco brodo se vi sembra che è troppo asciutto. Portate la paella in tavola nel suo recipiente.
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    Piatti tipici della Sicilia



    Trinacria, dove una mescolanza di popoli e di culture hanno fatto di quest'isola un crocevia di civiltà, portando con sé aromi, colori e fragranze culinarie d'oltremare.
    I tipi di pane sono: Il Bukë, il Cucciddatu, il Pane e birra, il Pane e pasta dura e il Pane di Monreale.

    Arancini:
    Sono presenti in tutte le rosticcerie e pizzerie. Sono fatti di riso con un ripieno di carne trita passata nel sugo e mescolata con piselli e formaggio tenero a dadini.

    "Mpanata":
    È una specie di pizza o torta salata molto ricca. Diffusa in tutta l'isola con leggere varianti, può essere farcita con verdure e carne o pesce.

    Pasta alla Norma:
    Piatto caratteristico di Catania, in omaggio al compositore cittadino Vincenzo Bellini. Sono spaghetti coperti da melanzane fritte nell'olio, salsa di pomodoro e una spolverata di ricotta salata grattugiata.

    Insalata d'arancia:
    Dove può arrivare la fantasia culinaria. Tagliare a fette sottili l'arancia, meglio se agra, condirla con olio, sale e un po' di pepe. Da servire come contorno.

    Cassata:
    Dolce tipico siciliano di origine araba. Si tratta di un Pan di Spagna ricoperto di crema di ricotta, con glassa di zucchero e con una decorazione fatta da canditi.

    Ricette

    Pasta alla Gangitana
    Ingredienti: (dose per 6 persone)

    gr. 500 di maccheroni rigati
    1 cavolfiore bianco
    gr.300 di pomodori
    1 cipolla
    1 spicchio d'aglio
    6 foglie di basilico
    1 pizzico di bicarbonato
    gr. 30 di uva passolina
    gr. 25 di pinoli
    gr. 80 di caciocavallo stagionato grattugiato
    gr. 100 di olio d'oliva
    sale e pepe q.b.

    Mettere a bagno in acqua calda l'uvetta. Tagliare a pezzi il cavolfiore e lessarlo in acqua salata, passarlo poi in un tegame con olio, cipolla tritata, aglio, basilico e pomodori a pezzetti. Quando il composto avrà preso colore, unire un pizzico di bicarbonato, l'uvetta e i pinoli; aggiustare di sale e pepe.
    Lessare la pasta nell'acqua di cottura del cavolfiore, scolarla al dente e condirla con il composto ottenuto, infine spolverare il tutto con il caciocavallo grattugiato.


    Polpette all'agrodolce
    Ingredienti (dose per 6 persone):

    gr. 500 di polpa di manzo tritata
    1 uovo
    gr. 35 di pinoli
    gr. 35 di uvetta
    2 amaretti ammorbiditi nel latte di mandorla
    gr. 35 di fastuca verde
    1 pizzico di cannella
    gr. 30 di zucchero
    ½ bicchiere di aceto bianco
    gr. 100 di olio d'oliva
    sale pepe

    Mescolare la carne trita con gli amaretti, l'uovo, l'uvetta, i pinoli, la fastuca tritata, una presa di sale una di pepe e infine la cannella.
    Formare le polpette e friggerle in olio bollente; quando sono tutte fritte rimetterle nel tegame, unire lo zucchero e l'aceto, quando quest'ultimo sarà sfumato servirle ben calde.


    Mostaccioli di miele

    Per la sfoglia:
    kg. 1 di farina bianca
    gr. 350 di zucchero
    gr. 200 di sugna
    4 uova
    ¼ di latte
    gr. 20 di cremor tartaro
    gr. 15 di bicarbonato


    Per la farcitura:
    gr. 270 di miele
    gr. 270 di mandorle abbrustolite
    gr. 160 di nocciole abbrustolite
    gr. 100 di gherigli di noci
    1 arancia
    gr. 10 di farina
    1 pizzico di cannella in polvere


    Tritare finemente le mandorle, i gherigli di noci e le nocciole. Far bollire il miele a fuoco molto dolce unendo un bicchiere d'acqua. Poi sempre mescolando unire il trito precedentemente preparato, la scorza d'arancia, 10 gr. di farina e la cannella.
    Impastare la farina con tutti gli altri ingredienti indicati nelle dosi; nel preparare la sfoglia, assicurarsi che poi risulti sottile.
    Da questo impasto ricavare dei rettangoli di cm. 10 di lato; su ogni mostacciolo disporre un mucchietto di ripieno, dopo di che chiuderli a forma di ciambelline rotonde, infine, dopo aver praticato dei tagli decorativi sul dorso, mandarle in forno.

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    Piatti tipici della Puglia



    Dalla campagna pugliese una ricchezza di sapori e di tradizioni di una terra situata tra i monti e il mare; formaggi, verdure, vino, olio, e tanto pesce.

    Frittata alla menta: Classica frittata con l'aggiunta di foglie di mentuccia.

    Cappello: Uno dei mille modi in cui si cucinano le melanzane e le zucchine. Si tratta di un timballo farcito con melanzane e zucchine fritte, fette di carne, uova sode e formaggio.

    Calzone: Detto anche panzarotto sono piccoli con vari tipi di ripieno (cipolle, pomodoro, acciughe ecc.) e vengono fritti.

    "Ncapriata": Piatto ricco di sapori composto da una crema di fave secche bollite a lungo in acqua e sale. Si aggiunge alla fine della cicoria o cime di rapa già cotte a parte e condite, a crudo, con olio extra vergine d'oliva.

    Orecchiette: Questa è la classica pasta asciutta della tradizione pugliese in cui l'impasto formato da pasta di semola di grano duro, non viene tirato a sfoglia ma lavorata a mano, da cui si staccano velocemente dei pezzetti di pasta che vengono schiacciati con il pollice a formare una piccola "orecchia".
    Lasciate seccare per qualche ora vengono bollite e condite con un sugo in cui si sono fatte cuocere a fuoco lento le brasciole, oppure bollite e scolate con le cime di rapa e un condimento fatto con aglio e acciughe soffritti nell'olio.

