La panchina di Mariella Forever

Siria, esecuzioni sommarie e raid dell'esercito a Damasco

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    LA PANCHINA DI MARIELLA

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    Per la Siria è l'ennesimo giorno di sangue. Con nomi e cognomi, video e foto che ne documentano la morte, attivisti siriani presenti sul posto hanno riferito sul Web dell’uccisione in varie località del Paese di 18 persone, la metà delle quali nella regione di Damasco.

    Nella capitale, i carri armati sono tornati a bombardare i sobborghi, secondo i residenti è l’attacco più intenso da un mese. Ieri i Comitati di coordinamento locali avevano documentato l’uccisione di 230 persone in tutta la Siria. Stamani, gli attivisti e i testimoni riferiscono di morti tra i quartieri periferici di Kfar Suse e Qadam a Damasco e del sobborgo di Daraya.

    Anche a Daraa, capoluogo meridionale, si contano vittime, tre delle quali rinvenute stamani con segni di colpi di arma da fuoco alla testa. A Idlib, nel nord-ovest, un mortaio ha centrato un’abitazione civile uccidendo una donna suo figlio. A Homs il corpo senza vita di un giovane Š stato ritrovato sul ciglio di una strada secondaria con segni di tortura. Altre due vittime si registrano rispettivamente a Dayr az Zor e a Hasake.

    Il regime di Damasco intanto evoca l’Iraq, con il governo che definisce le preoccupazioni americane sull’uso delle armi chimiche un pretesto per invadere il Paese, come avvenne contro Saddam nel 2003. Ma sul terreno le forze fedeli al presidente Bashar al Assad continuano indisturbate la loro «caccia ai terroristi». Il presidente americano Barack Obama era stato esplicito nell’indicare la linea rossa che Assad non deve superare: il ricorso alle armi chimiche, di cui sono sono ricchi gli arsenali siriani per stessa ammissione di Damasco. «Una storia pensata all’estero, che ci ricorda la storia dell’Iraq», ha risposto il vicepremier siriano Qadri Jamil, in riferimento alle accuse, poi rivelatesi infondate, formulate dall’allora segretario di Stato Usa Colin Powell all’Iraq di Saddam Hussein. «L’Occidente cerca una scusa per un intervento armato in Siria. Se questa scusa non funziona, ne troveranno altre», ha aggiunto ieri Jamil da Mosca, dove è stato spedito per la seconda volta in meno di un mese al posto di rappresentanti governativi del calibro del vice presidente Faruq al Sharaa, ancora assente dalle scene dopo le voci sulla sua fallita fuga in Giordania, e del ministro degli esteri Walid al Muallim, anch’egli da giorni in odore di diserzione.

    La Casa Bianca ha risposto affermando che «gli Stati Uniti vigilano costantemente sulle scorte di armi chimiche presenti in Siria e qualunque uso o tentativo di proliferazione sarebbe un grave errore». Nel suo discorso Obama aveva però soprattutto inviato un messaggio di rassicurazione al principale alleato americano, Israele, da sempre preoccupato che con la caduta di Assad gli arsenali proibiti non siano più sotto controllo. Nelle settimane scorse, il portavoce governativo di Damasco, Jihad Makdissi, aveva da una parte confermato la presenza di armi non convenzionali in mano al regime, ma dall’altra aveva assicurato che gli arsenali sono al sicuro, protetti dall’esercito governativo. Che sul terreno non sembra così vittorioso, come invece raccontano l’agenzia ufficiale Sana e gli altri media di regime. «Numerosi terroristi uccisi e arrestati» sono i titoli di notizie che da giorni si alternano sulle pagine online della Sana e sugli schermi della tv di Stato. Dal canto suo, l’Esercito libero (Esl), formato da disertori e da civili in armi, ha annunciato ieri di aver conquistato oltre il 70% del territorio di Aleppo, dove la battaglia infuria da ormai un mese. Difficile confermare sul terreno i proclami dell’uno o dell’altro fronte, anche perchè i pochi giornalisti che si avvicinano al fuoco rischiano la morte, in taluni casi la incontrano. Come è accaduto alla giornalista giapponese Mika Yamamoto, uccisa forse da elementi governativi e come sarebbe successo al cameraman turco Cuneyt Unal, sul cui decesso, annunciato oggi da al Jazeera, non ci sono ancora conferme.
     
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