La panchina di Mariella Forever

A Detroit con Marchionne: “Chi vuole bene all’Italia deve accettare il nuovo”

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar


    Group
    Administrator
    Posts
    305,168
    Location
    Emilia Romagna

    Status
    Anonymous

    A Detroit con Marchionne: “Chi vuole bene all’Italia deve accettare il nuovo”
    L’ad di Fiat-Chrysler: «Qui in America si guarda davvero al futuro. Per noi la sfida è la stessa, ma il sistema del passato non regge più»


    Non c’è città migliore per analizzare gli alti e bassi del capitalismo americano.

    Nella sua storia, Detroit è stata patria dell’automobile, capitale della rivoluzione industriale moderna, madrina di un’industria che ha cambiato il mondo. Ma anche epicentro di odio razziale, cattiva amministrazione sia politica sia aziendale e sfacelo quasi totale. E poi, dopo la crisi finanziaria, centro di rinascita di settori vecchi e nuovi, esempio di senso civico che sconfigge la bancarotta cittadina e aziendale, ricettacolo di lavoratori e imprenditori che non vogliono accettare la sconfitta.
    Nel corso del mio viaggio nella ripresa americana incontreremo tanti esempi di nuovo: nuove industrie che nascono dal nulla; nuovi posti di lavoro creati sulle ceneri del passato; nuove generazioni che subentrano ai padri e nonni. Ma sono a Detroit per capire se il rinnovamento di un’industria storica come quella dell’automobile possa aiutare l’economia quanto settori nuovi di zecca, come la stampa a tre dimensioni dell’Ohio, gli orologi di Shinola (vedi pezzo accanto) e la marijuana legale del Colorado. E se l’Italia e l’Europa possano imparare dall’esperienza degli Usa in questo campo.



    Lo chiedo a Sergio Marchionne in uno stabilimento-simbolo del rinnovamento: l’impianto che produce la Jeep Grand Cherokee e un po’ di Dodge Durango. Fu rilevato nel 2009 quando Fiat, con l’aiuto del governo Obama, scommise su una Chrysler sul baratro. «C’è un fatto semplice in questo Paese: non c’è niente di immorale nel fallire, nel non riuscire in un’impresa e quindi ricominciare da capo», mi dice l’amministratore delegato della Fiat Chrysler. «Non c’è il classico stigma di essere un fallito. Questa è una cosa che fa parte proprio della cultura americana, il fatto di poter ripartire anche da condizioni disastrose».



    L’edificio in cui ci siamo incontrati è un microcosmo di questa capacità quasi innata dell’America di superare le difficoltà del passato. Chi lo stabilimento se lo ricorda nei giorni di fuoco del 2009, parla di locali sporchi, in cui la manutenzione era più o meno inesistente e l’inefficienza abbondava. Quello che ho visto questa settimana è una macchina ben oliata, un po’ come la Grand Cherokee che mi trasporta nel viaggio, in cui più di 4000 dipendenti lavorano notte e giorno per produrre centinaia di migliaia di Jeep esportate in 135 Paesi.



    Per Marchionne, che è nato a Chieti ma ha lavorato e vissuto in Canada e in America, questo non è un caso isolato. «L’altra cosa che credo che sia fondamentale nella cultura americana è credere nel futuro, di essere veramente indirizzati verso un futuro diverso dal passato, di vedere tutto come fattibile», sostiene. «L’impossibile in questo Paese non esiste. Poi che sia vero o meno è una considerazione quasi secondaria».



    Un futuro che però nel caso della Chrysler, della General Motors e di decine di banche americane, non sarebbe stato possibile senza enormi aiuti governativi. Come è possibile far convivere il Sogno Americano della libera impresa e dell’individuo con l’assistenza di Stato stile-Europa? Marchionne non accetta la premessa.

    «Qua ci sono due concetti completamente diversi», spiega. «Uno è l’intervento statale all’europea che vede lo Stato, come un attore, coinvolto in una maniera permanente, o quasi permanente, nello sviluppo economico del Paese; l’altro sono gli interventi sporadici del governo americano che in caso proprio di fallimenti strutturali di un sistema di gestione finanziaria e dei mercati interviene per ristabilire un certo ordine e una certa calma nella gestione degli affari».



    A pochi metri da noi, le foto della visita di Obama allo stabilimento ricordano a tutti quel momento incredibile nella storia degli Stati Uniti e forse del mondo. Una superpotenza economica costretta a salvare società con l’acqua alla gola con i soldi dei contribuenti mentre il sistema finanziario globale stava implodendo. Nel caso della Chrysler, i contribuenti sono stati ripagati in anticipo e con gli interessi. Circa 8 miliardi di dollari di prestiti, con tassi d’interesse fino al 19,7%, ritornati al mittente in meno di due anni.



    E’ chiaro che per Marchionne questo è motivo di orgoglio ma anche il segno di un sistema che funziona, anche nelle crisi più profonde

    «Con tutto il bene che voglio a Obama e compagnia però, alla fine, sapevamo che era una posizione intermedia, temporanea, l’abbiamo risolta e come da accordi sono usciti», mi dice. E’ un refrain che ho sentito da molti capi delle aziende coinvolte nel macello del 2008, da Citigroup a Jp Morgan a Aig: il governo aiuta, poi si toglie di mezzo.