    Brasciole: Involtini formati da fettine di carne con un ripieno di prosciutto, prezzemolo e pecorino grattugiato. Vengono soffritti nell'olio e cipolla, con l'aggiunta di pomodoro. Farli cuocere a fuoco molto lento.

    Alici "Arracanate": Dopo aver spinato le alici, disporle a strati in una teglia aggiungendo un composto formato da pan grattato, trito d'aglio, menta e capperi, cospargere il tutto con origano e olio e passare in forno.

    Taralli: La ricetta vuole che il tarallo, prima di essere infornato, venga immerso per un istante in acqua bollente. Possono essere conditi con pepe oppure con i semi di finocchio.

    Mezze zite al forno con ripieno
    Ingredienti (dose per 6 persone):
    gr. 500 di mezze zite col buco largo
    gr. 200 di carne magra tritata
    5 uova
    gr. 100 di formaggio pecorino grattugiato
    1 manciata di pangrattato
    1 spicchio d'aglio
    1 ciuffo di prezzemolo
    3 uova sode
    olio d'oliva
    gr. 200 di mozzarella
    gr. 100 di prosciutto
    sale q.b.

    Per la salsa
    gr. 800 di pomodori
    gr. 60 olio d'oliva
    basilico/sale

    La salsa viene preparata scaldando l'olio in un tegame unendo poi i pomodori rotti a pezzi con le mani, foglie di basilico e un pizzico di sale e fare andare a fuoco moderato. Mescolare la carne trita con due uova, 50 gr. di formaggio pecorino, pangrattato insaporito con il prezzemolo tritato molto fine insieme a un po' d'aglio. Da questo impasto ricavare delle polpettine della grandezza di una ciliegia e friggerle in olio abbondante e bollente. Affettare la mozzarella e il prosciutto a listerelle e tagliare in quattro spicchi tre uova sode.
    Lessare in abbondante acqua salata le zite e scolarle quando saranno cotte molto al dente. Condirle con il pecorino rimasto e abbondante salsa di pomodoro, aggiungere le polpettine e il prosciutto. Versare la pasta così amalgamata in una capace teglia unta d'olio, mettere tra uno strato e l'altro la mozzarella e le uova sode a spicchi, infine versare la salsa di pomodoro rimasta e mandare in forno ben caldo per circa mezz'ora.

    Carteddate
    Ingredienti (dose per 6 persone):
    gr. 500 di farina
    ½ bicchiere di olio d'oliva
    vino bianco
    gr. 500 di miele o di vino cotto
    zucchero
    anicini da guarnizione
    sale
    Dolce tipico natalizio di tutto l'entroterra pugliese.
    Per prima cosa fare un impasto, che non sia molto duro, con la farina, un pizzico di sale, alcune cucchiaiate di vino bianco e qualche cucchiaiata di olio. Stendere la sfoglia piuttosto sottile, tagliarla a strisce di circa tre centimetri di larghezza e 20 di lunghezza, ripiegare le stesse in modo da formare delle rosette pinzettandole con le dita. Lasciare riposare per circa 8/10 ore e poi friggerle in olio abbondante. Quando si saranno raffreddate immergerle nel miele oppure nel vino cotto. Volendo si possono cospargere con lo zucchero e con gli anicini.

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    Trippa alla romana

    un chilo e 200 gr di trippa pulita, sugo di carne, salsa di pomodori, cipolla, menta romana, chiodi di garofano, basilico, sedano, carote, lauro, formaggio pecorino e parmigiano grattugiati, sale e pepe

    Come preparare
    in una pentola contenente acqua salata mettere a lessare la trippa insieme con una cipolla, qualche chiodo di garofano, una foglia di lauro, due coste di sedano, una carota e due rametti di menta romana. poi tagliare la trippa a listarelle lunghe 5-6 cm. in un tegame possibilmente di coccio, preparare un soffritto con olio di oliva, un trito di odori (sedano, menta, carota) e una noce di burro aggiungendovi poi la trippa insieme con un bicchiere di vino bianco secco. quando questo sarà evaporato unirvi due cucchiai di salsa di concentrato di pomodoro, sale e pepe a piacere e cuocere lentamente. durante la cottura aggiungere di tanto in tanto sugo di carne preparato precedentemente. servire la trippa accompagnandola, a seconda dei gusti, con del pecorino o parmigiano grattugiato. la menta romana non va confusa con la cosiddetta mentuccia che si usa nei carciofi al tegame, nell'acquacotta maremmana, ecc., poiché quest'ultima non appartiene al genere della menta ma è la satureja calaminthia o nepetella.
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    Spezzatino di vitello e patate

    Cosa serve per la ricetta
    un chilo di muscolo di vitello, una carota, una cipolla, farina, una punta di conserva, vino bianco, quattro patate, burro, olio, pepe, sale

    Come preparare la ricetta
    far soffriggere in burro e olio la carota e la cipolla tagliate finissime, aggiungere la carne tagliata a dadini, leggermente infarinata, rosolarla e aggiungere un bicchiere di vino bianco, la conserva, sale e pepe. quando il liquido si sarà assorbito aggiungere le patate tagliate a pezzi. coprire d'acqua e cucinare a pentola scoperta per un'ora e mezza. quando la carne e le patate sono divenute tenere, il piatto può considerarsi pronto.
    Altre ricette con ingredienti
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    I GIANDUIOTTI DOLCI SIMBOLO DEL PIEMONTE



    File:Gianduiotti.jpg

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    Cenni storici sulle origini della cucina siciliana.



