La panchina di Mariella Forever

IL CAPPELLAIO RACCONTO

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    Entrò nel suo piccolo negozio dopo aver sollevato la pesante saracinesca metallica alle otto e quindici precise, come sempre era avvenuto fin dal primo giorno di apertura, epoca che si perdeva indietro nel tempo. Stimato ed onorato da tutta la gente che abitava e lavorava in quella stessa via, il cappellaio era orgoglioso di questa riconoscenza, assolvendo con dedizione alla funzione di decano dei commercianti, unico piccolo diversivo che gli consentisse di movimentare un'esistenza altrimenti piatta e monotona.
    Chiuse l'ombrello guardando il cielo grigio che da almeno due giorni scaricava acqua senza sosta e senza dar segno di voler smettere. Tutta quell'umidità gli era entrata dentro le ossa accumulandosi nelle articolazioni e procurandogli delle fitte lancinanti. Prima di sedersi dietro il bancone eseguì il solito controllo della merce sugli scaffali, un rito quotidiano immutabile nel tempo e nella forma, utile più che altro a soddisfare le proprie nevrosi ed i propri complessi.
    Alle otto e trenta in punto si sedette sulla sua sedia da cui non si sarebbe più alzato, se non per servire qualche raro cliente, fino all'ora di chiusura, alle otto della sera. Da molto tempo non andava più nemmeno a casa per desinare preferendo farsi portare il cibo direttamente in negozio dal garzone di una rosticceria situata nelle vicinanze. Gettò uno sguardo privo di emozioni verso un portaritratti d'argento su cui aveva inserito la fotografia della moglie, una donnina piccola ed insignificante, morta ormai da quasi un decennio. Pensò con nostalgia a quando ancora si concedeva il piacere di una breve passeggiata necessaria per raggiungere la casa all'ora di pranzo e per il successivo ritorno in negozio dopo aver mangiato.
    Aprì il quotidiano appoggiato sul bancone, un'edizione del giorno precedente che gli veniva procurata dal giornalaio di fronte, a cui aveva regalato un vecchio cappello qualche anno addietro, e si sentì pronto ad affrontare il mondo. Il suo piccolo mondo, l'unico a lui noto, quella stretta via situata al centro della città.
    Mentre leggeva le notizie della pagina locale, un trafiletto situato in fondo attirò la sua attenzione.
    "Nella giornata di domani, alle ore sedici e trenta, verrà inaugurata la nuova sartoria moderna, in via degli orefici al civico 46."
    Allibito, rilesse di nuovo quelle poche righe, poi controllò che il giornale fosse del giorno precedente, come effettivamente era. Venne allora assalito da un'inquietudine sconosciuta, che si tramutò in breve in una rabbia soffocata nel silenzio del suo carattere introverso. Non gli avevano detto niente, a lui che era il decano, che aveva il dovere e l'onore di rappresentare tutte le attività commerciali della via il giorno dell'inaugurazione. Era lui che avrebbe dovuto porgere al sindaco le forbici per il taglio del nastro tricolore, ed era sempre lui che avrebbe dovuto salutare ufficialmente i proprietari della nuova sartoria a nome di tutti i negozianti.
    Tutti quegli anni di placida calma, di tranquillità apparente vennero cancellati da un sordido rancore che poco alla volta lo avvelenò, diventando prima risentimento, poi ira ed infine cupo e profondo odio verso i responsabili di quella azione improntata ad una chiara mancanza di rispetto.

    L'astio per tutto ciò che lo circondava divenne in breve il suo nuovo cibo, il distillato di una vita trascorsa nell'ignavia e nella mediocrità, vissuta nel risparmio delle emozioni e alla vana ricerca non di un significato, che avrebbe comportato la necessità di porsi delle domande, ma di uno scopo, di un motivo qualsiasi che potesse spiegargli il perché, in un dato momento, il suo corpo avesse preso vita.
    Guardò fuori, l'acqua continuava a scendere senza voler dar segno di smettere, i lampioni dell'illuminazione pubblica ancora accesi riflettevano la propria luce sull'acciottolato lucido, confondendosi con i riflessi variopinti delle vetrine dei negozi. La vetrina del negozio del cappellaio però era spenta e la saracinesca abbassata.
    Stava ritornando a casa, camminando sotto la pioggia al riparo dell'ombrello e con in testa il suo classico borsalino, lo sguardo vitreo e la mente persa in pensieri di complotti orditi ai suoi danni. Non si accorse delle due persone ferme davanti al suo negozio, che lo stavano chiamando cercando di attirare la sua attenzione con ampi movimenti delle braccia.
    Appena entrato in casa sistemò per bene il suo ombrello in maniera che non bagnasse il pavimento, appoggiò soprabito e cappello sull'apposito appendiabiti, tolse le scarpe e si distese sul letto, nell'oscurità di una stanza asfittica e polverosa che non vedeva la luce del giorno da tempi immemorabili. Lentamente allungò un braccio a lato, appoggiandolo sopra la coperta. Rassicurato da quel contatto, si addormentò.
    Lo trovarono dopo una settimana, in quella stessa posizione in cui si era addormentato. Un infarto gli aveva lacerato il cuore. Di fianco al cadavere c'era un vecchio quotidiano spiegazzato.
    Quando si diffuse la notizia, i due che tentarono inutilmente di attirare l'attenzione del cappellaio quel giorno che tornò a casa anzitempo, riuscirono a darsi una risposta per quello strano comportamento pensando che evidentemente si era sentito male.
    - Peccato, però, che non sia riuscito a venire all'inaugurazione. Gli sarebbe
    piaciuta la sorpresa che avevamo preparato, pensa il sindaco in persona gli
    avrebbe consegnato il diploma al merito di cittadino esemplare! -
    - Già, poveretto. -
    Così dicendo passarono davanti al negozio del cappellaio, guardando la vetrina. Per la prima volta notarono un po' di polvere depositata sui cappelli esposti.
    autore anonimo
     
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