    Questa è una differenza fondamentale tra l’Europa e l’America. Con l’eccezione del complesso militare-industriale (la Boeing, la Lockheed-Martin e altri fornitori del Pentagono), i governi Usa di qualsiasi partito sono allergici agli interventi nel libero mercato. Ci sono ragioni culturali - la ribellione contro il colonialismo britannico ha instillato nella popolazione americana e persino nella sua classe politica una fortissima diffidenza nei confronti del governo centrale. Ma anche pragmatiche. L’idea di spendere denaro pubblico per aiutare imprese private non è buon business, crea pericolose distorsioni nel mercato e può far arrabbiare l’elettorato.



    Marchionne ne aggiunge un’altra. «La differenza è culturale perché in Europa l’accesso all’asset industriale nel senso politico viene visto come una fonte di potere. Cosa in questo Paese inaccettabile perché il mercato è libero», sostiene. «Sono due concetti completamente diversi. Io non voglio giustificare il mercato libero. Il mercato libero ha dei difetti enormi però perlomeno non è politico in quel senso».



    Forse il golfo tra questi due mondi non è colmabile. L’America del libero mercato, del gusto del rischio senza la paura di sbagliare e l’Europa più lenta, meno flessibile e in balia dell’attività governativa non possono imparare l’una dall’altra. Magari ognuno deve proseguire per la propria strada senza copiare chi sta dall’altra parte dell’Atlantico.

    Per Marchionne non è una questione di copiare ma di «evolversi».

    «Nessuno sta dicendo che gli italiani devono abbracciare la cultura americana. Questa riflette trecento anni di storia. Quella italiana riflette duemila anni di storia. Noi saremmo una forma diversa da quello che è qui, però la sfida non è che sia diversa. Quello che è assolutamente sicuro è che il sistema del passato non regge più»



    Ma il nuovo basterà? Marchionne sembra abbastanza ottimista. «Io ho difeso Renzi in una maniera piuttosto chiara semplicemente perché comincia a fare le cose necessarie per accorciare le distanze tra noi e gli altri e dare un senso di futuro al Paese», mi dice. «Bisogna essere anche ottimisti nel guardare le cose andando avanti. Magari anche in una maniera un po’ ingenua».



    L’ultima frase di Marchionne mi fa pensare alla parola «ingenuità», che in italiano è spesso un insulto. In inglese, «ingenuity» vuol dire invece «ingegnosità», il coraggio di provare a fare cose diverse dal passato. E di accettare chi rischia di suo per farlo. Da lì è un passo semplice all’ultima scommessa di Marchionne: l’appello alla fusione con la General Motors o altre case rivali per far fronte ai problemi strutturali di un’industria automobilistica che investe moltissimo ma non guadagna abbastanza. E’ una mossa piena di «ingenuity», nel senso inglese della parola, che però non è stata accettata da nessuno, per il momento.



    «Glielo dico in inglese: “It’s very difficult to invite a turkey to a thanksgiving dinner” (è difficile invitare un tacchino alla cena del giorno del Ringraziamento). Una cena tra cannibali non è una buona cosa da farsi». Nonostante ciò, il capo della Fiat Chrysler non si scoraggia. «Non possiamo mettere la testa nella sabbia come struzzi e pensare che il problema sia degli altri», dice a me, ma il messaggio è più per i colleghi/rivali di Detroit e altre capitali dell’auto. «Questo è un mercato dove, in effetti, quel tipo di pressione la puoi evitare per un giorno, la puoi evitare per un mese ma eventualmente non la puoi evitare. Perché il mercato non è fesso».



    Se Marchionne ha ragione, i prossimi anni porteranno a un altro terremoto nell’industria dell’auto con conseguenze importanti per aziende, investitori, consumatori e impiegati. Siamo a Detroit, e come spesso accade a Detroit, siamo all’inizio di un cambiamento non facile ma necessario.



    Penso alla visione di Diego Rivera, il grande pittore messicano a cui fu chiesto di immortalare il crogiolo capitalista di Detroit negli Anni 30. Il risultato sono gli splendidi affreschi nel Detroit Institute of Arts, un’ode critica - Rivera era marxista - ma appassionata e appassionante alle capacità creative degli esseri umani. La catena di montaggio dipinta da Rivera, con il fumo, il caos, le persone schiacciate l’una su l’altra, è completamente diversa dallo stabilimento della Jeep di oggi. L’industria automobilistica sarà costretta a cambiare se vuole rimanere una forza vitale nelle attività produttive dell’America e del mondo.



    Chiudo con una domanda sul futuro dell’Italia in questo momento così incerto per il Paese e per l’economia globale. Marchionne risponde con un barlume di speranza. «Il futuro dell’Italia è un futuro tutto da crearsi e chi vuole veramente bene al Paese si deve impegnare ad accettare il nuovo», dice. «Accettare le sfide anche con l’incognita di esperimenti che non sono totalmente chiari in termini di successo. Uno deve azzardare, deve prendersi i suoi rischi. Dobbiamo provare a fare delle cose nella maniera diversa. Le menate del passato ormai sono morte».
    www.lastampa.it/
     
    .
0 replies since 9/8/2015, 06:45   27 views
  Share  
.