    Le ricette tipiche di ogni paese assumono aspetti diversi da zona a zona, in relazione alle influenze di popoli e civiltà che in tempi remoti hanno occupato la nostra isola. Per primi i Greci, ci hanno tramandato dei piatti semplici e genuini legati ai prodotti coltivati nell’entroterra. Gli antichi Romani durante le campagne belliche, prelevavano dall’isola il cibo abituale, il Farro , che la truppa consumava bollito e condito con aglio Agli Arabi si deve la contrapposizione di sapori che vanno dall’agrodolce, all’uso di uvetta, di ripieni piccanti e di mandorle usate per condimenti delle carni.
    Il profumo di cannella , nella crema di ricotta, nel torrone si riallaccia alle antiche corti saracene, mentre le decorazioni elaborate dei dolci, con ornamenti e colori è da ricondursi alla cultura Spagnola.
    L’arrivo dei Francesi segna l’ingresso ufficiale della cipolla stracotta nei condimenti e nei sughi. Alla cucina Francese è da attribuire la pasta frolla, i pasticci di verdure ( focacce )e le frittate di ricotta.
    I paesi dell’entroterra siciliano erano carenti di vie di comunicazione e più volte per vari fattori ambientali rimanevano isolati. Le popolazioni infatti non avevano la possibilità di effettuare scambi commerciali e quindi per la sopravvivenza dovevano inventare dei piatti usando i prodotti ottenuti dalle loro terre. In molte zone l’alimentazione si è basata sull’uso dei legumi ( le proteine dei poveri ), verdure e ortaggi, trasformate in calde zuppe per l’inverno e insalate per i mesi estivi. Gli ingredienti originari di ogni pietanza avevano gusti forti ed esigevano tempi lunghi di preparazione.Il formaggio , frutto della pastorizia locale, diventava un alimento che veniva consumato come prima colazione ( mietitura del grano ), a pranzo come frittata e a cena come condimento all’interno di focacce .
    La cucina attuale risente di tutte queste influenze, soggette ad una naturale evoluzione.L’antico sapore di “farro e aglio” ritorna oggi come uno dei cibi più popolari e più comuni della nostra cucina: “ a pasta cu agghiu e uogghiu”(la pasta con aglio e olio). La pasta occupa un posto di rilievo ma la definizione di alimento “primo” spetta al pane.





    Pane e pasta derivano dal frumento, e la Sicilia sin dai tempi lontani, è stata uno dei più importanti serbatoi di grano di tutta l’area del mediterraneo.Il pane varia nel gusto da paese a paese. Si mangia caldo e fumante, appena fuori dal forno, condito con sale,olio, pepe e origano.Accompagnato da olive nere, da un pezzo di formaggio meglio se tuma, con acciughe e da un pomodoro appena colto. Col pane casereccio raffermo si faceva la “zuppa di pane cotto”una delle minestre povere più popolari e più diffuse nell’entroterra siciliano. Ai bambini si preparava il pane cotto con un piccolo cucchiaio di olio e del pomodoro fresco. In ultimo il pane duro, finemente grattugiato era l’elemento base di tutti i ripieni, serviva ad addensare i sughi troppo lenti, per impanare carne e verdure.Tostato in padella si versava sulla pasta,o mescolato alle olive, ai cardi, carciofi e peperoni.
    Questa “guida”tenta di riscoprire i gusti e i sapori del passato, senza nostalgie, ma con il desiderio di fissare consuetudini e modi della nostra cucina contadina che altrimenti rischiano di andare perduti nel tempo .La cosa importante è conservare il rispetto per la tradizione , saper apprezzare e valorizzare gli ingredienti che costituiscono il fondamento della cucina locale, con erbe e aromi che caratterizzano in modo inconfondibile le pietanze,
    In ogni paese del mondo il cibo non è un’invenzione astratta, ma qualcosa che nasce e si consolida in relazione all’ambiente , al clima e alla popolazione del luogo.

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    Cenni sulla Cucina Pugliese



    Prodotti della tradizione pugliese ad AlberobelloLa cucina pugliese si caratterizza soprattutto per il rilievo dato alla materia prima, sia di terra che di mare, e per il fatto che tutti gli ingredienti sono appunto finalizzati ad esaltare e a non alterare i sapori base dei prodotti usati.

    Pertanto si troveranno tutte le verdure di stagione, dalla cima di rapa al cavolo verde, al cardo, ai peperoni, alle melanzane, ai carciofi, tutti i legumi, dai fagioli alle lenticchie alle cicerchie e alle fave, e tutti i prodotti del mare, in particolare dell'Adriatico; questi ultimi hanno una particolare caratteristica che li distingue, in conseguenza della particolare pastura che si rinviene lungo le sue coste, e dalle polle di acqua dolce che si scaricano in mare, e che servono ad attutire il salmastro, ma non ad alterarne il profumo.

    Peraltro, anche se vi sono dei piatti comuni, le ricette variano da provincia a provincia, e talvolta, da città a città, così per esempio le ricette tipiche delle province di Bari, Brindisi e Taranto, adagiate sul mare, non sono uguali a quelle praticate nella provincia di Foggia, più collinosa, e di Lecce, più terragna.

    Tante sono le ricette che presenta questa cucina, che ha poi una particolarità che la distingue dalle altre, di offrire piatti diversi in relazione alle diverse stagioni, così che durante le stagioni più miti, cioè in primavera e in estate, viene data preferenza alle verdure e al pesce, mentre nelle altre predominano i legumi, la pasta fatta in casa condita con vari sughi, da sola o combinata alle verdure o al pesce.

    Il piatto più tipico è quello delle "Orecchiette al ragù di carne di cavallo", la cui ricetta è ormai diffusa in tutti i ricettari, ma non sono meno conosciute le "Orecchiette con le cime di rapa", la "cicoria con la purea di fave", e quelle che ricollegano il territorio al Mediterraneo, come i "Cavatelli con le cozze" o il riso al forno alla barese chiamato pure patate, riso e cozze.
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    Cenni Storici della Cucina Laziale



    La cucina laziale è rappresentata in gran parte da quella romana nella quale sono convogliate tutte le specialità delle tradizioni culinarie della regione divenendo così un ricco e saporoso riassunto di una gastronomia varia nella quale compaiono apporti di zone confinanti e di altre comunità prima fra tutte quella ebraica che ha lontane radici storiche.Una cucina che in Roma ha difeso dall'ingerenza delle mode e del turismo - meglio di quanto sia avvenuto in altre zone laziali e in altre regioni italiane - la propria genuinità; a Roma infatti si rispetta il passato, lo si tiene in vita - seppure ovviamente arricchendo e personalizzando tale eredità - perpetuando la schiettezza e la gustosa semplicità di una cucina di estrazione popolare che in parte ha coinciso anche nei secoli di maggior splendore con quella papalina e aristocratica per la quale questa cucina rappresentava la quotidianità, mentre per il popolo era un'aspirazione che si concretizzava occasionalmente. E così sono nati proverbi e adagi significativi di tale coincidenza fra la cucina di classi tanto lontane.«Chi se vò imparà a magnà, da li preti bisogna che va», sentenziava il popolo romano aggiungendo che «lo Spirito Santo nun abbotta (= non riempie la pancia)» sapendo che «la panza è fatta pe' li maccaroni, e le chiacchiere pe' li minchioni».Dunque divisi dal rango e dal censo, popolani e nobiluomini furono sempre accomunati dalla loro innegabile propensione per le amatriciane giunte nella capitale dell'Abruzzo, da Amatrice, come dice il nome stesso.La conferma di questo interclassismo è leggibile tra le righe di qualunque menù in vigore nei luoghi base della ristorazione laziale dove netta è la prevalenza delle vivande povere non avendo l'aristocrazia capitolina esportato vivande sontuose come è avvenuto, soprattutto nel Rinascimento, in altre corti.È nota la fortuna che incontrano a Roma e dintorni le frattaglie, le code dei bovini (celeberrima è la vaccinara), le zampe e le guance degli animali da macello, tutto ciò che sotto il Cupolone si chiama il quinto quarto: è la prova incontestabile dello scrupolo che i macellai laziali di una volta mettevano nel recupero d'ogni parte commestibile delle bestie affidate alle loro cure, probabilmente senza prevedere che i rigatoni con la pajata avrebbero conquistato nel XX secolo prìncipi e attori da Oscar.Il cinema italiano - infatti - soprattutto quello degli Anni Cinquanta e Sessanta ha esportato un'immagine romanesca dell'Italia (ricordiamo i personaggi di Manfredi, di Sordi e di Gassman) in cui la cucina aveva uno spazio considerevole, una cucina in cui trionfavano bucatini e spaghetti alla carrettiera, un piatto di origine umbra portato nel Lazio da coloro che si recavano nei boschi per fare il carbone.Lo stesso abbacchio al forno, re delle mense non solo pasquali, nasce come cibo dei pastori, come dire di una categoria sociale quanto meno periferica. I sapori del Lazio appartengono, per dirla in breve, alla cultura delle circostanti campagne: sono tributari, per gli agnelli e i formaggi, dei pastori abruzzesi, per l'olio e il vino dei vicini Colli Albani e delle modeste alture sabine.Specialità legate anche alla produzione ortofrutticola delle campagne laziali dove gli ortaggi sono particolari per sapori e rigogliosità, dove alcune zone si sono specializzate e così la produzione sabina è celebrata soprattutto per l'olio d'oliva, i prodotti del Viterbese fra i quali ha un rilievo particolare la coltivazione delle nocciole, il contributo delle uve e dei vini dei Castelli Romani e dell'agricoltura ciociara, cui si sono aggiunte nel corso del secolo le risorse della piana pontina riscattata dall'abbandono e dalla malaria.Nella letteratura dell'arte della cucina già nel Libro della cocina di Anonimo Toscano troviamo riferimenti alla cucina romana come ad esempio le indicazioni per un pasticcio romano chiamato dal nostro autore "pastello": «Togli polli smembrati, spezie e zaffarano et erbe odorifere: mestali insieme e friggili un poco: poi mettivi ova dibattute e agresta in buona quantità; e intanto facciasi la crosta; componi poi il pastello, facendo due o tre solari (= strati) e a ciascuno solaro mettendo spezie: al di sopra metti lardo e copri il pastello e fa' uno foro nel mezzo dattorno: di sopra forma uccelli di pasta pieni o altri animali che ti piacciano; e postovi del lardo, cuocilo nel forno, e da' mangiare. Simile modo si può fare di cascio fresco con carne battuta».Così Maestro Martino che visse e operò a Roma intorno alla metà del Quattrocento nel suo Libro de arte coquinaria inserisce una ricetta che può ricordare i famosi saltimbocca di antica tradizione.«Per fare coppiette (= pezzetti di carne così chiamati perché devono rimanere attaccati l'uno all'altro) al modo romano: taglia la carne in pezzi grossi como uno ovo, ma non la fornire di tagliare, perché li ditti pezzi devono restare attaccati l'uno con l'altro; et togli un pocho di sale et de pitartema, cioè il seme di coriandri, o vero finocchio pesto, et imbrattane bene li ditti pezzi, et dapo' poneli un pocho in sopprescia (= in pressione tra due assi) et coceli in lo speto arrosto mettendo in esso speto tra l'uno pezzo e l'altro una fettolina di lardo sottile per tenere le dicte copiette più morbide».Ma ricorda anche i «Maccaroni romaneschi» che però in realtà per nulla ricordano gli attuali maccheroni rispecchiando invece i gusti del tempo soprattutto nell'uso del burro e delle spezie dolci: «Piglia de la farina che sia bella, et distemperala et fa' la pasta un pocho più grossa che quella de le lasangne, et avoltola intorno ad un bastone. Et dapoi caccia fore il bastone, et tagliala la pasta larga un dito piccolo, et resterà in modo de bindelle (= strisce sottili), overo stringhe. Et mitteli accocere in brodo grasso, overo in acqua secundo il tempo. Et vole bollire quando gli metti accocere. Et se tu gli coci in acqua mettevi del butiro frescho, et pocho sale. Et come sonno cotti mittili in piattelli con bono caso, et butiro et spetie dolci». L'espressione secondo tempo significa a seconda che sia giorno di grasso o di magro perché nei giorni di magro non era ammesso neppure il brodo di carne avendo la Chiesa cattolica (come tutte le religioni) posto da sempre limiti e indicazioni alimentari legate a tradizioni, realtà climatiche e igieniche che potevano avere influenza sulla condotta morale del popolo.Una ricetta simile si trova nell'opera di Cristoforo Messisbugo con il titolo «A fare dieci piatti di maccheroni romaneschi» dove è ribadita la distinzione fra "i giorni che non sono da carne" e quelli liberi da astinenze.Ma non possono mancare gli ortaggi nell'antica cucina romana e così compaiono i «Cavoli a la romanesca», cavoli rifatti con il lardo e il brodo grasso per rendere questo cibo più nutriente.Più raffinato il gusto dei vini che trionfavano nel Rinascimento (alla corte di Papa Paolo III) come ci indica Sante Lancerio nella sua lettera al cardinale Guido Ascanio Sforza (nipote di Paolo III) dalla quale sono presi in considerazione i vini di tutta Italia - della Toscana, del Lazio, della Campania, della Calabria, della Sicilia, della Corsica, della Liguria e anche della Francia e della Spagna - tanto che a buon diritto questa lettera viene considerata il primo testo a cui la letteratura enologica italiana si deve riferire.Inoltrandoci nel Rinascimento incontriamo l'opera di Bartolomeo Scappi di cui ci interessa qui sottolineare che ebbe il compito di allestire un grande convito in onore di Carlo V trovandosi al servizio del cardinale Lorenzo Campeggi e soprattutto il banchetto celebrativo per il primo anniversario del pontificato di Pio V. E ancora una volta ci troviamo di fronte a piatti popolari come nella preparazione del piatto «Per far polpettoni alla romanesca di lombolo di bove o di vaccina». «Piglisi la parte più magra del lombolo, priva d'ossa e di pelle e di nervi, e taglisi per traverso in pezzi grossi di sei once l'uno, spolverizzandoli di sal trito e fiori di finocchio, over pitartamo, pesto con spezierie communi, e ponendovi quattro lardelli di presciutto vergellato (= vergato di grasso e di magro) per ciascun pezzo; e faccianosi stare in soppressa con la detta composizione et un poco di aceto rosato e sapa (= mosto cotto) per tre ore, e da poi spedinosi con una fetta di lardo tra l'uno e l'altro pezzo, con foglie di salvia, over di lauro, facendoli cuocere con fuoco temperato. Cotti che saranno, vogliono esser serviti così caldi con un sapore sopra, fatto con quel liquore che casca da essi e mescolato con quella composizione che fecero quando furono in soppressa, il qual sapore vuole avere un poco di corpo e darsegli il colore di zafferano. In questo modo si possono accomodare i lombi delle vitelle camporecce e mongane e d'ogni altro animal quadrupede».Oppure nella ricetta «Per far minestra di caulo struccato (= spremuto) alla romanesca» che anche nelle indicazioni dello Scappi sono rifatti con il lardo.Così come il famoso Francesco Leonardi (attivo nella seconda metà del Cinquecento) nel suo Apicio moderno fra tante squisitezze e raffinatezze che propone, per quanto riguarda la cucina romana ci fornisce la ricetta della «Trippa di manzo alla romana» che per quanto elaborata sempre trippa rimane, alimento proprio della cucina povera. «Quando la trippa di manzo sarà ben pulita e lavata, fatela cuocere con acqua, sale, una cipolla con tre garofani, un mazzetto di petrosemolo con sellero, carota, due spicchi d'aglio, mezza foglia d'alloro; fatela bollire in una marmitta a picciolo fuoco sei o sette ore, che sia ben schiumata; quando sarà cotta, tagliatela in quadretti, mettetela in una cazzarola con un pezzo di butirro, sale e pepe schiacciato, passate sopra il fuoco, aggiungeteci un poco di spagnuola (= sorta di salsa a base di vino di Porto) e culì. Abbiate un piatto con un picciolo bordo di pane o di pasta, fate un suolo di parmigiano grattato e un suolo di trippa, e così continuate fino a tanto che il piatto sia sufficientemente pieno, terminando col parmigiano grattato, nel quale avrete cura di mescolare un poco di menta trita; ponete alla bocca del forno o sulla cenere calda acciò prenda sapore, e servite ben calda».Così il milanese Giovan Felice Luraschi nella sua opera Novo cuoco milanese economico fra arrosti, gelatine, capponi e salse varie per quanto riguarda la cucina romana ricorda la ricetta di zuppa di broccoli: «Fate imbianchire nell'acqua salata i fiori del broccolo con una mezza quarta (= misura di peso corrispondente a duecento grammi) di cicorino novello tagliato a piccoli pezzi, fateli confinare (= restringere) in buon coulì (= forma italianizzata dal francese coulis, specie di sugo concentrato), bagnate il pane, tagliato a dadi e passato al butirro, con buon sugo e versate sopra il composto».Di estrazione popolare, dunque, la cucina romana e laziale fin dai tempi più antichi, ma ricca di sapori e tale che poté comparire sulle tavole anche dei signori, ricca di apporti di preparazioni provenienti da altre zone.La cucina laziale è dunque ben rappresentata da quella più propriamente romana essendo essa un saporoso riassunto delle tradizioni culinarie della regione arricchito da piatto di regioni confinanti o di comunità di paesi lontani presenti nell'Urbe. Molti i piatti, gli alimenti e le usanze assunte in Roma dalla campagna, ma specialmente dalla CIOCIARIA, la zona che corrisponde all'incirca alla provincia di FROSINONE.Una regione laziale che deve il suo nome, di uso popolare, alle caratteristiche calzature di antichissima origine fatte da un pezzo di cuoio rettangolare, più grande della pianta del piede, intorno alla quale è rialzato per mezzo di spaghi che passano nei buchi degli orli, s'intrecciano sulla parte inferiore della gamba avvolta da una pezza di tela bianca. Una calzatura tipica dei contadini e dei pastori il cui uso dalla Ciociaria si estende a territori confinanti dell'Abruzzo e della Campania.Ricordiamo ad esempio la «provatura fritta». La provatura è una sorta di mozzarella: il nome deriva da prova, cioè l'assaggio del cacio fatto dai casari per controllarne la filatura della pasta. Il "campione di fusa" corrisponde grosso modo per quantità alla grandezza di una mozzarella. Dunque questo piatto altro non è che la mozzarella fritta frequentemente presente negli antipasti romani assieme alle frittate con la ricotta, insaporite da qualche erba aromatica, prima fra tutte la menta. Particolare è la frittata burina che viene fatta con cuori di lattuga mescolati alle uova assieme a pezzetti di formaggio. La denominazione "burina" ci fa supporre che sia di origine romagnola, visto che a Roma burini erano chiamati i contadini romagnoli che fino a tutto l'Ottocento venivano a lavorare la terra nell'agro romano; oggi il termine è molto in uso come sinonimo di rozzo.Tipica di questa zona è la frittata all'aglio che si fa solo in primavera perché l'aglio deve essere freschissimo. Ricordiamo anche il pancotto, la minestra fatta con pane raffermo presente in tutta la cucina contadina del centro-sud del nostro paese con molte varianti. Quella laziale è fra le più semplici, ma non per questo meno saporita.Dalla Ciociaria proviene anche un'altra minestra "povera", la zuppa di fagioli e cipolle i cui ingredienti sono fagioli e cipolle in ugual misura e un po' di pancetta (sale e pepe e, alla fine, un filo d'olio crudo).E visto che nelle campagne della Ciociaria l'allevamento degli ovini è molto praticato, ricordiamo tutti i piatti a base di agnello. Non ci riferiamo tanto all'«abbacchio scottadito»(costolette e pezzi di agnello cotti con l'osso che i romani mangiavano ai pranzi con le mani, scottandosi appunto le dita), quanto ai piatti più poveri come la coratella di abbacchio, le animelle al prosciutto, la pajata fatta con le budelline, tutti piatti che usano le parti di recupero.Abbacchio è un termine in uso solo a Roma e nel Lazio con cui un tempo si designava l'agnellino di età compresa fra i venti giorni e il mese: oggi la denominazione è piuttosto elastica e spesso l'abbacchio può avere età e dimensioni ben maggiori.L'agnello in questa zona viene cucinato in molti modi; particolare l'agnello brodettato, cotto in tegame con prosciutto crudo, erbe aromatiche e vino bianco e arricchito da una salsina fatta con tuorli d'uovo, prezzemolo, maggiorana e succo di limone; quello alla cacciatora prevede le acciughe ma non il pomodoro.Fra gli ortaggi dominano i carciofi e le insalatine di vari tipi. I carciofi vengono cucinati con i piselli e il prosciutto o con la menta, mentre quelli alla giudia, appartenendo alla cucina ebraica, sono tipicamente appartenenti alla cucina della capitale.Nei dolci domina la ricotta: così ottimo è il budino alla ricotta insaporito con limone, cannella, rhum, scorza d'arancia e cedro canditi e la crostata di ricotta che pure prevede la cannella e la frutta candita.Altra cucina che si può individuare in quella laziale è quella che si è sviluppata nel territorio di VITERBO, centro agricolo-commerciale notevole, con qualche industria alimentare. Si coltivano soprattutto l'olivo, il frumento e la vite che dà prodotti molti pregiati come il famoso vino di Montefiascone, il Gradoli e il Vignanello, tanto per fare degli esempi. E del lago di Bolsena, che prende il nome dall'antica omonima città etrusca, nell'arte della cucina dobbiamo ricordare le famose «anguille alla bisentina» che derivano il loro nome dalla Bisentina, un'isoletta che sorge in mezzo al Lago dove si pescano appunto ottime anguille che hanno dato vita a un famoso proverbio «Vino de Montefiascone e anguilla de Bolsena, nun c'è mejo cena». Un piatto in cui le anguille infarinate e fritte vengono insaporite con aceto bianco di buona qualità, abbondante pepe e alloro.Fra gli altri piatti che provengono da questa zona ricordiamo le antiche «pizzacce», frittate realizzate con uovo, farina e latte, sulle quali viene grattato del formaggio pecorino e che vengono spolverate con un velo di zucchero cannellato; vengono servite arrotolate in bell'ordine sul piatto di portata. Diffusa è anche la «zuppa casereccia», una zuppa alla contadina cucinata con i fagioli che si producono nella zona, i cosiddetti "quarantini" perché maturano in circa quaranta giorni, ma si possono usare anche i cannellini o altri fagioli purché piccoli e teneri. Con i fagioli sono previsti il sedano, la lattuga, l'aglio e il pomodoro. Si serve con pane casereccio tostato in forno. Ricordiamo inoltre un'altra zuppa di fagioli che proviene da antichi monasteri ed è denominata «imbracata», perché arricchita di tagliatelle e cotenne; un piatto sostanzioso a cui pare si riferisca il proverbio «chi se vò imparà a magnà, da li preti bisogna che và».Le «fettuccine alla burina» sono tipiche di tutto il Viterbese e vengono condite con piselli, funghi secchi, prosciutto cotto e panna. E infine ricordiamo le «olive di Montefiascone» insaporite con una salsina composta di succo di limone, scorza di arancia e di limone, aglio, timo e olio; si servono bene come aperitivo con del buon vino bianco della zona. Un contributo individuabile nella gastronomia laziale è anche quello offerto dalla cucina della provincia di RIETI che risente della vicinanza con l'Abruzzo, terra che ha fornito piatti e influenze. Ricordiamo gli «stracci di Antrodoco», paese già appartenuto alla zona dell'Aquilano. Sono frittatine ottenute con uova, latte e farina, riempite di ragù, spolverate di formaggio grattugiato, ricoperte con altro ragù e fatte gratinare in forno.Del paese del Reatino, Amatrice, sono tipici sia i ben noti «spaghetti o bucatini all'amatriciana», sia la famosa mortadella: un salame crudo di carne di maiale ripetutamente passato alla macchina sino a ricavarne una pasta molto fine. A differenza della mortadella tradizionale non vi sono qui lardelli sparsi ma uno solo, bianco e piuttosto grosso, che la attraversa per il lungo. Oltre alla forma comune di gustarla - mortadella e pane - l'usanza locale suggerisce di accompagnarla con carciofini sott'olio, altra specialità del luogo.Dalla costa tirrenica meridionale nella quale si apre un grande golfo il cui mare è molto pescoso e al cui interno sono le città di Terracina, Gaeta e Formia e di fronte il gruppo delle Isole Ponziane alla cucina laziale derivano alcuni (non molti) piatti marinari tipici. La città che dà il nome al golfo è GAETA, l'antica Caieta, che la leggenda virgiliana volle dedicata nel nome alla nutrice di Enea.Un mare ricco di crostacei per cui ricordiamo "le mazzancolle" che nel dialetto laziale indicano i gamberoni che vengono pescati in estate. Il modo tipico per cucinarle è quello di farne una frittura dopo averle liberate del guscio e di rifarle in tegame con vino bianco e limone.E così le «sogliole gratinate» ridotte a filetti messi a marinare per qualche ora in un recipiente concavo con olio, succo di limone e aglio tritato finemente: i filetti si cuociono poi alla graticola bollente e si accompagnano con una buona insalata mista.Ricordiamo inoltre i calamari ripieni e le aragoste che vengono usate anche per un ottimo sugo per la pasta, preferibilmente penne. Ottima anche la più modesta «zuppa di vongole» alla marinara che si serve versandola su fette di pane raffermo.La cucina della MAREMMA LAZIALE risente di quella toscana che nelle sue specialità è più legata all'entroterra che al mare. In questa terra ricca di cinghiali, la Maremma vanta varie ricette per cucinare le diverse parti di questo animale. Ricordiamo il «coscio in agrodolce», una ricetta rinascimentale raffinatissima che richiede palati di buongustai; gli ingredienti danno un'idea della complessità di questo piatto; oltre al coscio di cinghiale infatti sono previsti: cipolla, carota, aglio, sedano, alloro, timo, vino rosso, aceto, vino bianco, uva sultanina, pinoli, cedro candito, cioccolato fondente, zucchero, olio, sale e pepe.Non è da tutti apprezzare questo piatto che diventa sempre più raro a favore - quando il cinghiale è giovane - del coscio cotto in forno, lardellato con un battuto di pepe e rosmarino e qualche foglia di alloro.La cucina povera di questa terra, che in passato ha conosciuto una grande povertà, ancora oggi offre gustose zuppe che fra loro presentano ben poche differenze: tutte infatti utilizzano il pane raffermo con cui si fanno il «pancotto» o l'«acqua cotta» (che può essere arricchita con l'uovo fresco) o altre zuppe con le verdure di cui la zona è ricca. Ricordiamo gli apporti del bosco ricco di funghi di varie qualità cucinati in diversi modi, di asparagi selvatici che si mangiano lessi o in frittata così come i prati e i campi forniscono ottime insalatine selvatiche con cui si arricchisce la famosa misticanza.E infine dalla vicina UMBRIA derivano alcuni piatti ormai storicamente entrati nella cucina laziale. Primo fra tutti gli «spaghetti alla carbonara» importati nel Lazio dai carbonari, dagli uomini che fino ai primi decenni del Novecento si recavano nei boschi di questa terra a fare il carbone di legna. Un piatto sostanzioso che prevede un sugo fatto con il guanciale di maiale tagliato a dadini e cotto in padella con olio e aglio; una crema di uova, parmigiano e pepe, in cui saranno versati gli spaghetti cotti al dente che saranno ricoperti con altro parmigiano e il sugo del guanciale.Ma nella tradizione della cucina romana è passata anche la ricetta proveniente da Norcia degli «spaghetti alla gricia» conditi con un preparato di guanciale e peperoncino e spolverati con parecchio pecorino grattato.La cucina ROMANA vera e propria vanta una serie di piatti che si trovano nelle offerte di molte trattorie della capitale, prime fra tutte quelle del quartiere di Trastevere molto frequentato sia da romani che da turisti. Ne ricordiamo alcuni fra i più tipici e diffusi. I «pomodori interi ripieni» di riso crudo insaporito nell'acqua dei pomodori e un battuto di menta, basilico, aglio e acciughe e cotto in forno per almeno un'ora. I molti modi per usare la mozzarella, dal «pan dorato» al ripieno dei fiori di zucca; ma anche la ricotta è presente oltre che nei ravioli in molte altre preparazioni, sia per condire la pasta che per fare i dolci. Con il semolino si fanno i «gnocchi alla romana» conditi con burro e parmigiano e cotti in forno; e, sempre per rimanere nell'ambito dei primi piatti, molto noti sono gli «spaghetti alla carrettiera» così chiamati perché un tempo erano il piatto preferito dai carrettieri che portavano a Roma il vino dei castelli: si tratta di spaghetti conditi con un sugo fatto con funghi secchi, pomodoro, aglio, prezzemolo e tonno.Le «lumache alla romana» sono dette anche di San Giovanni, visto che vengono preparate dagli osti romani nella notte di San Giovanni, fra il 23 e il 24 giugno, notte in cui si svolge una grande festa nei quartieri più vecchi della città. Dopo averle fatte ben bene spurgare si tolgono dal guscio facendole lessare; si mettono poi in un tegame dove si è preparato un sugo di pomodoro con un battuto di aglio, acciughe e peperoncino, cotto con un mazzetto di menta. Le lumache devono cuocere in questo sugo per almeno un'ora.Fra i piatti di carne dominano la «coda alla vaccinara», i «saltimbocca alla romana», lo «stufatino alla romana», piatti tutti che prevedono l'uso del vino che ha dato origine a vari proverbi dialettali come: «Anni e bicchieri de vino, nun se conteno mai» o «Chi magna senza beve, ammura a secco».Particolare è anche il «garofolato di manzo», il cui intingolo, chiamato garofolato per l'aroma dei chiodi di garofano, viene usato per condire la pasta o per preparare la «trippa alla trasteverina». Il garofolato è un arrosto di girello di manzo steccato con pezzetti di lardo, parecchi chiodi di garofano e aglio a fettine, cotto a fuoco lento per un paio d'ore con cipolla, olio e burro in un tegame di coccio con sedano affettato e pomodoro.La trippa sarà passata in forno arricchita con il sugo del garofolato e pecorino grattato, con un battuto di menta, un'erba aromatica molto usata nella cucina romana, ma indispensabile per la trippa come dice il proverbio «A la trippa la menta, ar pisello er prosciutto; e su tutt'e dua mettece un gotto».Oltre alla trippa, sempre fra le parti povere del manzo, ricordiamo due piatti di antica origine popolare che ancora si trovano presso gli osti romani: la «milza in umido» insaporita con salvia, aglio, aceto, acciuga e pepe e il «rognone al pomodoro» cotto con un sugo di cipolla, pomodori, prezzemolo, vino bianco e pepe.Particolarmente saporito è il «pollo alla romana» che viene prima rosolato in un soffritto di burro, prosciutto tagliato a dadini, aglio e maggiorana tritata, poi spruzzato con il vino bianco e poi cotto con pomodori e peperoni.Fra le insalate domina quella delle «puntarelle all'acciuga» che si servono in accompagnamento con carni o pesci arrosto.Nel campo dei contorni ricordiamo i carciofi che vengono preparati in vari modi: i più famosi sono di derivazione ebraica: «carciofi alla giudea», diffusi nella cucina del ghetto da cui i romani li hanno esportati; sono carciofi ben puliti e fritti interi in abbondante olio; ma i carciofi si cucinano anche alla menta, «carciofi alla romana», o con i piselli che pure accompagnano molti piatti, cucinati con prosciutto crudo e cipolla.Infine i ceci (ma naturalmente anche i fagioli che però nulla hanno di tipico essendo presenti in tutta la cucina italiana). I ceci richiedono rigorosamente il rosmarino sia che servano per la «pasta e ceci», sia come contorno.Un accenno meritano le salse, particolarmente la «salsa alle erbe» e la «salsa alla Vestale». La prima è profumatissima e in grado di sollevare il sapore di tutti i piatti a base di carne arrosto, ma si accompagna in maniera superba soprattutto al maiale e al cinghiale. Ecco le indicazioni per la preparazione: «far rosolare cinquanta grammi di burro con settanta grammi di prosciutto piuttosto grasso, tagliato a dadini con due cipolle e una carota affettate finemente: quando il grasso del prosciutto sarà sciolto, aggiungere un mazzetto di prezzemolo tritato, tre spicchi d'aglio, due foglie di alloro e un po' di basilico tritati. Far cuocere per qualche minuto e bagnare con un bicchiere d'aceto che sarà fatto evaporare a fuoco vivace. Aggiungere un po' di midollo di vitello e una punta di peperoncino rosso tritato e far cuocere per una decina di minuti. Togliere il grasso formatosi e passare il tutto al setaccio, aggiungere il sale e mescolare bene».La «salsa alla Vestale» ha origini antichissime, origini che risalgono all'antica Roma e proviene da ambiente sacro, visto che le Vestali erano le vergini addette al culto della dea Vesta e custodi del fuoco sacro della città. È composta da carne di vitello, prosciutto, cipolla, carne di pollo, mandorle dolci, rosso d'uovo, mollica di pane, coriandolo, brodo, panna e burro.Una salsa che - come tutte quelle del mondo antico - è nata per coprire i cattivi odori degli alimenti che venivano conservati con grande difficoltà. Oggi è un accompagnamento ricercato per polli, piccioni e arrostini di vitello.Fra i dessert che non sono molti oltre alle varie focacce e pizze dolci, ricordiamo il «budino di ricotta», le «fragole in aceto», le «fave alla romana», dolce tipico del giorno dei morti, così remoto nel tempo da essere citato nei testi più antichi.Ma si trovano anche i tozzetti, i mostaccioli, antichi dolcetti a base di farina, zucchero, fichi secchi, canditi e uva passa; sono di origine antica e il nome deriva dal latino mustaceum che significa «focaccia di notte», derivato da mostum, mosto, perché preparata con farina mescolata al mosto.Dunque, se - come abbiamo detto - nella cucina romana e laziale mancano le ricercatezze altrove ereditate dalle corti rinascimentali (di cui una delle poche eredità è il pasticcio di maccheroni detto del Papa Bonifacio VIII), se la sua origine è contadina e popolare, non possiamo però definirla povera, perché, anche grazie alle influenze dovute al fatto che Roma è un crogiuolo di persone appartenenti a varie culture, questa gastronomia è ricca e varia, frutto appunto di vari apporti e spesso impreziosita da varie tradizioni assai persistenti.


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    Per tutti coloro che vogliono postare le ricette in questa sezione.
    Mi raccomando di postare le ricette ognuna nella propria categoria (es. i Primi Piatti nei Primi Piatti, i Contorni nei Contorni, ecc....) onde evitare di doverli spostare, di incasinare la sezione....che è stata sistemata ultimamente.
    A tutti un grazie per la fattiva collaborazione.......

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    Cominciano bene...I giochi...:(
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    Scroccafusi - Palline di Carnevale



    Zoom

    Fonte
    La cucina regionale italiana del 2008

     

    Ingredienti
    400 g di farina bianca
    5 uova
    350 g di zucchero
    2 cucchiaini di liquore Mistrà
    1 limone non trattato
    5 cucchiai di olio extravergine d'oliva
    vini consigliati
    Pergola Passito (rosso)
    Erbaluce di Caluso Passito (bianco)

    Preparazione:
    1)Versate le uova in una terrina, unite 300 g di zucchero e lavorare il tutto energicamente fino a ottenere una crema omogenea. Profumatela con il liquore e 1 cucchiaio di scorza di limone grattugiata.
    2) Incorporate a questo punto anche l¿olio e la farina versata a pioggia e mescolate tutti gli ingredienti fino a ottenere un impasto liscio e leggero. Ricavate dalla pasta tante pallottoline grandi quanto una noce, che immergerete per un istante in acqua bollente utilizzando una schiumarola.
    3) Preriscaldate il forno a 160 °C. A mano a mano che li avrete sbollentati e ben scolati, distribuite gli scroccafusi su una placca ricoperta con carta da forno. Spolverizzateli con il rimanente zucchero e infornateli per circa 20 minuti. Estraete la placca dal forno e fate leggermente intiepidire i dolcetti prima di servirli.
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    ORECCHIETTE CON LE CIME DI RAPA

    Ingredienti per 4 persone: 400 g. di orecchiette fresche, 1 kg di cime di rapa, 2 spicchi d’aglio, olio extravergine d’oliva, sale e peperoncino


    Preparazione:
    Lavate e mondate le rape prendendone solo le cime e le foglioline più tenere. Fatele cuocere in abbondante acqua salata e dopo una ventina di minuti scolatele conservando l’acqua di cottura. In una padella soffriggete l’aglio e il peperoncino fino a farlo dorare. Cuocete le orecchiette nell’acqua di cottura delle rape, se necessario aggiungete un po’ di sale. Saltate le orecchiette e le rape nella padella dove prima avete fatto soffriggere l’aglio, mescolate bene e servitele calde.



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